“Life in plastic, is fantastic”. Era il 1997 quando gli Aqua esaltavano la bellezza della finzione con Barbie Girl. Una canzone rimasta nell’immaginario collettivo molto più della band danese che l’ha partorita. Un singolo-tormentone che non ascolteremo in Barbie, il prossimo film di Greta Gerwig previsto per il 21 luglio 2023. Strano, vero? Un indizio piccolo ma molto significativo, che sembra dire: “No, Barbie non sarà il film che vi aspettate”. Ma cosa ci aspettiamo davvero da questo film? Una commedia superficiale sulla superficialità dei nostri tempi? Una parodia graffiante dell’era della sovraesposizione social? Una cosa è certa: il teaser trailer pubblicato qualche giorno fa ha già stuzzicato la curiosità del pubblico, spiazzato dal geniale parallelismo tra la scultorea Barbie di Margot Robbie e l’imponente monolite nero di 2001: Odissea nello spazio.
Parallelismo perfetto, considerando l’impatto devastante che Barbie ebbe sul mercato dei giocattoli alla fine degli anni 50, quando le bambine con quella bambola tra le mani videro il futuro proprio come le scimmie del film di Kubrick. Senza dimenticare la marea di esilaranti meme che già inondano i social. La chiave comica? I tipi tosti della cultura pop (da The Boys ai Peaky Blinders, passando per Quei bravi ragazzi) in fila al botteghino, pronti a comprare i loro imperdibili biglietti per Barbie. Fa molto ridere, è vero. Anche perché probabile che film sia davvero destinato anche a loro. Basterebbe solo questo a rendere Barbie il film del 2023, ma proviamo a capire perché potrebbe davvero segnare l’anno cinematografico che è appena iniziato.
Indecifrabile bionda
La prima anomalia che rende Barbie una creatura affascinante è il suo essere imprevedibile. Lo conferma la sua trama avvolta nel mistero di cui si sa poco e niente (solo che Barbie viene cacciata da Barbieland perché considerata imperfetta) e il suo primo trailer è davvero indecifrabile. Un teaser pieno di suggestioni contrastanti: da una parte un citazionismo d’autore, dall’altro un piglio da commedia colorata, sopra le righe e grottesca. Una vera e propria chimera, una strana creatura davvero insolita e rara nel panorama pop contemporaneo. In un tempo in cui il pubblico viene continuamente rassicurato e preparato a quello che troverà in sala (soprattutto quando la voglia di andare al cinema è ai minimi storici), Barbie sembra volersi nascondere fino all’ultimo e giocare con le aspettative. Una scelta coraggiosa e controtendenza, che finalmente si fida della curiosità del pubblico stimolando la gente ad entrare in sala a scatola chiusa. Senza pretendere di sapere cosa troverà al suo interno.
Dietro la confezione
Proviamo a immaginare cosa troveremo nel mondo rosa shocking di Barbie. Per prima cosa è bene ricordare un dettaglio fondamentale: il film è stato scritto da Greta Gerwig e suo marito Noah Baumbach, registi e penne molto intelligenti, apprezzate dal cinema d’autore. Pensiamo ai loro ultimi lavori di successo, opere come Lady Bird, Storia di un matrimonio e Piccole donne. Tutti film in cui le tematiche di genere e la rappresentazione del maschile e del femminile sono state tratteggiate con grande cura e profondità, cercando di andare oltre i soliti stereotipi. Pane per i denti di Barbie e Ken, modelli femminili e maschili che negli stereotipi sono rimasti incastrati per decenni. Due figure emblematiche e iconiche, che forse verranno messi sul tavolo operatorio e vivisezionate nei loro paradossi e nelle loro manie. La sensazione è quella di un film che andrà oltre la patina della bella bambolina e del bellimbusto per scardinare modelli di bellezza ed esempi di presunta perfezione. Potremmo trovarci davanti a un film molto più complesso e meno innocuo di quanto suggerisca l’etichetta rosa. E allora forse non saremo davanti a un film con Barbie o sulla Barbie ma come Barbie. Ovvero una specie di trappola, di tranello. Un cavallo di Troia che si presenta in modo diverso da come è davvero.
Facciamo un esempio pratico. Nell’immaginario collettivo la Barbie è diventata sinonimo di ideale di bellezza femminile capace di influenzare (e in alcuno casi “traviare”) intere generazioni di bambine, ma la bambola Mattel è molto più di questo. Per quanto sia legata allo stereotipo di superficiale bellezza canonica, nel corso degli anni Barbie ha portato avanti tante rivoluzioni fin dalla sua nascita negli anni Cinquanta. Ovvero quando alle bambine era permesso solo giocare a fare la mamma. Fu solo grazie a Barbie e con Barbie che iniziarono a immaginare di essere donne, a partire dal loro rapporto col corpo, con l’estetica e la percezione del femminile nel mondo contemporaneo. Barbie passa per la bambolina superficiale, ma in realtà ha anche incarnato la donna lavoratrice, esploratrice e indipendente. Modello di ispirazione e di aspirazioni, oltre che figura di riferimento a livello estetico. Tutte cose spesso dimenticate che questo Barbie potrebbe far a galla con prepotenza attraverso un film meno innocuo e innocente di come appare sulla confezione.
Felici a tutti i costi
Lo sappiamo: stiamo cadendo in contraddizione. Stiamo costruendo aspettative e immaginando il nostro Barbie ideale anche davanti a un film che inibisce le nostre pretese. Però abbiamo questa sensazione: Barbie potrebbe essere il film definitivo sulle nostre isterie social, sulla foga dell’apparire e sulla costruzione posticcia della felicità a ogni costo. Nell’era del narcisismo tossico in cui sbandieriamo sorrisi di continuo, il sorriso plastico di Barbie e la riga al lato di Ken diventano quasi due specchi distorti in cui riconoscere i nostri paradossi. Cosa si nasconde dietro tutto il benessere che imponiamo agli altri? Chi siamo davvero sotto il biondo platino dei nostri profili? Immaginiamo una specie di lungo episodio di Black Mirror (sulla falsariga di Nosedive) in cui descrivere un mondo posticcio, finto e p(l)atinato proprio come quello che alimentiamo e abitiamo ogni giorno. Quello in cui ci piace dipingerci felici come Barbie e fighi come Ken. Ecco, questo film potrebbe davvero essere la commedia cinica definitiva. Quella capace di distruggere (e magari deridere) uno dei più grandi mali dei nostri tempi: il mito di noi stessi. Staremo a vedere. Noi, nel dubbio, siamo già in fila al botteghino. Come nei meme più esilaranti del momento.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!