Sarà sicuramente capitato anche a voi.
Di ritrovare, rovistando tra le scatole nascoste e quasi dimenticate lasciate negli armadi di casa, vecchi filmati di famiglia che, come le sirene quando cantano, ci spingono a rivolgere il nostro tempo e la nostra attenzione su di loro. In maniera inaspettata, non resistiamo al richiamo. Sentiamo la necessità di rivedere quelle memorie nostalgiche, archiviate e sospese dal flusso del tempo. Per poi poterlo rivivere, quel tempo perduto.
È la forza dei ricordi, la stessa che ci fa strappare un sorriso (di nostalgia? di malinconia?) quando i social network ci mostrano vecchi post, dove non conta tanto quello che abbiamo pubblicato, ma chi eravamo al di là dello schermo.
Scrivere una recensione di Avatar nel 2022, tredici anni dopo l’uscita cinematografica originale del film campione d’incassi di James Cameron, non può che portarci a fare un viaggio nei ricordi, con stampato in faccia quell’enigmatico sorriso. Nel nostro caso, la memoria si posa sull’incredulità di non trovare un posto libero in sala per giorni, su quell’elettricità collettiva del film in 3D, sulla meraviglia di una visione immersiva e quasi tangibile di un mondo alieno, anche – lo diciamo senza vergogna – di un tentativo di minimizzare la portata del film stesso, criticandone gli aspetti più deboli, per dare un tono falsamente maturo alla nostra giovane età (qui sappiamo che il sorriso ha il sapore dolce di chi ricorda la propria ingenuità). E ancora, se pensiamo ad Avatar pensiamo alle sale piene, alle code in cassa, all’odore dei pop corn poi schiacciati sotto la suola delle scarpe, alla fatica di trovare parcheggio con l’auto. Tutto contribuisce a dare vita a una mentale fotografia color ambra di quella che sembra una distante età dell’oro.
Eppure, sarebbe riduttivo pensare alla ridistribuzione di Avatar nei cinema, a pochi mesi dall’uscita del sequel a dicembre, come a una semplice operazione nostalgia. Il ritorno in sala di una versione rimasterizzata in 4K del blockbuster di James Cameron è l’occasione di un secondo viaggio, vivo, reale, ancora una volta immersivo, uguale eppure diverso. La possibilità di poter davvero rivivere un tempo perduto, per accorgersi che forse quel tempo non è mai passato. E che è più contemporaneo che mai.
Avatar
Genere: Fantasy, Azione, Drammatico
Durata: 162 minuti
Uscita: 22 settembre 2022 (Cinema) (Re-release)
Cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang, Sigourney Weaver
La trama classica oggi ha un altro sapore
Tra tutti è il ricordo più vivido e allo stesso tempo sbiadito. Vivido, perché, a tredici anni di distanza, nella memoria collettiva permane l’idea di una trama banale, eccessivamente stereotipata e molto simile ad altre storie già conosciute. Noi preferiamo definirla con un altro termine, che ci sembra più adatto: certo, la trama di Avatar è quanto di più classico ci si possa aspettare. Si basa non solo sull’immaginario western che è il genere cinematografico per antonomasia del cinema americano, ma anche sull’incontro/scontro dell’uomo occidentale con gli indigeni, qualcosa che appartiene al DNA dell’America.
Ed è così che seguiamo la storia di un marine di nome Jake Sully, che in un futuro remoto (è il 2154), viene spedito sul pericoloso pianeta di Pandora, coperto da acqua e foreste pluviali popolate dagli alieni Na’vi, per aiutare la compagnia terrestre RDA, capitanata dal dirigente Parker e dal soldato senza scrupoli Quaritch, a raccogliere un prezioso minerale posto sotto l’insediamento della tribù indigena. Per farlo, Jake prenderà parte al progetto avatar, seguendo le direttive della più compassionevole dottoressa Grace, che lo collegherà tramite tecnologia sensoriale al corpo di un Na’vi artificiale. Sotto le sembianze di un indigeno, Jake conoscerà Neytiri, giovane guerriera del villaggio della tribù, e con lei farà la conoscenza della cultura dei Na’vi rimanendone affascinato. Tanto da mettere in discussione la propria fedeltà alla RDA.
Classica, non pigra; semplice, non banale. Se nel 2009 la trama sembrava il punto debole di uno spettacolo senza eguali, nel 2022 la scrittura di James Cameron brilla di luce propria. La sensibilità del pubblico è cambiata e certi temi a prima vista secondari durante la visione di tredici anni fa, oggi acquistano un’urgenza luminosa che cambia di gran lunga la visione del film. Sia chiaro: sono tutti elementi già presenti durante la prima uscita, ma che oggi risultano meglio posti sotto i riflettori. È il caso del discorso ambientalista (non lo sapevamo ancora, ma Cameron aveva previsto tutta la situazione) oppure di quel senso di rispetto dovuto a tutte le creature viventi, di razze e specie diversa, che popolano Pandora. Ma anche la presa di coscienza delle generazioni più giovani, più sensibili dei genitori (biologici o putativi), e quel senso di spiritualità universale e fluido, dove la connessione e il legame – anche amoroso – avviene nello stesso modo, con l’unione di code.
Tutti elementi che oggi danno alla storia di Avatar un nuovo sapore, persino più profondo di quanto ricordavamo, e perfetto per nuovi spettatori che questo viaggio, al cinema, non erano riusciti a compierlo.
Io ti vedo
Su una cosa, però, siamo tutti d’accordo. Con buona pace di chi ritiene che il film di Cameron non sia entrato nell’immaginario collettivo, quando ripensiamo ad Avatar ci vengono in mente le straordinarie immagini delle montagne sospese in aria, dei voli in sella all’alato Banshee, della foresta bioluminescente capace di illuminare le notti più cupe.
Avatar è un inno alla forza dell’immagine, che necessita lo schermo più grande possibile in modo tale da sovrastarci con la sua bellezza e dare vita a un’immersione sensoriale senza precedenti. Non assistiamo alla proiezione di un film. Siamo noi stessi la proiezione. È il senso stesso dell’avatar (Jake si proietta nel corpo Na’vi e noi, dalla sala, entriamo a Pandora) ed è il senso di quella frase diventata iconica. “Io ti vedo” che non è solo osservare, ma connettersi con quel mondo, comprenderlo. Un’azione attiva, non passiva.
E a quel punto, che importanza ha davvero una trama semplice se quello che conta è l’esperienza di visione?
Un’esperienza che riviviamo con un’attenzione maggiore rivolta alla cura dell’immagine, che finalmente ci presenta Avatar così com’era stato concepito e così come James Cameron voleva lo vedessimo. Un limite tecnologico del 2009 finalmente superato. La nuova versione di Avatar è presentata in 4K, una risoluzione maggiore che ci permette di posare lo sguardo su colori più brillanti, rimanendo colpiti dalla quantità di dettagli e particolari presenti nell’inquadratura. Dettagli che già erano nel film (non si tratta, quindi, di aggiunte a posteriori), ma che apparivano invisibili. Un cambiamento non da poco, perché dimostra come il tempo non sia mai passato per questo film. Tredici anni dopo, Avatar sembra un film realizzato con le tecnologie odierne e addirittura superiore alla qualità media a cui siamo abituati.
Ed è così che non vediamo solamente i protagonisti che dialogano tra loro, ma anche i piccoli insetti che volano da una foglia all’altra della foresta, sullo sfondo, quasi impercettibili. Abbiamo la sensazione di un mondo vivo anche al di fuori dei margini dell’inquadratura. Fa tutta la differenza del mondo.
Personaggi digitali, cast sincero
Ricordavamo il realismo dei personaggi digitali, degli alieni Na’vi inseriti in un mondo fantastico e creato dal niente. Non ricordavamo, però, che fossero così iper-realistici, tanto da chiederci se in questi tredici anni la rivoluzione tecnica di Avatar sia stata davvero una nuova strada da percorrere o se, inspiegabilmente, si è immessa la retromarcia. Più che con i dialoghi, Avatar è un film che parla attraverso gli sguardi dei personaggi, le loro azioni, i movimenti del loro corpo, le emozioni che trapelano dai loro volti. Tutto digitale e tutto vero.
Merito di un cast che funziona nel migliore dei modi, composto magari da attori oggi quasi dimenticati (ma Sam Worthington è pronto a tornare nei panni di Jake Sully) e che risultano incredibilmente perfetti, dentro e fuori il digitale. Colpisce con la forza di un ricordo che improvvisamente si fa breccia nella memoria vedere i Na’vi (di cui la più memorabile è la Neytiri di Zoe Saldana, un personaggio femminile che raramente si trova al cinema oggi con la stessa sincerità di scrittura) che ridono, urlano, si disperano, combattono, festeggiano. Li percepiamo reali, per davvero. Il più grande e terribile trucco del cinema si compie: non smettiamo mai di credere.
La regia di James Cameron e il regalo di un’esperienza
È proprio questa l’idea precisa di James Cameron: portare in avanti il linguaggio cinematografico e oltrepassare i confini sin qui stabiliti. Con una regia classica e quasi immobile quando Jake arriva sul pianeta, con una macchina da presa bloccata su carrelli e panoramiche, dai movimenti limitati come il protagonista, costretto su una sedia a rotelle, il film fa percepire quel senso di libertà estrema quando nasce il Na’vi Jakesully. Da allora, e per tutte le sequenze in cui Jake è nel corpo dell’avatar e vive insieme alla tribù, la macchina da presa si stacca da treppiedi, steadycam e altre attrezzature formali. Come le riprese di un film di famiglia volteggia senza ordine, segue la pancia e l’emotività del momento, spicca il volo e si pone ai limiti del possibile. Una regia magica che ci mostra esattamente quello che vogliamo vedere, gioca con i nostri occhi e il nostro piacere.
Così si crea l’esperienza definitiva, coadiuvata anche dall’uso del 3D, qui ulteriormente potenziato attraverso la conversione di alcune sequenze a 48 fotogrammi al secondo rispetto ai canonici 24. E, soprattutto, non dobbiamo dimenticare la musica del compianto James Horner. Se proprio dobbiamo trovare un segno del passaggio del tempo in Avatar è proprio nell’utilizzo della colonna sonora, orchestrale, che sgomita per farsi ascoltare e circondare lo spettatore attraverso il suono (anche in questo caso rimasterizzato). Un – passateci il termine – vecchio modo di musicare un film, oggi troppo incentrati sugli effetti sonori, lasciando che le composizioni rimangano in sottofondo.
Cosa c’è di nuovo
Rispetto alla versione uscita originariamente nel 2009 c’è anche qualcosa di nuovo, che apre le porte al sequel in uscita a dicembre. Una breve scena aggiuntiva, non presente nemmeno negli extra delle edizioni home video tra le sequenze non completate, che fa davvero riflettere su come Avatar sia capace di giocare con lo scorrere del tempo. Se si tratta di una scena girata ex novo si rimane assolutamente basiti dalla continuità rispetto al materiale originale, tanto che i meno appassionati del film nemmeno si accorgeranno della sua aggiunta nel minutaggio.
Ma potremmo anche dire che sì, in realtà riguardare Avatar al cinema, per la prima volta dopo tredici anni, ha la stessa forza di una prima volta. Sarà per la rimasterizzazione generale, sarà per la potenza del grande schermo (con tutti i dubbi sulle differenze tra una visione domestica e una in sala che vengono prontamente spazzati via), fatto sta che tutto sembra nuovo, tanto da poter cancellare quel 2009 e scriverci accanto, non senza indecisione, “2022”. D’altronde, anche se si tratta di una re-release, come si può definire vecchio un film del genere?
Figli di Pandora
Arrivati alla fine del film non si può fare a meno di ripensare a chi eravamo tredici anni fa e chi siamo oggi. Forse il grandioso evento che è stato Avatar nel 2009 non ha avuto eco negli anni successivi, dando la sensazione di un film dimenticato e sopravvalutato. Non ci sono stati prodotti collaterali a rinfocolarne il mito, a tenere viva la fiamma di quello che, l’avevamo scordato tutti, era un vero e proprio viaggio su un altro mondo, migliore del nostro. E ora che quel viaggio non solo lo possiamo rivivere, nella sua forma più pura e unica, ma lo proseguiremo, sentiamo uno strano calore ad altezza del petto, indescrivibile a parole.
Forse è proprio questo quello che si prova quando si crea un legame, come quello dei Na’vi, anche se non ce ne accorgiamo subito, lasciandoci la sensazione che non solo Avatar l’abbiamo visto, ma che lui abbia visto noi. Solo allora riusciamo a definire quel famoso sorriso stampato in faccia che non sapevamo descrivere, provando nostalgia per un luogo che non esiste, ma su cui abbiamo viaggiato.
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La recensione in breve
Rivedere Avatar, tredici anni dopo la prima visione al cinema, significa fare un viaggio nei nostri ricordi e prendere consapevolezza di un film che ha travalicato i confini del tempo e del linguaggio cinematografico. Un'esperienza da rivivere in sala, possibilmente in 3D, per un capolavoro che non ricordavamo potesse emozionare così tanto, così contemporaneo e attuale da risultare ancora più denso. In attesa del sequel a dicembre.
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Voto ScreenWorld