Negli ultimi anni la produzione di Netflix non si è limitata solamente a prodotti di qualità dal calibro di The Killer, Mank, Blonde, con cospicui budget e star di Hollywood in prima linea. Grazie alla piattaforma streaming più nota del pianeta ci siamo potuti tutti avvicinare anche a opere provenienti da ogni angolo del mondo, aprendosi a diverse prospettive da quella statunitense, in primis, ed europea. Tra questi paesi spicca la Nigeria, nella quale si trova Nollywood, che per i meno pratici sull’argomento si tratta dell’industria cinematografica nigeriana, la terza al mondo dietro Hollywood e Bollywood.
Il cinema africano non gode della dovuta attenzione, complice una situazione interna non sempre stabile e un perpetuo sguardo colonialista da parte degli occidentali. La nuova uscita su Netflix Blood Vessel, di Moses Inwang, non si preoccupa di parlare di guerre, ma delle ingiustizie sociali e religiose con le relative conseguenze. Diventa anche uno dei tanti pezzi del puzzle di un’industria da non sottovalutare. Scoprite questo nuovo prodotto Netflix attraverso la recensione di Blood Vessel.
Genere: Drammatico, thriller
Durata: 118 minuti
Uscita: 8 dicembre 2023 (Netflix)
Cast: Dibor Adaobi, David Ezekiel, Levi Chikere
Blood Vessel: la trama del film
Nella città nigeriana di Nembe arriva una compagnia petrolifera, la Axis Oil che, durante il suo insediamento, ha contaminato le acque e le terre degli abitanti. Sullo sfondo della guerriglia urbana, i due giovani Abbey e Oyin, vedendosi ostacolati nel loro amore dal padre di lei, decidono di sfuggire per poter vivere la loro relazione. Contemporaneamente i fratelli Olotu e Tekena prendono la decisione di lasciare il paese per andare all’estero, mentre i due militanti Boma e Degbe che, durante uno scontro, uccidono accidentalmente un soldato.
Queste tre coppie si ritroveranno per caso e approderanno, tramite losche conoscenze, su una nave in partenza da Nembe. Una volta saliti, verranno accomodati in un angolo angusto, ignari di quello che succede al di fuori di quelle quattro pareti. Quando Degbe andrà in cerca di cibo e verrà scoperto, non ci sarà scampo di fronte al pericoloso criminale Igor, il proprietario della nave. Sarà l’inizio di un lento e lungo viaggio dove ciò che conta è sopravvivere.
Vittime in cerca di salvezza
La narrazione di Blood Vessel si prende il suo tempo per entrare nel vivo dell’azione: tutto parte dalle proteste reazionarie nella città di Nembe, dove i cittadini più giovani partecipano alla lotta armata nel tentativo di vendicarsi del torto subito negli anni dalla Axis Oil. Vengono presentati le tre coppie protagoniste della vicenda, ognuna delle quali è vittima del sistema in cui vivono: Abbey e Oyin sono divisi dalla superstizione religiosa, Olotu e Tekena devono partire a causa delle condizioni di povertà in cui vivono, mentre Boma e Degbe sono vittime involontarie dello scontro urbano scatenatosi.
Questo è lo specchio più o meno realistico in cui tanti paesi del continente africano sono costretti a vivere, sia a causa delle conseguenze dovute al colonialismo, sia per la rigidità degli usi e costumi locali. Tutti e sei sfuggono in cerca di un riparo, una soluzione che non si ritrova rimanendo nella propria terra, come se non ci fosse più speranza. A questo proposito il finale dimostra quanto niente difficilmente potrà cambiare. La pellicola, dunque, si carica sulle spalle il compito di fare denuncia sociale, seppur in breve minutaggio rispetto alla parte action più pura, su cui Inwang ha voluto puntare di più.
Un thriller incompleto
Dalla parte più impegnata si passa all’intrattenimento. Si cerca il thriller negli spazi angusti della nave, in un buco dove sei persone devono sopravvivere con i mezzi che gli sono stati affidati, per poi passare successivamente ad un survival movie, dove l’antagonista lo è senza una vera e propria motivazione. Se l’intento di imitare le produzioni statunitensi è lodevole, la pratica non riesce del tutto. Gli eventi si susseguono in maniera forzata, cercando di replicare quel genere cinematografico fatto di attese, suspense e dramma, ma su cui certamente non corrono in aiuto una sceneggiatura monca e una CGI che si lascia desiderare. Mancano scene che avrebbero potuto evitare dei passaggi troppo frettolosi, come se si passasse da A a B senza un rapporto causa-effetto, generando confusione nello spettatore e omettendo parti che sarebbero state necessarie. D’altro canto il cast riesce a reggere la prova, in un film dove la durata, seppur eccessiva, riesce ad intrattenere nonostante i suoi difetti.
Non ci si ritrova di fronte ad un’opera che spicca sicuramente per originalità. Ciononostante c’è da dare un merito a Blood Vessel: è un cinema in divenire, imperfetto, forte delle sue radici e che non va scartato a priori. Parla di una situazione semi-realistica, la realtà sociale va a sposarsi con l’intreccio più libero delle produzioni occidentali. Un vero peccato assistere ad una storia il cui potenziale sia tecnico che narrativo non è stato sfruttato a dovere. Poteva parlare di tante cose, ma si è limitato a raccontare una storia di sopravvivenza, in cui l’uomo non è che cibo per altri uomini e la speranza di fronte a tutte le difficoltà diventa l’unico e vero motore trainante.
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La recensione in breve
Blood Vessel non riesce nel suo intento, nonostante le tematiche affrontate nei primi minuti, a esprimersi al meglio. Il risultato è una pellicola a metà, vittima di una sceneggiatura che omette alcune parti che potevano aggiungere una completezza in più agli occhi dello spettatore
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Voto Screenworld