Non c’è mai abbastanza spazio per parlare di concetti nel Cinema, specialmente quando si fa necessario inquadrare un’intera poetica (come quella di Paolo Sorrentino) in poche righe. Il ritorno del regista a Cannes, luogo la cui attrazione fa rima con la settima arte, non è stato casuale: Parthenope stesso è un film di ritorni, un colosso autorale che sogna una Napoli complessa e a tratti ineffabile. Così è se vi pare: l’ultima fatica del regista partenopeo scavalca il realismo disarmante e sognante di È stata la mano di Dio, abbandonando la sfera strettamente personale di Sorrentino per guardare ancor più a fondo. Nata dall’acqua, creatura errante fra gli oceani del tempo, Parthenope non colpisce solamente perché è la prima donna tipicamente sorrentiniana, ma perché spinge il suo stesso autore a riflettere attraverso una misteriosa allegoria.
Il dubbio c’è ed è lecito porselo: tra eccessi e contraddizioni, tra meraviglie beffarde e suggestioni effimere, chi è davvero Parthenope? Il suo autore, preso dalla malinconia alla ricerca del tempo perduto? O forse la gioventù che osserva se stessa? Nessun buon film, a dirla come Sorrentino, è mai così superbo da concedere risposte. Ma Parthenope, che un buon film lo è davvero, riesce a porre diverse domande – tutte giuste. Per quanto sia affascinante cullarsi nel dubbio, la visione del film offre una chiave di lettura potente, quasi certa: Parthenope è Napoli, città da amare per le sue contraddizioni, seduttrice e seducente come la più idealizzata delle donne.
Un eterno viaggio interiore
Per un film che vive di fascinazioni e atmosfere, Sorrentino costruisce il suo dialogo esistenzialista attraverso icone che del Cinema hanno l’anima e lo spirito: il suo rapporto complesso con Napoli, tra un amore trovato e una diffidenza sofferta, punta all’astrazione per raggiungere il proprio sentire e accettare di non poter cogliere ogni particolare. Celeste Dalla Porta prima, Stefania Sandrelli poi, raccontano la Donna (Napoli) in un’epica del cambiamento che scorre, come il tempo, per trasmettere l’idea di mondi e desideri ancora da decifrare. Sorrentino tenta di riordinare il caos interiore di Parthenope attraverso un qualche ordine figurativo, ma solo appoggiandosi alla profonda consapevolezza femminile riesce a trovare la forza per affacciarsi oltre l’abisso del tempo – forse per sguazzarci, persino.
Parthenope è lì, a donare meraviglia e a nutrirsi di sospiri, a incarnare Napoli e il suo segreto attraverso un’esperienza a due facce: da una parte, la gioventù che si impregna di fascino e meraviglia; dall’altra, la maturità in cui non sembra esserci più spazio per le apparenze. La cesura intima del personaggio aggiunge un’altra scena al magnifico teatro della Città: una donna può stancarsi di vivere senza se stessa; Napoli, invece, vive al di là dei propri conflitti, oltre la sua apparente vacuità. Lo sguardo ammiccante e deformante del regista potrebbe sembrare esagerato, persino stucchevole nel suo rigore referenziale, ma si fa indispensabile per avvicinare il senso dell’opera all’idea di verità che si costruisce per tutto il film.
Il senso di questa Parthenope, Napoli e Donna, sta tanto nello sguardo di chi contempla, trascinato dalla corrente di un fascino irresistibile, quanto in quello di chi se ne allontana, disilluso dalla sua “Dea” sfuggente.
Oltre la consapevolezza
Pur tenendosi a debita distanza da certi fasti della sua ironia, nel racconto del regista permangono i tratti di un orgoglio agrodolce – bellissimo, e in mezzo così infelice, come dicono nel film. Attraverso il mistero di Parthenope, il mare di Napoli si fa oceano di significati e di figure che sfiorano la mitologia tra miseria e nobiltà. Nel quadro sorrentiniano c’è la sfacciataggine di chi sa come piacere e c’è la paura di chi non sa come affrontare le proprie ombre, c’è la dolcezza e c’è l’orrore. Se È stata la mano di Dio segnava un passaggio definitivo alla maturità emotiva portata a schermo, questa decima fatica rappresenta l’opera del coraggio – quello che va oltre la sfera cinematografica e accoglie attivamente il proprio sentire.
Paolo Sorrentino è sempre stato bravo a raccontare il dolore dei giovani, ma con Parthenope e le sue donne riesce per la prima volta a definire i contorni di un certo spirito partenopeo, cogliendo il turbamento di chi nasce al di fuori della normalità. A questo serve che Parthenope si affacci all’antropologia: non basterebbe una laurea per carpire tutti i riflessi di questa Napoli di specchi, ma l’approccio antropologico permette a Sorrentino di rappresentare quella ricerca profonda che parte dalla società, dal mondo (Napoli) per tracciare i contorni dell’animo umano. L’unico modo in cui l’autore può manifestare la propria essenza oltre le apparenze, rivelandosi un osservatore/partecipante come John Cheever, che dai margini della narrazione ammira la vita napoletana e ragiona sulla sua natura travolgente.
Di Terra e di Donne
Viene da chiedersi cosa abbia trovato il Sorrentino uomo dopo aver vagato fra le correnti di questo viaggio intimo ed epico al tempo stesso. L’esperienza del regista riverbera nello spirito della città, persino nelle donne che raccontano Parthenope – su tutte, Luisa Ranieri è emblematica nel porsi come eco di una città tradita dall’amore che credeva di meritare. Il regista prova a cogliere davvero tutte le sfumature della Napoli-Donna in un trionfo di contraddizioni: la Città esiste ed è amata dal suo artista prediletto nonostante la sua natura imperfetta. Per Sorrentino “Napoli” esiste pur sapendo di non esistere davvero, distrutta e mitizzata al tempo stesso dagli uomini che la vivono in ogni istante.
La Donna-Parthenope è come Napoli anche nei momenti peggiori: meravigliosamente a pezzi, potente e indescrivibile. Custodisce una magia che pochi possono pareggiare, ma oggi si ritrova cambiata e, forse per la prima volta, trova il modo di riflettere sulla propria natura cangiante. Sorrentino accetta l’imprecisione per trovare completezza simbolica: in Parthenope c’è un’identità imprecisa e solenne che ancora attrae, che resiste alle realtà esterne nonostante il peso della modernità si faccia sempre più opprimente. Quella tendenza, pura e non giudicante, che rende unica l’esistenza di quel microcosmo in cui coesistono sorpresa e delusione, inquietudine e magia. Parthenope: donna meravigliosa, paradiso e inferno in terra, poesia di luoghi e sentimenti.
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