Il cinema si è sempre ispirato all’arte, in un modo o nell’altro, e registi di tutte le epoche hanno colto più volte l’occasione di citare nei loro film alcuni dei dipinti più celebri. Lo vediamo chiaramente nella saga di James Bond, quando in Dr. No (1962) il regista Terence Young scelse di omaggiare il Ritratto del Duca di Wellington di Francisco Goya sottratto alla National Gallery di Londra nel 1961, ma che l’anno successivo ritroviamo faccia a faccia proprio con Sean Connery. Più recentemente è stato Sam Mendes, con Skyfall (2012), a fare lo stesso utilizzo della Donna con ventaglio di Amedeo Modigliani, rendendo Daniel Craig testimone di un furto effettivamente avvenuto nel Museo d’Arte Moderna di Parigi nel 2010.
Oltre a queste comparse fugaci ed entusiasmanti easter eggs per gli appassionati, nei film dell’agente 007 ci sono alcuni dipinti che si sono fatti portatori di un messaggio fondamentale per la trama, suggerendo allo spettatore la giusta chiave di lettura di ciò che stanno vedendo sullo schermo, talvolta anticipandone il finale. Si tratta dei dipinti a tema navale che abbiamo visto soprattutto negli ultimissimi film e che in un certo senso hanno predetto la sorte del protagonista in modo quasi profetico, ma trattati alla stregua di una Cassandra qualsiasi: ecco le opere d’arte che hanno anticipato il finale di No Time to Die.
La Valorosa Téméraire
Una vecchia nave da guerra che ha già raggiunto il suo apice e non è più necessaria, in No Time to Die salutiamo il James Bond di Daniel Craig come una Valorosa Téméraire, trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita. Ce lo anticipa in Skyfall (2012), quando recatosi nella sala numero 34 della National Gallery di Londra, in attesa di incontrare l’agente Q, Bond si ritrova faccia a faccia con il suo destino specchiandosi nel dipinto più famoso di William Turner. La Téméraire era infatti la nave che nel 1805, durante l’iconica Battaglia di Trafalgar, aveva difeso dal fuoco francese la nave bandiera guidata da Lord Nelson, la HMS Victory. È curioso come una delle navi britanniche che contribuirono alla vittoria contro le flotte franco-spagnole avesse proprio un nome francese.
Nonostante i danni la nave rimase in servizio fino al 1838, quando fu dismessa e trainata lungo il Tamigi per essere demolita. Lo stesso anno Turner scelse di raffigurarla proprio in quel momento, immersa nella luce intensa di un tramonto infuocato e trainata lentamente, silenziosamente, tra le acque del Tamigi in attesa di essere distrutta. Sappiamo che si tratta del suo ultimo viaggio grazie alla presenza del vessillo bianco, issato sul pennone in sostituzione della maestosa Union Jack: simbolo di una resa dignitosa e, allo stesso tempo, del tramonto della gloriosa tradizione della navigazione a vela, che si apprestava a lasciare spazio alle nuove imbarcazioni a vapore. Una visione eterea, leggiadra, dipinta in oro e argento simile all’immagine di un veliero fantasma, una netta contrapposizione al nuovo rimorchiatore a vapore che la trascina, più piccolo e scuro, quasi sospetto con quella grossa ciminiera che vomita fuoco. Quello che vediamo dipinto qui è il contrasto tra vecchio e nuovo, tra passato e futuro, lo stesso che in Skyfall viene incarnato dal dialogo tra Bond e Q proprio davanti il dipinto di Turner, intenti a ricordarci che se l’età non è una garanzia di efficienza, anche la giovinezza non lo è di innovazione.
I dipinti nell’ufficio di M
Bond definisce il dipinto di Turner così, come “tanta acqua e una barca”, ignaro del fatto che questi elementi simboleggino rispettivamente il proprio inconscio e il viaggio. E di viaggi ne ha affrontati tanti, Bond. Lo abbiamo visto nelle città europee più familiari e leggendarie come Parigi (A View to a Kill) e Venezia (Moonraker, Casino Royale), nelle famose metropoli di altri continenti come New York (Live and Let Die) e Tokyo (You Only Live Twice), così come in strade meno battute dal cinema che lo hanno portato in Giamaica (Dr. No, No Time to Die), ad Haiti (Quantum of Solace) e in Islanda (Die Another Day). Tuttavia, per quanto in lungo e in largo possa viaggiare, c’è solo un posto in cui torna a gettare l’ancora in ogni film: l’ufficio di M. Se i muri di questo ufficio potessero parlare, ascolteremmo probabilmente un monologo sulla potenza della Marina britannica.
Infatti, nello studio del primissimo M interpretato da Bernard Lee, possiamo facilmente individuare diversi quadri legati alle navi militari, qui non tanto come iniziativa dei registi, ma come omaggio al personaggio creato da Ian Fleming che nei libri ha occasionalmente fatto riferimento alla carriera di M nella Marina britannica. Tra le diverse rappresentazioni incorniciate e appese sulle pareti, dietro la sua scrivania spicca una nave che viaggia a vele spiegate e in mare aperto: un dipinto anonimo, di un artista non identificato, che ci parla di un James Bond nel suo periodo di massimo splendore, giovane, nel bel mezzo dell’azione, che viaggia letteralmente dietro ad una British Victory.
Quando il ruolo di M viene però preso in carico da Ralph Fiennes, è un altro il dipinto a catturare la nostra attenzione: quella che vediamo è proprio l’HMS Victory, la nave di Lord Nelson salvata dal fuoco dalla Téméraire, qui immortalata da Thomas Buttersworth nel 1842. Un marinaio inglese che divenne un pittore della marina, ci propone ancora una volta il tema della battaglia di Trafalgar. La storia è quella di un lungo e frustrante inseguimento attraverso l’Atlantico che culminò in uno scontro diretto tra la Royal Navy e la flotta franco-spagnola al largo di Capo Trafalgar. Essendo in inferiorità numerica, l’ammiraglio inglese escogitò un piano non proprio convenzionale per rompere la linea nemica (il cosiddetto “tocco di Nelson”, che voleva le navi disposte in una forma a T spezzando lo schieramento avversario). Ne seguì una carneficina, durante la quale un tiratore scelto francese riuscì a colpire l’eroico Nelson. Trasportato sottocoperta, ferito, visse abbastanza a lungo da sentire che quella a Capo Trafalgar era diventata una vittoria britannica. La vittoria britannica per antonomasia.
Alla fine di tutto però, nelle battute finali di No Time to Die, nell’ufficio di M rimane una sola nave che riprende il suo viaggio: la stessa che abbiamo visto nell’ufficio di Bernard Lee. È tempo di andare avanti, senza però dimenticare da dove siamo partiti. Con quest’ultimo capitolo salutiamo il James Bond di Daniel Craig non solo come una vecchia Téméraire, sacrificatasi al fuoco per salvare il mondo dalla minaccia dell’arma di Safin e la sua famiglia, ma un po’ anche come un nuovo Lord Nelson, temerario combattente che si sacrifica per qualcosa di più importante, ma che riesce a vivere abbastanza a lungo da sapere che ha vinto.