Il fenomeno mediatico Avatar: La Via dell’Acqua ha una durata di 192 minuti, mentre The Fabelmans, il capolavoro semi-autobiografico di Steven Spielberg, ne dura 151.
Ora nelle sale è arrivato Babylon di Damien Chazelle, un ambizioso lungometraggio da 189 minuti, mentre la principale alternativa italiana, nel mese di gennaio, era rappresentata da Le Otto Montagne (147 minuti).
A quanto pare, nel sempre più effimero dibattito social contemporaneo, sono sufficienti quattro film per innescare le proteste scandalizzate di pubblico e opinionisti, e c’è addirittura chi ha paragonato la visione in sala di questi titoli a un autentico “sequestro di persona”.
Nel mirino delle critiche è finita la presunta tendenza del mondo cinematografico di oggi a realizzare film sempre più lunghi, che scoraggerebbero lo spettatore medio a recarsi in sala.
A risultarne danneggiati sarebbero sia gli appassionati, messi a dura prova da un’esperienza “troppo hardcore” e difficile da sostenere per apprezzare appieno la visione, sia gli esercenti delle sale, costretti a ridurre il numero degli spettacoli per serata.
Con un effetto boomerang, a farne le spese in ultima istanza sarebbero gli stessi registi e produttori, con perdite economiche su entrambi i fronti.
La genesi del fenomeno sarebbe incerta: c’è chi suppone che sia colpa dell’attuale proliferazione delle serie tv, e chi invece, con un briciolo di memoria storica in più, afferma che tutto è iniziato nel 2001 con Il Signore degli Anelli.
A onor del vero, la polemica non è certo nuova: al tempo di Avengers: Endgame ci fu persino chi si preoccupò delle esigenze fisiologiche degli spettatori, invocando la presenza di lunghi intervalli.
Visto che il dibattito sta assumendo toni a dir poco grotteschi e surreali, riteniamo sia giunto il momento di dire basta. Ecco perché, secondo noi, vedere un film al cinema non è mai un “sequestro di persona”.
Film lunghi: è davvero una tendenza contemporanea?
In un’epoca in cui le pagine dei quotidiani sono continuamente affollate da titoli che parlano di “caldo record”, “nevicate mai viste” e altre analoghe banalità, si fa davvero in fretta a inaugurare nuove, presunte breaking news laddove invece la normalità regna sovrana.
Pertanto, prima di affrontare la provocatoria questione del “sequestro di persona”, conviene fare un passo indietro.
Siamo davvero sicuri che la proliferazione di film così lunghi come Avatar, The Fabelmans e Babylon sia un fenomeno contemporaneo?
In realtà, se di un male si tratta, è un male vecchio quanto la settima arte.
A “soffrirne” – le virgolette sono d’obbligo! – non sono soltanto gli ultimi lungometraggi di Cameron, Spielberg e Chazelle, ma anche molte autentiche pietre miliari della storia del cinema, sicuramente non influenzate dalla concorrenza delle serie tv o dall’onda lunga del Signore degli Anelli di Peter Jackson.
È il caso – a mero titolo di esempio – di Via col Vento, che dura 238 minuti, de I sette samurai, (207 minuti), di Ben-Hur (212 minuti), di Lawrence d’Arabia, che debuttò al cinema in una versione “ridotta” da 202 minuti, di It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World (205 minuti), di C’era una volta in America (251 minuti), di Balla coi Lupi (181 minuti), di Malcolm X (201 minuti), di Schindler’s List (195 minuti) e di tanti altri grandi classici.
Film che – per inciso – di certo non possono essere accusati di “allungare il brodo”, o di scarsa qualità.
In tempi appena più recenti, ricordiamo anche, tra gli altri, Titanic (195 minuti), Gangs of New York (167 minuti), The Aviator (169 minuti), il primo Avatar (162 minuti), Django Unchained (165 minuti), The Wolf of Wall Street (180 minuti), The Irishman (209 minuti) e vari altri titoli ancora.
Con buona pace della presunta “tendenza contemporanea”…
Lasciamoci “sequestrare” dalla magia della sala
Confessiamolo: chi non si è mai fatto trascinare da una buona serie tv, lanciandosi nel cosiddetto binge watching, ossia nella visione consecutiva dei vari episodi? Chi non si è mai cimentato in una maratona cinematografica?
I numeri parlano chiaro: sono milioni le persone che, ad esempio, hanno divorato Mercoledì poco dopo il suo approdo su Netflix. Eppure, in quel caso, nessun guru dei social si è sognato di parlare di “sequestro di persona”, perché si sarebbe trattato di un auto-sequestro volontario!
La proliferazione del binge watching e delle maratone cinematografiche domestiche provano senza possibilità di smentita come anche il grande pubblico sia ampiamente in grado di fruire di contenuti audiovisivi molto più lunghi di tre ore.
E se il problema non stesse nella durata della proiezione, quanto nella difficoltà di isolarsi dai mille input che provengono da mondo esterno, e dedicare tutta la nostra attenzione al racconto che si sta dipanando sullo schermo? In sala le luci si spengono, le voci e i disturbi ambientali se ne vanno e anche i cellulari restano – o dovrebbero rimanere – spenti. La sovrastimolazione sensoriale che contraddistingue le nostre vite, insomma, scompare quasi del tutto.
La qualità dell’impegno che viene richiesto allo spettatore è più elevata, dal momento che la proiezione non può essere interrotta e la concentrazione deve rimanere alta.
Forse, a ben vedere, ad aver “sequestrato” la vita di ciascuno di noi sono proprio i cellulari e le app, che non di rado innescano preoccupanti meccanismi di autentica dipendenza e bombardano la soglia dell’attenzione umana.
E se, spegnendo le luci della sala e privandoci momentaneamente degli altri stimoli, il cinema ci stesse invece momentaneamente liberando, anziché “sequestrarci”?
Il cinema ci sfida a fare un patto con noi stessi
Se così fosse, si tratterebbe di una liberazione indubbiamente faticosa, che passa attraverso il pieno recupero delle nostra capacità di attenzione e concentrazione.
Ma nondimeno, rappresenterebbe pur sempre di una liberazione, proprio come lo è la lettura prolungata di un libro in completo silenzio.
Non è un caso se anche questa pratica viene ormai considerata sempre più gravosa ed estenuante, al punto che i nuovi modelli didattici – come la cosiddetta “scuola senza zaino” – sembrano sul punto di esonerare del tutto le giovani menti da una “sofferenza” così estenuante. Eppure, c’è qualcosa di profondamente sano nel posare i telefoni, riacquistare la concentrazione e innalzare gradualmente la nostra soglia dell’attenzione, scegliendo di consacrare due o tre ore della nostra vita all’esperienza cinematografica.
Certo – ci avverte lo stesso James Cameron, parlando di Avatar: La Forma dell’Acqua – non è qualcosa che si può fare sul divano di casa:
Quello che stiamo dicendo, a livello sociale, è che ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di andare al cinema e di vivere quella esperienza.
Penso che coloro che usano il cellulare in sala perdano di vista il punto della questione. Quando entriamo in una sala cinematografica, facciamo un patto con noi stessi per avere la totale attenzione per un paio d’ore. Per me è questo il punto.
Non è solo una questione legata al grande schermo e a un ottimo audio, è immergersi in una storia, prendersi un impegno con se stessi. Se uno entra in modalità multitasking in una sala cinematografica, perde completamente di vista il punto.
Una sfida senz’altro difficile, quasi una provocazione: ma possiamo farcela, anche se il film dura tre ore e qualche minuto!
“Le dimensioni non contano”
A onor del vero, chi se la prende con i film lunghi parlando di “sequestro di persona” sostiene che, in effetti, a subire un danno non sia l’amante della sala o il cinefilo più incallito, bensì lo spettatore medio, che vuole soltanto trascorrere una serata tranquilla, e non avrebbe certo intenzione di stipulare questo “patto” di cui parla Cameron.
L’eccessiva durata delle proiezioni scoraggerebbe le persone dal recarsi al cinema, e starebbe arrecando un serio danno all’intera industria cinematografica. Ad aggravare lo scenario, inoltre, contribuirebbe pure l’impossibilità per le sale di programmare tre spettacoli a serata, costrette a fermarsi a due a causa dell’eccessiva durata dei lungometraggi.
Eppure, in un anno di sale quasi costantemente vuote o semivuote, Avatar: La Via dell’Acqua ha fatto il pieno di incassi, anche soltanto con due proiezioni a sera.
Analogamente, risulta davvero difficile sostenere che i 2 miliardi di dollari incassati in tutto il mondo provengano soltanto da cultori della sala e “spettatori hardcore”. Che si tratti soltanto di un caso isolato, rappresentato dal fenomeno-Avatar? I numeri dicono tutt’altra cosa, dal momento che, tra i film più lucrativi di sempre, alle spalle del primo capitolo della saga di Pandora di James Cameron (162 minuti), si attesta Avengers: Endgame, con una durata di 182 minuti.
Certo, si obietterà, stiamo parlando del marchio Marvel, forse il più noto su scala mondiale.
Un’altra eccezione?
Forse, al contrario, è proprio questo il punto: il cosiddetto “spettatore medio” non si lascia certo scoraggiare da un’ora di proiezione in più se si tratta di un titolo a cui tiene davvero, e i numeri lo confermano.
Al contrario, se il film non interessa, neppure una durata ridotta sarà sufficiente a riempire le sale.
“Size matter not”, direbbe Yoda. Le dimensioni – anche al cinema – non contano.
Lasciamo parlare i numeri
Non ne siete ancora convinti? Ripercorriamo i dieci più grandi successi di pubblico della storia del cinema, stavolta però adeguando gli incassi in sala all’effetto dell’inflazione, per avere una classifica più veritiera.
- Via col Vento (238 minuti)
- Avatar (162 minuti)
- Titanic (195 minuti)
- Guerre Stellari (121 minuti)
- Avengers: Endgame (182 minuti)
- Tutti Insieme Appassionatamente (174 minuti)
- E.T. L’Extraterrestre (115 minuti)
- I Dieci Comandamenti (220 minuti)
- Il Dottor Zivago (197 minuti)
- Star Wars: Il Risveglio della Forza (135 minuti)
Se impugniamo una calcolatrice, scopriremo che la durata media dei dieci maggiori dominatori del botteghino nella storia è quindi di circa 174 minuti!
Non c’è molto da aggiungere: a quanto pare, nel corso dell’ultimo secolo, gli spettatori non hanno mai temuto i film che durano tre ore. Lungometraggi che, è bene ricordarlo, non rappresentano certo una novità nel mondo della settima arte.
Provocatoriamente, si potrebbero quasi capovolgere le parole di quanti invocano film più brevi: mai come ora le sale hanno bisogno di film lunghi, lunghissimi, dal momento che sono da sempre i più redditizi per l’intera industria cinematografica!
Si tratta – ci teniamo a ribadirlo – di una semplice provocazione, che intende rimanere tale…
“Film finisce quando arbitro fischia”
Da ultimo, al di là dei numeri, della fanta-teorie sul comportamento dello spettatore medio e dei “sequestri di persona” veri o presunti, è bene tener presente un dato di fatto incontrovertibile, che troppo spesso finisce per passare in secondo piano nel dibattito giornalistico e social. Fare film è – sempre e prima di tutto – una forma d’arte.
Il che significa, parafrasando il compianto allenatore Vujadin Boškov, che dobbiamo rassegnarci: proprio come i giocatori non possono decidere la durata di una partita, il film dura, o quantomeno dovrebbe durare, tanto a lungo quanto il suo creatore lo ha concepito. Il paragone con altre forme di espressione creativa può senz’altro rendere l’idea di quanto ogni obiezione sia sterile.
Nessuno si è mai sognato di proporre una lunghezza media per un classico della letteratura, categoria che annovera indiscriminatamente Guerra e Pace di Lev Tolstoj (1.415 pagine) e Memorie dal Sottosuolo di Fedor Dostoevskij (137 pagine), né si è mai pensato di suggerire la dimensione media per la tela per un pittore, o di protestare per l’eccessiva durata di un album musicale.
Storia di tagli, di director’s cut e di film troppo lunghi
Certo, quella della libertà artistica rimane una splendida utopia: nella realizzazione di un film entrano inevitabilmente in gioco anche forti esigenze commerciali, come ben sanno i numerosi registi che hanno sofferto drastici tagli alle loro opere per mano delle major.
Molto spesso, tuttavia, la menomazione di un film per farlo rientrare nei canoni di lunghezza finisce per abbatterne la qualità, e snaturarlo radicalmente: è fuori di dubbio, ad esempio, come la questione abbia giocato un ruolo decisivo nel flop del Dune (1984) di David Lynch, e anche i detrattori più accaniti di Zack Snyder concorderanno sul fatto che la versione estesa di Batman v Superman rilasciata in home video sia molto migliore dell’edizione cinematografica.
Per tacere dell’annosa querelle che ha riguardato il successivo Justice League: a prescindere dal subentro di Joss Whedon e dalle massicce ingerenze di Warner Bros, è piuttosto pacifico che la maestosa versione estesa rilasciata nel 2021 (dopo un’imponente mobilitazione dei fan) sia conclamatamente superiore a quella ridotta – e obiettivamente brutta! – vista nelle sale nel 2017.
D’altro canto, non mancano pure moltissimi esempi di pellicole troppo lunghe a cui invece molto avrebbe giovato un minutaggio inferiore. Ci sono film da tre ore che avrebbero dovuto durarne due, film da due ore che avrebbero dovuto durare 90 minuti, e persino film da 90 minuti che restano comunque troppo lunghi, noiosi e inconcludenti.
Come sempre, è questione di singole scelte autoriali o produttive, che possono sancire il successo o il tracollo di un film, ma che devono necessariamente essere valutate caso per caso.
Decretare su scala generale che i film debbano standardizzarsi e appiattirsi sulla durata standard di due ore e poco più, invece, rimane una pericolosa stupidaggine, che – se presa sul serio – potrebbe nuocere gravemente alla creatività cinematografica.
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