Non è facile dire con certezza quale tecnica d’animazione sia stata utilizzata per la creazione di Klaus – I segreti del Natale, il film originale di Netflix che nel 2019 sconvolse il pubblico mondiale per il suo nuovo approccio narrativo alla storia di Babbo Natale e, soprattutto, l’animazione mai vista prima. Cos’era? CGI, verrebbe da dire di slancio. Eppure aveva qualcosa di diverso, qualcosa che ingannava. Ebbene, in realtà Klaus è stato realizzato interamente in tecnica tradizionale.

Frame dopo frame, gli animatori hanno disegnato, paperless, per creare l’animazione. Ma allora cos’è che c’è di diverso da un semplice film in animazione tradizionale, uno in 2D? Vediamo i segreti della tecnica utilizzata dal film, la tecnica, ad oggi, ancora unica nel suo genere.

Un’idea originale, una storia realistica

Un'immagine dal film 'Klaus'
Un’immagine dal film ‘Klaus’, fonte: Netflix

Partiamo dall’inizio. Pablo Sergio, regista, era alla ricerca di una grande idea per il suo nuovo film. A catturare la sua attenzione furono le vecchie leggende, il folklore, il mistero, ma nessuna che lo convincesse del tutto. Così scartò Giovanna D’Arco, Napoleone e persino Dracula, e quando arrivò a Babbo Natale… scartò anche lui. Fortuna vuole che decise di ragionarci un pochino, prima di dimenticarlo del tutto. E allora giunse la domanda chiave: come raccontare di nuovo la storia più raccontata al mondo? Come impedire che sia banale? Ne derivò l’originalità di Klaus, la chiave della sua narrazione, quello che lo distinguesse (e lo distingue) dagli altri film sul Natale: l’assenza della magia.

Nessun incanto, nessuna bacchetta, nessun luccichio nella notte di Natale. E le renne volanti, l’uomo enorme che s’infila nei più piccoli comignoli: sparì tutto. Era arrivato il momento di raccontare una storia nuova, che fosse reale. Di vedere fino a che punto poteva spingersi la leggenda, se si toglieva qualsiasi trucco. Così Babbo Natale divenne un uomo comune, il protagonista un postino alquanto irritante, e nessun Polo Nord, nessuna città degli elfi. Solo un’isola grigia, dagli inquietanti abitanti in lotta tra loro, Smerensburg, ispirata alla realmente esistita Smerenburg. Poi, la vera rivoluzione del film. L’animazione.

Come rivoluzionare l’animazione

Un esempio del processo di realizzazione di 'Klaus'
Un esempio del processo di realizzazione di ‘Klaus’, fonte: The SPA Studios

Non lasciatevi ingannare dal successo ottenuto dal film. Quando non era altro che un insieme di illustrazioni e qualche appunto del regista, non ci furono esclamazioni di sorpresa e grida al capolavoro. Ci fu un “forse è un libro per bambini. Di certo non è un film”. E fu solo quando realizzarono un teaser, il primo teaser di Klaus, che si arrivò a dire che sì, ora lo avevano. Avevano un film. Avevano Klaus.

Sergio Pablos, animatore per la Disney e vecchia scuola, non ha mai visto la CGI come la naturale evoluzione della tecnica tradizionale. E se volessimo dirla tutta, in effetti le due non si toccano proprio in nessun punto. Sono due modi di animare, due modi di disegnare, e come ha detto lo stesso Pablos, “la CGI ci ha permesso di animare il realismo, e ora siamo annoiati”. Così decise che Klaus sarebbe stato animazione tradizionale, animazione alla vecchia maniera: bidimensionale. Ma poi, cos’avrebbe avuto di particolare?

Così si arrivò alla chiave che avrebbe cambiato tutto: la luce. Forse non tutti ne sono a conoscenza, e forse non tutti se lo sono chiesti guardando la differenza tra un prodotto in animazione tradizionale e uno in CGI, ma luce è prerogativa dell’animazione in 3D. L’animazione del volume, che è perciò animazione delle ombre. Non riguarda la tradizionale, e per principio non doveva riguardare Klaus. Invece decisero di farlo. Di aggiungere la luce al film, a ogni personaggio, a ogni movimento. Ma non si può utilizzare la CGI per questo. Bisognava fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non era mai stato fatto. Bisognava dipingere la luce su ogni frame.

Le origini del successo

Jesper in una scena di 'Klaus'
Jesper in una scena di ‘Klaus’, fonte: Netflix

Così nacque il teaser che catturò l’attenzione di Netflix. Avevano un’idea e ora avevano anche uno stile: era tempo di fare un film. Ma fare un intero lungometraggio in quel modo, disegnando la luce, ingannando l’occhio di chi guardava, richiedeva troppo tempo. Così fu addestrato un software apposito battezzato KLaS, Klaus Lightning and Shadow, che permetteva agli animatori di disegnare le luci con più facilità. E là dove la tecnologia non arrivava e commetteva errori, subentrava la mano degli artisti, che aggiungevano i dettagli di luci e ombre che ci hanno incantati nel 2019.

Realizzata la luce sul tradizionale e non ancora contenti, gli artisti di Klaus si concentrarono poi sulle texture da dare ai personaggi e ai loro oggetti, ai loro indumenti. Così ogni dettaglio aveva volume, ogni personaggio esisteva nell’ambiente in cui si trovava, ogni corpo era spesso, reale, tridimensionale ed era vivo. Alla fine solo piccoli dettagli microscopici e pochi elementi furono effettivamente realizzati in CGI, come la carrozza di Jesper e il suo piatto a inizio film, ma furono comunque illuminati a mano, continuando con la loro illusione.

Jesper prima e dopo l'aggiunta dell'effetto luce sviluppato per il film
Jesper prima e dopo l’aggiunta dell’effetto luce sviluppato per il film, fonte: The SPA Studios

Klaus è stato candidato agli Oscar come miglior film d’animazione del 2020. È stato guardato da più di trenta milioni di persone solo nel suo primo mese sulla piattaforma, e a cinque anni dalla sua uscita continua a far parlare di sé come il primo giorno. Quando Netflix azzardò il rischio che tutti gli altri avevano temuto, giocò le sue carte su una tecnica d’animazione abbandonata da anni e fino ad allora a malapena utilizzata nella produzione di film. Non sapeva cosa avrebbe creato, non sapeva quanto avrebbe vinto. Il diritto di poter dire che la tecnica tradizionale è tutt’altro che morta. Che il principio dell’animazione può solo evolversi. A partire, forse, proprio da Klaus.

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Nata a Roma nel 2004. Dal 2023 collabora con ScreenWorld.it e Taxidrivers.it. Attualmente studia all'università degli studi di Roma di Tor Vergata e coltiva nel privato la sua passione per il mondo dello spettacolo, oltre a dedicarsi a una pagina social in cui parla di cinema e settima arte. I suoi film preferiti sono La La Land, Tick,Tick... Boom! e The Greatest Showman (deve ancora elaborare Soul) e in sala finisce i popcorn ai titoli di testa. Sempre.