Immaginate di fare un sogno. Uno di quelli caotici, pazzi e visionari di cui è difficile trovare un senso logico. Un sogno talmente intimo, contorto e personale che non puoi descriverlo agli altri, che non riesci a tradurlo in parole. Perché ti rimangono addosso solo sensazioni tutte tue. Ecco, parlare di Paprika è un po’ la stessa cosa. È difficile, perché usare le parole per raccontare la sua frastornante esperienza visiva è riduttivo, e non rende onore al magnifico lavoro del grande Satoshi Kon. Un regista prezioso che ci ha lasciato troppo presto, e che in soli quattro film (Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers e Paprika) ha elevato l’animazione verso il grande cinema d’autore.

Allievo di giganti come Otomo e Oshii (i papà di Akira e Ghost in the Shell) Kon è stato un equilibrista, sempre in bilico tra sogno e realtà, e soprattutto un regista libero. Un maestro di libertà che in Paprika ha riversato tutta la sua anarchia. Un film animato straordinario che in questi giorni (dal 17 al 19 marzo) torna al cinema restaurato in 4K. E considerando il livello tecnico fuori scala di Paprika, pieno di animazioni sinuose e fluide, il 4K è un bel lusso. Un film del 2006 che sembra piombato dal futuro per parlare di oggi. Una meraviglia animata che, senza mai mettersi in cattedra, ci ha insegnato un sacco di cose. Perché, forse, Paprika è stato un sogno premonitore. Ecco cosa aveva capito e cosa è rimasto dell’eredità del sommo Satoshi Kon.

L’influenza di Kon

Inception e Paprika
Inception “cita” Paprika

Succede puntualmente da almeno quindici anni. Quando si parla di Paprika, si scomoda anche Inception. Tranquilli, questo articolo vuole parlare solo di Paprika, per cui non si soffermeremo troppo su questa vecchia storia di cui si è parlato tanto, ma un cenno all’influenza di Kon era inevitabile. Perché sì, come sicuramente saprete, Christopher Nolan si è palesemente ispirato a (come direbbero i moderati)/ ha derubato (come direbbero i complottisti) Satoshi Kon nel suo thriller onirico, tra l’altro uscito nel 2010, pochi mesi dopo la scomparsa dal maestro giapponese. In Inception ci sono almeno due sequenze, quella nel corridoio dell’hotel e quella dello specchio per strada, che sembrano quasi un copia e incolla travestito da omaggio ammiccante a Paprika. Plagio, citazione o influenza? Nel dubbio è come se l’inception lo avesse fatto Kon nel cervello di Nolan, innestando nella mente del regista inglese i germi del suo cinema visionario e psichedelico. Eppure, al di là della suggestioni visive, è facile notare quanto Inception e Paprika siano due film completamente diversi.

Perché Nolan vuole spiegare la sua strana architettura onirica, vuole prenderci per mano nel suo labirinto di Arianna, mentre Satoshi Kon vuole solo farci perdere. Inception spinge a chiederci: “Cosa è reale e cosa no?”, mentre Paprika sembra sussurrarci nell’orecchio: “Non importa la meta, goditi il viaggio”. Se Inception cammina sui binari, Paprika sguazza libero nel cielo con i suoi voli pindarici. Insomma, sono due visioni di cinema opposte, che confermano quanto Kon abbia comunque influenzato i registi occidentali interessanti al confine tra reale e immaginario. Lo conferma anche il cinema di Darren Aronofsky che nel 2002 e nel 2010 con gli inquietanti Requiem for a Dream e Il cigno nero ha citato in modo lampante l’altro capolavoro di Kon: Perfect Blue. La frammentazione dell’io, lo smarrimento dentro una società competitiva basata sull’immagine e una profonda inquietudine sempre in sottofondo. Tutti temi molto konniani che hanno guidato molto lo sguardo di Aronofsky.

L’eredità di Kon

Paprika in un frame di Paprika: sognando un sogno
La protagonista in un frame del film -© Sony Pictures Classics

La domanda più difficile da fare quando si parla di Paprika è: “Ma di cosa parla Paprika?”. Per farlo bisogna fermarsi solo alla sinossi del film. Alle sue premesse. Perché il resto va vissuto coi propri occhi, non spiegato a parole. Paprika parla di un futuro prossimo in cui alcuni scienziati hanno inventato un dispositivo (chiamao DC MINI) un entrare nei sogni dei loro pazienti e aiutarli a superare alcuni traumi. Peccato che la raffinata tecnologia cada nelle mani sbagliate, iniziando a creare orrori nelle mente delle persone. Ci fermiamo qui per farvi notare una cosa: Paprika sembra un thriller psicologico. Parte mostrandoci una minaccia e un mistero da risolvere, ma col procedere del film Satoshi Kon sembra sabotare il film stesso, senza limitarsi alla risoluzione del caso. No, Paprika sembra quasi volerci liberare dalla dittatura della trama. Con Paprika Kon libera il cinema dal dovere del racconto per immergerci dentro una festa psichedelica fatta di suggestioni visive.

Un carnevale caotico in cui il bello è proprio perdere la bussola e smarrirsi. E allora in un’epoca come la nostra in cui pubblico e critica parlano troppo di trame, evoluzione dei personaggi e caccia ai buchi di sceneggiatura, Paprika è diventato un film ancora più importante. Perché ci ricorda il potere primitivo del cinema, quello che vive grazie al potere delle immagini e che non ha bisogno di parole per farci innamorare. Un cinema libero come Paprika stessa, seducente come Paprika stesso, che se ne frega dei generi, delle etichette e delle aspettative per sorprenderci e destabilizzarci. Un cinema eterno perché non impone risposte o soluzioni, ma ci resta dentro per sempre con i suoi enigmi così complessi e affascinanti.

Il cinema è un sogno

Paprika in sala guarda il sogno di Knokawa
Paprika assiste in sala al sogno di Konakawa -©Sony Pictures Classics

Quindi Paprika è un depistaggio. Un gioco di prestigio in cui il bello non è il coniglio che spunta del cilindro, ma altrove. Perché Satoshi Kon ci ha salutato con un film-matrioska, pieno di allegorie e sottotesti da decifrare. Tra le tante letture di Paprika, ce n’è una che ci affascina più di tutte. Quella che vede l’intero film come un grande omaggio al cinema stesso. Forse Paprika in mezzo alle sue allucinazioni deliranti vuole solo dirci una cosa: che il cinema stesso è un sogno. Così come i personaggi del film si ritrovano in un sogno condiviso, anche noi quando entriamo un cinema non facciamo altro che entrare nelle menti dei registi, pronti a tuffarci nella sensibilità di qualcun altro. E lo facciamo insieme ad altre persone, in sale affollate proprio come i sogni pieni di gente, personaggi e storie che vediamo nel film. E proprio come i sogni, anche i film ci spingono a parlarne con gli altri, a interpretarli, a farci fare domande. Il cinema quindi non fa che alimentare il nostro inconscio collettivo con immagini piene di significati.

Che Paprika sia legato al cinema stesso lo confermano due scene del film. L’inizio e la fine. Entrambe con l’agente tormentato come protagonista. Nel prologo di Paprika lo vediamo sprofondare in un sogno molto frammentato, in cui passa da una situazione all’altra come se fosse all’interno di generi sempre nuovi. Si passa dal thriller, all’avventura, dall’azione al dramma psicologico con una fluidità impressionante con un capolavoro di montaggio impossibile da dimenticare. E alla fine, come se Kon sapesse che Paprika sarebbe stato il suo ultimo inchino, ecco lo stesso personaggio entrare in un cinema dove stanno proiettando gli altri suoi film. E non temiamo di aver fatto spoiler, perché Paprika, come detto, non si può spiegare o ridurre a parole, ma va vissuto con la mente libera. Libera di viaggiare ovunque come la sua meravigliosa protagonista.

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Nato a Bari nel 1985, ha lavorato come ricercatore per l'Università Carlo Bo di Urbino e subito dopo come autore televisivo per Antenna Sud, Rete Economy e Pop Economy. Dal 2013 lavora come critico cinematografico, scrivendo prima per MyMovies.it e poi per Movieplayer.it. Nel 2021 approda a ScreenWorld, dove diventa responsabile dell'area video, gestendo i canali YouTube e Twitch. Nel 2022 ricopre lo stesso ruolo anche per il sito CinemaSerieTv.it. Nel corso della sua carriera ha pubblicato vari saggi sul cinema, scritto fumetti e lavorato come speaker e doppiatore.