È bello, è bravo, e nel tempo libero è anche un meme. Ovunque ci sia uno schermo, grande o piccolo che sia, lui catalizza l’attenzione e lo riempie col suo sguardo penetrante, il suo viso d’angelo ormai sporco e le sue espressioni imprevedibili. È quasi impossibile non farsi ammaliare da Leonardo DiCaprio, e in qualche modo non volergli bene. Perché a furia di personaggi iconici e facce strambe è entrato di diritto in quella specie di Olimpo abitato da attori intoccabili, quelli amati “sempre e comunque” come Keanu Reeves, Tom Hanks e Hugh Jackman. Perché?
Cercheremo di rispondere con questo articolo, confezionato in occasione dell’arrivo in sala di Killers of the Flower Moon, il nuovo filmone firmato Martin Scorsese. Un signore che al nostro Leo si è affezionato molto. Un signore che ha preso il talento di DiCaprio lo ha fatto sgorgare come si fa col petrolio più prezioso. Ma adesso: in alto i calici (come piace a fare a lui nei meme) e scopriamo come mai vogliamo così bene a Leonardo DiCaprio.
Uccidere l’angelo
Non ci sono mezze misure. Chi è cresciuto negli anni Novanta ha adorato Leonardo DiCaprio, oppure ne avrà avuto la nausea. Perché le ragazzine erano pazze della sua chioma bionda, della sua affascinante riga al centro e della sua faccia d’angelo. I ragazzini molto meno, offuscati da quel modello di bellezza irraggiungibile.
Il merito (o la colpa, a seconda dei punti di vista) era di due film. Due soltanto: Romeo + Giulietta e Titanic.
Due tormentoni che hanno forgiato il mito dell’angelo biondo piovuto dal cielo, due film in cui DiCaprio ha dato vita a un sex symbol iconico e pop come forse soltanto David Beckham riusciva a essere in quegli anni.
Con la loro bellezza gentile e accessibile, Romeo e Jack Dawson hanno proposto un ideale romantico innovativo e classico allo stesso tempo. Perché erano due personaggi basati sul rapporto amoroso. Due personaggi destinati a rimanere nel cuore anche grazie al loro tragico epilogo. Però, dietro la scintillante chioma dorata si nascondeva un’insidia: quella di un grande talento coperto dalla bellezza.
Una percezione collettiva che, dietro il luccichio del successo, rischiava di incastrarlo nel ruolo del bello e basta. Obiezione, griderebbe qualcuno a giusta ragione. Perché, molto prima di Romeo + Giulietta e Titanic, DiCaprio aveva già dimostrato a tutti di essere un fenomeno nella parte di un ragazzino problematico al fianco di Johnny Depp. Tutto merito di Buon compleanno Mr. Grape, classe 1993. Peccato che a metà degli anni Novanta quel film fosse molto di nicchia, diventando un piccolo cult soltanto dopo l’esplosione della DiCaprio mania. Un’ossessione collettiva che oggi potremmo paragonare a quella per Timothée Chalamet.
Ed è qui la prima chiave del suo successo: DiCaprio non si è accontentato di essere un sex symbol. E allora che ha fatto? Si è messo alla prova col cinema d’autore, con progetti ambiziosi e con personaggi che gli hanno permesso di sperimentare, rischiare, provare cose nuove e superare i suoi limiti. Fateci caso: è da Gangs of New York, ovvero dal 2002, che DiCaprio non sbaglia un film. Da allora ha collaborato con registi del calibro di Martin Scorsese, Clint Eastwood, Christopher Nolan, Ridley Scott, Sam Mendes e Quentin Tarantino, scegliendo con cura un perfetto equilibrio tra cinema autoriale e cinema commerciale, regalandoci personaggi complessi, profondi e pieni di carisma. Personaggi che ci hanno fatto quasi dimenticarle la sua bellezza, perché DiCaprio ha prima sporcato e poi ucciso la faccia d’angelo che si portava addosso. La vera maschera di ferro in cui poteva soffocare, forse, era quella. Perché, sì: nel nostro mondo la bellezza aiuta, ma talvolta è anche un inspiegabile dazio da pagare, quasi una colpa da espiare. Non ce n’era bisogno, ma DiCaprio lo ha fatto con una cosa: il talento.
La parabola del perdente
Oltre alla bellezza c’è una cosa che la gente non perdona mai: essere un vincente. Se vinci sempre, alla fine diventi antipatico e il nostro Leo, invece, ci ha regalato una bellissima parabola del perdente con la sua ossessione per l’Oscar che proprio non riusciva a vincere. Un vero e proprio tormentone che ha riempito il Web di meme, parodie e rumorosa solidarietà nei suoi confronti. Era il 1994 quando DiCaprio veniva nominato per la prima volta agli Academy Awards proprio per Buon compleanno Mr. Grape e da quel giorno ha inizio una rincorsa alla statuetta piena di fallimenti. Seconda nomination nel 2005 per The Aviator: andata a vuoto. Terza nel 2007 per Blood Diamond: niente da fare. Quarta nel 2014 per The Wolf of Wall Street: ancora niente.
Inciso importante: in mezzo a queste delusioni, nel 2013 non venne nemmeno nominato come attore non protagonista per Django Unchained. Gli fu preferito il collega Christoph Waltz, al suo fianco nello stesso film. Insomma: puro accanimento. Un agognato Oscar rincorso per ben 22 anni, durante i quali il pubblico si è affezionato ancora di più a questo fenomeno che proprio non riusciva proprio a entrare nell’Olimpo dorato di Hollywood. Almeno fino a quando, nel 2016, dopo essersi messo letteralmente a strisciare nel fango e aver dormito dentro la carcassa di un cavallo, agguanta il suo Sacro Graal nel 2016 grazie a Revenant – Redivivo. Da molto definito come “un Oscar alla carriera”, visto che lo avrebbe meritato di più in altre occasioni. Nel dubbio una cosa è certa: quel giorno fummo tutti felici per lui.
Un uomo, cento meme
Ora, scherzi a parte: vi siete mai chiesti perché DiCaprio è diventato così spesso un meme? Forse è proprio merito dei personaggi che sceglieva o che scrivevano per lui. Fateci caso: gli ultimi vent’anni della sua carriera sono costellati di personaggi spesso fuori di testa, portati al limite, che lo hanno portato a esasperare le sue espressioni e la sua mimica facciale. Tutti assist perfetti per i meme, insomma. In The Wolf of Wall Street ha incarnato l’apoteosi del cinismo imprenditoriale americano: un opportunista esagitato e pieno di sé, capace di truffare donne e clienti col suo charme da faccia da schiaffi. Un personaggio pazzo, sopra le righe, sempre oltre il limite.
Lo stesso, anche se in modo diverso, accade in Django Unchained, dove il suo Candie è un subdolo schiavista razzista violento, che prova a sopprimere la sua feroce cattiveria dietro una patina di bravo proprietario terriero. E poi ecco gli eccessi de Il grande Gatsby, i tormenti di Inception, i deliri di Shutter Island. A confermare la sua voglia di sperimentare, poi, ecco arrivare anche C’era una volta a Hollywood e Killers of the Flower Moon. Due film dove DiCaprio si toglie i panni dell’uomo forte e sicuro di sè per diventare un inetto, un debole, una persona incapace di tenere le redini della propria vita, e che ha bisogno dell’amore e della stima degli altri per trovare qualche debole certezza. La decostruzione del sex symbol è compiuta. Il bene del pubblico è solido. E siamo tutti sulla sua barca. O meglio, sul suo famoso yatch. Quello sì, inaffondabile.
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