Non ci siamo ancora ripresi da Past Lives. Non perché abbia compiuto un lavoro trascendentale con la sua narrazione, e neppure perché ci abbia sconvolto con qualche stravagante trovata registica o interpretazione memorabile. C’è qualcosa nel lavoro compiuto da Celine Song, e in particolare nella sua sceneggiatura, che riesce a scavare nel profondo di ogni spettatore: è l’equilibrio profondo di elementi culturali e filosofici, è l’impressionante connubio tra logica ed emozione, ma è soprattutto il talento nell’unire concetti e ricordi che rende unica l’esperienza di Past Lives – e, di riflesso, il talento della sua autrice. Un racconto che parla di sé e di altri, ma parla anche di mondi, società e difficoltà completamente differenti.
L’opera prima della Song gioca con il significato di “relazione”: lo fa nel dipingere con pennellate delicate e profonde la Corea e New York, lo fa nel raccontare la storia di Nora (Na-Young) e Hae-Sung nel corso di quasi venticinque anni. Lasciando che l’ombra del più classico degli amori predestinati aleggi sulla pellicola, la regista riflette sull’eventualità in cui un frammento del tuo passato torni a farsi presente nella tua vita: l’apparente esaltazione del “what if” che si prospetta all’orizzonte di un’idea si unisce a un’identità chiara, figlia della diaspora coreana e di una prospettiva culturale lontana anni luce dall’immaginario occidentale. Danzando senza paura intorno al tema della riunione, Celine Song ha costruito un’opera che parla tantissimo dicendo lo stretto indispensabile: un film come Past Lives, che attraverso fantasie di esistenze e dualismi imperanti celebra un’unicità molto più profonda dell’essenziale.
Tra la penna e la cinepresa
Nel realizzare un’opera tanto profonda, che come avevamo già accennato racconta dell’amore in modo inedito, sono in molti a restare affascinati dalla componente visiva del film – e, allo stesso modo, sono in troppi a sottovalutare la grandezza del suo script. A una prima occhiata, Past Lives potrebbe definirsi quasi fossilizzato su campi lunghi dai toni quasi onirici, esaltando i silenzi per trasmettere quella carica nostalgica pronta a esplodere in primi piani che rendano al massimo le emozioni dei personaggi. Sembra quasi un controsenso citare una sceneggiatura che “dice” poco, ma è proprio la capacità di proporre molto mantenendo il focus sui non detti a rendere il lavoro della Song fra i più intriganti dell’anno.
Siamo davanti a una penna che ragiona per sottrazione, ma che specifica il suo peso emotivo attraverso una cura maniacale che emerge in ogni singola scelta o parola. Portando in scena la forza della sua autorialità, la Song costruisce le basi di un racconto che ci spinga a bramare qualcosa di logicamente impossibile, ma emotivamente auspicabile, esaltando la lotta tra cuore e ragione per permetterci di capire davvero la differenza tra realtà e fantasia. Si tratta soprattutto di un “tradimento” culturale: la Song è consapevole che lo spettatore, abituato a certe dinamiche, penserà fino all’ultimo che quella possibilità possa essere a portata di mano. Così sfrutta un racconto personale per stravolgere le aspettative, allontanandosi dalla sensualità della Nouvelle Vague o dai cliché delle nuove romance.
Un’esperienza quasi meta-cinematografica che si fa specchio di vite vissute, consapevole che basterebbe poco per cambiare, ma che si tiene a debita distanza dalle illusioni. Lo stesso marito (americano) di Nora, personaggio fondamentale e scrittore non a caso, pensa che la storia di Nora e Hae-Sung sia “perfetta”. Ma questa è una storia “reale”, e lo si percepisce dall’inizio alla fine.
Saper andare oltre
Se c’è una cosa che Past Lives fa meglio di molti altri film, è rimarcare l’importanza di mostrare i sentimenti – senza spiegarli. L’amore non ha una forma, ma lo si sente e lo si percepisce: che sia nella sua assenza, negli sguardi, nei piccoli atteggiamenti o nei particolari, il sentire raccontato dalla Song è qualcosa di maturo e consapevole. Con un esordio che impressiona per la sua maestria (soprattutto nella resa scenica dell’empatia), la Song non si ferma neppure a questo e rende il dilemma sul linguaggio amoroso la porta per una miriade di conversazioni, temi, chiavi di lettura. Tutto all’interno di quell’eterna danza tra destino e casualità, che si contrastano costantemente ma a volte concedono spazio a incredibili sorprese.
Gioca con le prospettive e i legami, Past Lives, che film sui “collegamenti” lo è (apparentemente) sin dal suo titolo. E spinge chi osserva a chiedersi cosa voglia davvero da questa storia: il lieto fine, il ribaltamento delle aspettative o semplicemente un’esperienza che lasci qualcosa? Rifuggendo qualsiasi retorica, la Song dimostra un’intelligenza sopraffina e si affida (quasi) ciecamente alla forza autentica di una storia che vuole “essere reale” perché da lei vissuta in prima persona – anche se con dettagli differenti. Così, piuttosto di perdersi nel sottovalutare la sensibilità degli spettatori perdendo tempo a palesare i punti cardinali proprio messaggio, la Song aggiunge carica alla narrazione e rende la sua opera vero cinema d’autore – ossia racconto/manifestazione di sé attraverso storie, messaggi e visioni, tra mondi alternativi e destini paralleli.
Un oceano di emozioni in tumulto
Sull’onda di questa autorialità sprezzante, il film riesce persino a rendere inutile l’idea di schierarsi: i sentimenti sono più complessi di una scelta, e nessun amore (pur con le sue sfumature) può davvero escluderne un altro – che sia quello per il marito, per il legame più longevo o per se stessi. Il concetto portante del film, quello dell’In-Yun di tradizione coreano-buddhista, emerge qui in tutta la sua meraviglia: per il “destino”, ogni legame, anche il più infimo, può avere un valore; i nostri rapporti sono fatti di migliaia di esistenze passate a sfiorarci nel tentativo di avvicinarci, di vite vissute nella speranza che un desiderio si avveri o che il destino trovi una via verso chi scrutiamo dall’altra parte.
Siamo eternamente connessi, o come direbbe qualche cavallo parlante, siamo i legami che creiamo. Ma la Song non vuole che si parli soltanto di questo e anzi si schiera apertamente: Past Lives parla soprattutto di cosa significhi esistere come persona, come sia scegliere la vita che viviamo. In questo senso, cosa significhi questa vita agli occhi di Nora, immersa in un oceano di emozioni in tumulto, e cosa succeda quando l’alternativa che si è lasciata alle spalle torni a palesarsi da un altro infinito spiraglio di possibilità sotto la forma dell’uomo con cui ha vissuto il cambiamento della sua vita.
Come reagire alla vista di un riflesso di te stesso, di un altro tempo ormai perduto?
Ciò che resta dell’amore
La risposta a questo quesito è più semplice di quanto si creda, per quanto sia pesante accettarla. Past Lives potrebbe facilmente cadere in un limbo tipico della malinconia di Wong Kar-Wai o del cinismo di Charlie Kaufman, ma Celine Song spezza i legami col sogno e lascia spazio alla realtà. Quella della vita che viviamo, unica e irripetibile. Forse non è più il cinema dei “se” sussurrati al vento, e la Song sembra averlo capito sin dall’inizio. Il segreto di Past Lives, in contrasto con il suo stesso titolo, è parlare della vita tangibile (e del singolo) attraverso un viaggio tra infinite possibilità e tra le diverse declinazioni dell’amore, che si fa quindi reale anche nelle sue sottigliezze più effimere – trovando la via verso il cuore di chi osserva.
Dal perenne contrasto tra questi dualismi potrebbe persino emergere il dramma di essere ancorati a una sola esistenza: scegliere una vita, del resto, significa perderne un’altra. Nel cuore di quella scelta si cela però la vera ode alla vita del film, come dimostrano le prospettive differenti di Nora e Hae-Sung verso il finale: anche di fronte al cinismo di un amore irrealizzabile, la consapevolezza aprirà sempre uno spiraglio verso la felicità. Nel racconto di quelle vite passate a cercarci, Past Lives lascia una potentissima consapevolezza: dell’amore, di ciò che siamo, di ciò che non possiamo essere. In fondo, l’In-Yun racchiude esattamente questo pensiero: ogni amore, ogni scelta, ogni esistenza ha valore. E di fronte al curioso intreccio del “destino”, persino la speranza può sempre trovare spazio, che sia in questa vita o nella prossima. Anche alla fine di una storia più vera che mai.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!