Tre candidature agli Oscar, quattro ai Golden Globes, cinque ai BAFTA ed una ai Tony, Carey Mulligan a trentanove anni appena compiuti è già nell’olimpo delle grandi attrici. La sua serietà professionale, il suo carisma a metà tra star hollywoodiana e diva della nouvelle vague la rendono tra le performer più interessanti e complete della sua generazione. In occasione del suo compleanno, cerchiamo di ripercorrere brevemente la carriera dell’attrice e del suo profilo unico nel panorama divistico contemporaneo.
An (actorial) education
Figlia di un manager di hotel e di una professoressa universitaria, Carey Mulligan cresce nei primi anni della sua vita tra il Regno Unito e la Germania. I suoi primi contatti con la recitazione avvengono proprio durante la scuola, dove la giovanissima riusciva a ritagliarsi solo piccole parti in spettacoli perlopiù musicali, appassionandosi fin da subito alla recitazione teatrale. Dopo molteplici rifiuti da diverse scuole di recitazione e contro il parere di genitori poco supportivi viene introdotta al cinema grazie a Julian Fellowes, sceneggiatore del Gosford Park di Robert Altman, il quale la mette in contatto con la produzione di Orgoglio e Pregiudizio (2005). Kitty, la penultima delle sorelle Bennett dal romanzo di Jane Austen, è il primo ruolo di Carey Mulligan sul grande schermo. Il viso tondo e grazioso ma corrucciato, la figura minuta e la recitazione asciutta rendono Mulligan già un tipo perfettamente riconoscibile, aprendole la strada per il futuro. Nel frattempo, continua a lavorare in teatro e in televisione, partecipando anche all’iconico decimo episodio della terza stagione di Doctor Who, “Blink”.
Il decollo di una carriera coraggiosa, da An Education a A proposito di Davis
Il primo ruolo da protagonista arriva solo due anni dopo quando la regista danese Lone Scherfig la sceglie per il suo An Education, un film drammatico scritto da Nick Hornby e basato sulle memorie della giornalista Lynn Barber ambientato nel 1961. La protagonista Jenny è una ragazza britannica amante della lettura e della musica, affascinata da un mondo di accademici, letterati, autori e artisti di ogni tipo, sogna Parigi ascoltando Juliette Greco e vestendo come Anna Karina nei film di Godard. Inguaribile romantica e ingenua come ogni adolescente che si rispetti, Jenny si lascia sedurre da David, un uomo facoltoso molto più grande di lei che le promette la vita culturale che sogna, fino a che non si rivela per il truffatore che realmente è.
Nel personaggio di Jenny c’è un po’ tutta l’essenza del divismo di Carey Mulligan, l’innocenza, la dolcezza e l’eleganza ma soprattutto la curiosità, il suo misurarsi con esperienze e contesti recitativi sempre diversi, esplorando ma seguendo sempre una propria idea di recitazione e di cinema. An Education è anche una palestra molto importante, in quanto le permette di recitare a fianco di grandi attori come Emma Thompson, Sally Hawkins, Olivia Williams e Alfred Molina, dimostrandosi perfettamente all’altezza e ottenendo infatti per questo suo primo ruolo da protagonista una candidatura agli Oscar, testimonianza di una maturità artistica precoce evidentissima.
In pochi anni la sua carriera prende rapidamente il volo, passando da produzioni più indipendenti a basso budget fino a recitare per grandi autori. Nello stesso anno, il 2011, Carey Mulligan collabora infatti con Nicolas Winding Refn in Drive, poi con Steve McQueen in Shame, interpretando peraltro ruoli molto diversi, da un lato la coraggiosa giovane madre Irene, mentre dall’altro l’esuberante sorella del protagonista Sissy, entrambe donne dalle numerose sfaccettature, tormentate da mondi interiori nascosti e da una rigidità solo apparente. A ben vedere infatti, Mulligan si avvicina a personaggi sempre fuori dalla rappresentazione canonica e idealizzata della figura femminile, sempre legata a un cinema ricercato, dal lento respiro, in cui sono i silenzi e le pause a catalizzare maggiormente la narrazione evidenziando i suoi tratti espressivi più caratteristici, in una recitazione di sottrazione e di tempi dilatati. Una femminilità inquieta, angosciante, rigida, ma anche languida e soprattutto malinconica.
La sua straordinaria flessibilità e curiosità la portano dunque ben presto anche altrove: nel 2013 è la volta di Baz Luhrmann che la sceglie per il personaggio di Daisy Buchanan a fianco di Leonardo DiCaprio ne Il Grande Gatsby, ma è anche l’anno della collaborazione con i fratelli Coen in A proposito di Davis, dove Mulligan ha anche la possibilità di esplorare il suo talento canoro in una commedia dolceamara tra twee e il mumblecore.
Un percorso artistico coerente
Negli ultimi dieci anni la carriera di Carey Mulligan si è evoluta lungo un percorso ispirato e coerente, navigando progetti più personali e originali, con sempre maggior carattere artistico e non temendo ancora di affidarsi a registi defilati rispetto alle forme cinematografiche più mainstream.
Tra i titoli più interessanti emergono Mudbound (2017), secondo lungometraggio della regista queer Dee Rees, una storia di due famiglie di veterani della seconda guerra mondiale, una bianca e l’altra nera, che cercano di riadattarsi alla vita quotidiana nonostante la sindrome post traumatica. Wildlife, il primo progetto da regista dell’icona indie Paul Dano, segue l’anno successivo, un dramma familiare minimalista a fianco di Jake Gyllenhaal.
Ma è senza dubbio con Promising Young Woman (2020) che l’attrice è riuscita ad attirare l’attenzione di un vastissimo pubblico, dando vita a un personaggio impulsivo e sofferente, incarnando la rabbia e il dolore femminile per raccontare una storia potente che rompe decisamente con la rappresentazione della violenza di genere sul grande schermo. In questo modo la scelta dei progetti riflette anche un’aspetto molto intelligente dell’immagine divistica di Mulligan, la quale utilizza anche la sua esperienza per valorizzare dei titoli dalla forte impronta politica o sociale con una forte attenzione verso il femminile davanti e dietro la macchina da presa. Questo è il caso anche di She Said (2022), il lungometraggio di Maria Schrader che racconta la storia vera di Jodi Kantor e Megan Twohey, le due giornaliste che hanno aperto l’inchiesta che ha portato al processo contro Harvey Weinstein.
Dopo un cameo molto autoironico e fuori dagli schemi in Saltburn (2023), è agli scorsi Oscar che è arrivata la terza nomination per Maestro, grazie al lavoro meticoloso sull’interpretazione della moglie di Leonard Bernstein Felicia Montealegre, di cui Mulligan è riuscita a riprodurre manierismi e vocalità in modo straordinario, anche se purtroppo la tiepida accoglienza del film e i meme su Bradley Cooper hanno tristemente inabissato la sua performance portando a un ennesimo mancato riconoscimento della sua eccezionalità, gareggiando anche in un anno di interpretazioni femminili molto valide.
Alla luce di una carriera lunga e ricchissima, si può decisamente definire Carey Mulligan come una delle attrici migliori della sua generazione. Non è solo lo straordinario talento a caratterizzarla, quanto anche una grande intelligenza e cura nei progetti, un’amore sconfinato verso il cinema e la recitazione e una sobrietà ed un’eleganza comuni solo alle dive di una volta.
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