Inizi del 1600, nel convento di Pescia, in Toscana, sta avvenendo una rappresentazione sacra: l’ascensione della Madonna in cielo. A interpretarla è una giovane e avvenente novizia che, mentre viene issata con delle funi, per simulare appunto l’assunzione, viene colta da una visione molto potente di Gesù che la chiama a sé. Per andargli incontro, la giovane suora muove i piedi mentre è distesa sulla lettiga che viene sollevata, rompendo la sospensione dell’incredulità degli spettatori. Poco più tardi la madre, intervenuta alla recita con il padre, le farà notare che, per fingere di essere morta, non avrebbe dovuto muovere i piedi. Ironia della sorte, molto più tardi, Benedetta, questo il nome della giovane suora, fingerà abilmente la sua morte terrena. O forse no?
È sullo sdruccievole terreno che si trova tra Verità e Rappresentazione che si basa l’ultimo film di Paul Verhoeven, provocatorio come molti suoi lavori precedenti, ma non nel modo in cui ci si poteva aspettare. Come vedremo in questa nostra recensione di Benedetta, presentato a Cannes 2021 e proposto soltanto adesso sugli schermi italiani, l’audacia del regista di Basic Instinct, non consiste tanto in quella di mettere in scena, a partire dalla storia vera di Benedetta Carlini, un amore saffico tra suore, quasi un sotto-genere ormai, a partire dalla exploitation degli anni ’70, ma piuttosto quello di sondare il confine tra credenza e fede, menzogna e rapimento mistico, mistificazione e credibilità, senza sconti tra l’altro per un’istituzione monastica interessata più ai soldi che alla carità.
Benedetta
Genere: Drammatico/Storico
Durata: 127 minuti
Uscita: 2 Marzo 2023 (Cinema)
Cast: Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphne Patakia, Lambert Wilson
La trama: la novizia nel convento
Agli inizi del XVII secolo, la piccola Benedetta Carlini, di buona famiglia toscana, viene data al convento del piccolo paese di Pescia come novizia, in cambio di una cospicua somma di danaro e di altre regalie in natura. Una volta cresciuta, la giovane ragazza (Virginie Efira) comincia ad avere visioni mistiche su Gesù, in concomitanza con la nascita di un’attrazione sessuale e amorosa per Bartolomea (Daphne Patakia), una giovane poco abbiente che lei ha salvato dalle grinfie del padre violentatore, facendola entrare in convento. Benedetta non si limiterà però solo alle visioni, ma sulle mani e sui piedi le compariranno le stimmate e, per questa ragione, nel paese inizieranno a venerarla come una Santa. La Chiesa di Roma non gradirà la cosa e manderà un messo pontificio (Lambert Wilson) a indagare, sia sui supposti miracoli, che sulla eventuale fornicazione avvenuta tra Benedetta e Bartolomea. Da segnalare la presenza di Charlotte Rampling, perfetta nel ruolo dell’antipatica e veniale badessa, oltreché della stessa Virginie Efira, sorprendente nel dare corpo e voce ai sospiri mistici nonché alle ‘possessioni’ di Benedetta.
Provocazioni intelligentemente disattese
Il titolo del saggio di Judith C. Brown, Atti impuri – Vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento, sembra quasi una ironica allusione al sotto-filone dei B-movie anni Settanta dedicati alle suore peccaminose chiuse nei conventi, e in effetti Verhoeven flirta, consapevolmente, col genere, ne accarezza (è proprio il caso di dire!) alcuni topos, per poi distaccarsene intelligentemente. Come è nelle corde del regista di Showgirls e Starship Troopers, egli gioca con le aspettative dello spettatore, disattendendole puntualmente, con buona pace di chi si aspettava l’ennesimo film-scandalo. Scene hot tra le due suore chiaramente ce ne sono, ma lasciamo ai bigotti e ai fanatici religiosi la facoltà di strapparsi i capelli per cose come queste nel 2023.
Menzogna o verità?
Il fulcro del film, come accennato nell’introduzione, è tutto nel sottile gioco tra menzogna e realtà, tra ciò che si vuol far credere e ciò in cui si è disposti a credere. Oppure ancora sulla forza e sull’energia che una persona può investire in una credenza o in una bugia, al punto tale da convincersene ella stessa fin nel profondo. Benedetta ha ricevuto davvero le stimmate oppure se le è provocate da sola? Ma soprattutto, è convinta davvero di ciò che le è successo? In parole più semplici: ci fa o ci è? La risposta sta tutta nella felice ambiguità del personaggio che, in alcuni momenti, arriva a parlare con voce disincarnata, quasi maschile, a voler far credere che sia Gesù a parlare attraverso di lei. Ciò che evidentemente importa a Verhoeven e che esce fuori con molta forza dal film è proprio la potenza della psiche di qualcuno che, mettendo in scena un inganno, se ne convince egli stesso, arrivando a compenetrarsi talmente tanto nella mistificazione, da darle concretezza e realtà.
Psiche e realtà
Affermava Jung che ciò che è vero per la psiche soggettiva, in un certo senso diventa reale anche nel mondo oggettivo, o in altre parole, ciò che ha effetto per la psiche interiore, produce conseguenze anche nel mondo esteriore. Torniamo dunque alla scena-madre della rappresentazione della Madonna: raccontare teatralmente la sua ascensione in cielo diventa per Benedetta uno spunto per mettere in scena le sue visioni mistiche e dare loro credibilità presso un pubblico, ovvero le altre suore e il popolo credente di Pescia. Quella rappresentazione è, in nuce, la matrice di tutto il film di Verhoeven che sonda la tenuta della razionalità dello spettatore rispetto alla tentazione di lasciarsi andare o meno alla messa in scena di Benedetta.
Per una felice coincidenza, o forse dovremmo dire sincronicità junghiana, in questo stesso periodo, nei cinema, c’è un altro film che pure saggia la capacità della nostra razionalità e, per contro, la pervicacia della nostra eventuale fede rispetto all’irrazionale che irrompe nel quotidiano: parliamo del bellissimo Bussano alla porta di Shyamalan, che condivide non pochi assunti teorici con la pellicola di Verhoeven.
Kitsch voluto?
In assonanza con un altro film del regista olandese, L’amore e il sangue (1985) con il compianto Rutger Hauer, anch’esso in costume, ambientato un secolo prima, anche qui Verhoeven non va tanto per il sottile nella rappresentazione della violenza e in un certo gusto per il disfacimento dei corpi, con particolare riferimento alla peste che, così come nella pellicola degli anni ’80, anche qui gioca un ruolo narrativo importante.
Ciò che in prima battuta lascia un minimo interdetti è lo stile decisamente Kitsch, ai limiti del televisivo, con un uso di CGI non convincente, delle visioni mistiche in cui Benedetta incontra Gesù. Ci rendiamo anche conto che qualcuna di esse sarà certamente molto forte per i cattolici più convinti. Non sappiamo però se questo stile sia dovuto ad una mancanza di risorse economiche oppure ad una scelta precisa di Verhoeven, ma ci piace pensare che rientri anch’esso nel sottile gioco di provocazioni tra realtà e finzione su cui si basa l’intero film, grazie al quale l’autore si diverte ulteriormente a giocare con le aspettative di noi spettatori. O forse no?
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Conclusioni
Paul Verhoeven invita lo spettatore in un sottile gioco tra realtà e mistificazione, con visioni mistiche al limite del kitsch, ma coerenti al discorso teorico portato avanti dal film. Con stoccate feroci alla Chiesa dell’epoca, Benedetta prospera in un’ombra di felice ambiguità che pone domande interessanti, piuttosto che fornire risposte sicure.
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Voto CinemaSerieTV.it