Se La zona d’interesse, pellicola con un titolo di per sé piuttosto enigmatico, è volto a dimostrare la “banalità del male” di cui si è tanto discusso, il finale del film si presenta come qualcosa di fortemente simbolico e al quale sono state date diverse chiavi di lettura. Andiamo a vedere le più significative.
Alla fine di questa fiaba di Andersen al contrario dove, fin ora, abbiamo visto la vita di una comunissima famiglia, Rudolph Höß è in un momento buono della sua carriera e ha appena ricevuto l’incarico dalle SS di deportare 700.000 ebrei ungheresi ad Auschwitz, così lo vediamo festeggiare ad una serata di gala alla quale sono presenti le alte sfere del nazismo. Höß si allontana ed esplora il palazzo del Reich, a un certo punto scende le scale più in basso nel palazzo fino ad una zona buia. Metaforicamente già questa immagine suggerirebbe una sorta di discesa agli inferi, ma andiamo avanti.

Nel corso della discesa Höß deve fermarsi un paio di volte perché lo sorprendono dei conati di vomito, tuttavia non rigetta niente. Non sembra preoccupato e continua a precedere in questa discesa finché non si imbatte in due corridoi non illuminati, mentre l’unico punto di luce è alla base della scalinata. Guardando uno dei due corridoi Höß ha una visione del futuro e vede il campo di sterminio ai giorni nostri mentre delle addette alle pulizie lo stanno pulendo prima dell’arrivo dei visitatori. Ormai Auschwitz è un luogo di memoria e il suo operato che nella sua vanagloria si aspettava avrebbe riecheggiato negli anni in effetti un segno lo ha lasciato, ma non è quello che si aspettava.
E non è nemmeno la prima scena simbolica che vediamo in questo film, poiché tra una scena e l’altra si vedono sequenze in negativo, che hanno necessitato una dovuta spiegazione, con una bambina slegata dal contesto familiare, probabilmente un’ebrea. Ma cerchiamo di approfondire l’aspetto legato al protagonista e a cosa gli succeda in quel corridoio.
Una crisi di rigetto
Certamente salta all’occhio come vi sia una scissione totale tra il corpo e la mente del personaggio. Come in un trapianto, nella mente di quest’uomo è stato trapiantato il male. Egli non ha coscienza di essere stato istruito al male e di averlo ereditato da persone che hanno pensato e studiato lo sterminio degli ebrei mentre lui contribuiva a questo sterminio come l’ingranaggio di un macchinario e solo per raggiungere i propri obiettivi di successo e riconoscimento sociale. Si sa però che una conseguenza dei trapianti potrebbe essere la crisi di rigetto e il corpo umano ha una sua esistenza che talvolta non è in sintonia con i nostri pensieri. Höß può anche essere convinto di ciò che sta facendo ma il suo corpo evidentemente gli dice il contrario.
Un’altra possibile interpretazione dei conati di vomito di Höß potrebbe essere una sorta di premonizione della sua fine. Rudolf Höß (quello vero) fu giustiziato nel 1947 e fu impiccato, dunque i conati potrebbero invece suggerire il soffocamento dovuto alla corda. Ma non finisce qui perché, in una lettura più semplice ma altrettanto plausibile, il gerarca nazista ha vissuto a stretto contatto con i fumi dei forni crematori di Auschwitz e quindi aver inalato la cenere proveniente da quei forni della morte potrebbe avergli causato problemi respiratori. A pensarci la situazione ha un che di orrorifico poiché di fatto è come se Rudolf avesse respirato i resti delle vittime e il suo corpo (come abbiamo detto non in sintonia con le sue convinzioni) ha reagito.
È una presa di coscienza?
Se con questa scena finale avete pensato, per un momento, che Rudolf Höß nutra dei dubbi sulla propria ideologia, e in generale sul suo comportamento, purtroppo non è così. Lo stesso Jonathan Glazer ha dichiarato che Höß non ha una coscienza e dunque non si pone mai delle domande su quanto sia giusto o sbagliato quello che fa. La versione più accreditata sul finale di La zona d’interesse è quella che vede una lotta tra il corpo e la mente. Nel suo agire l’essere umano si lascia guidare dalle proprie convinzioni e nella maggior parte dei casi non ascolta i segnali del corpo o l’istinto che molte volte arrivano lì dove la mente, offuscata da determinate convinzioni non arriva. I conati di vomito sono un segnale preciso del rigetto, dello senso di disgusto che si prova di fronte ai crimini commessi dai nazisti.
Si può, dunque, pensare che il corpo umano sia naturalmente predisposto a rifiutare l’orrore anche se la mente che abita quel corpo lo conduce verso un buio corridoio (come quello che vediamo in questa scena). Con La zona d’interesse siamo di fronte al classico caso di un film capace di cambiarci dentro e forse, capace anche di cambiarci la vita. Avete presente quando il sole spunta gradualmente da dietro una nuvola che fino a poco prima lo stava coprendo? Gradualmente ritorna la luce e allora tutto risulta più chiaro, anche le cose che fino a poco fa erano in ombra. Ebbene il film di Glazer, esattamente come tutti quelli della sua filmografia, ha puntato una luce lì dove non guardavamo e la normalità che ci ha svelato dietro l’orrore dell’Olocausto è stata forse più agghiacciante dello stesso inferno dei lager che tanti film prima di questo ci hanno mostrato.