Era uno di quei progetti che sembrano appartenere più alla fantascienza che alla realtà: Tom Cruise che gira un film nello spazio, davvero nello spazio, collaborando con la NASA e SpaceX di Elon Musk. Un’impresa che avrebbe rappresentato l’ennesima sfida fisica per l’attore più temerario di Hollywood, quello che pilota jet militari per davvero, che si appende agli aerei in volo e scala grattacieli senza controfigure. Eppure, dopo cinque anni di attesa e speculazioni, quel progetto rivoluzionario sembra essere definitivamente naufragato. E questa volta non per limiti tecnologici o budget insufficienti, ma per una ragione molto più terrena: la politica.

Secondo quanto riportato da Page Six del New York Post, Tom Cruise avrebbe scelto di abbandonare il film per non trovarsi nella posizione di dover chiedere favori a Donald Trump. Il progetto, che vedeva alla regia Doug Liman, lo stesso regista di Edge of Tomorrow e Barry Seal, richiedeva infatti il coordinamento della NASA e l’approvazione del governo federale. Una fonte vicina alla produzione ha dichiarato che l’attore non voleva oltrepassare quel limite, preferendo rinunciare al sogno spaziale piuttosto che legarsi a dinamiche politiche che avrebbero inevitabilmente compromesso la sua immagine di star rigorosamente apartitica.

La decisione di Cruise assume contorni ancora più significativi se contestualizzata. L’attore ha sempre mantenuto un profilo basso rispetto alle sue posizioni politiche, evitando accuratamente di schierarsi pubblicamente. Una strategia che ha tutelato la sua carriera per decenni, permettendogli di rimanere un’icona globale al di sopra delle divisioni partitiche. Chiedere l’intervento della NASA in un’amministrazione Trump, per di più con la necessità di coinvolgere SpaceX di Elon Musk, figura ormai indissolubilmente associata alla cerchia presidenziale, avrebbe significato caricarsi di un’etichetta politica impossibile da rimuovere.

Il progetto era stato annunciato per la prima volta nel maggio 2020 da Deadline, scatenando l’entusiasmo di appassionati di cinema e tecnologia. L’idea era audace: girare scene a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, con Cruise che avrebbe dovuto sottoporsi a un addestramento fisico estremo per affrontare le sfide del volo spaziale. Jim Bridenstine, amministratore della NASA nominato proprio da Trump, aveva immediatamente espresso il suo sostegno pubblico, twittando: “La NASA è entusiasta di collaborare con Tom Cruise a un film a bordo della Stazione Spaziale. Abbiamo bisogno di media popolari per ispirare una nuova generazione di ingegneri e scienziati a trasformare in realtà gli ambiziosi piani della NASA“.

Ma proprio quell’entusiasmo istituzionale, che sembrava aprire le porte a un’impresa senza precedenti, si è rivelato un’arma a doppio taglio. Accettare quel supporto avrebbe inevitabilmente significato entrare in un territorio politicamente marcato. Non è un caso che lo scorso agosto Cruise abbia rifiutato il Kennedy Center Honor conferitogli da Trump, giustificandosi con un generico conflitto di impegni. Un segnale chiaro della volontà dell’attore di mantenere le distanze da qualsiasi associazione con l’attuale amministrazione. Il regista Doug Liman, che aveva già lavorato con Cruise in due occasioni, aveva anticipato qualche mese fa le difficoltà del progetto, lasciando intendere che forse si sarebbe optato per un film a tema spaziale piuttosto che per riprese effettive in orbita. Una dichiarazione che ora assume tutto un altro significato: non era solo una questione di fattibilità tecnica, ma di sostenibilità politica. Alcune fonti sostengono inoltre che lo stesso Liman non avrebbe superato i test fisici necessari per un lancio nello spazio, ma in un progetto di questa portata sarebbero state certamente trovate soluzioni alternative.

La vicenda del film spaziale di Tom Cruise si inserisce in un contesto più ampio che vede l’amministrazione Trump sempre più intrecciata con le produzioni hollywoodiane. È notizia recente lo sviluppo di Rush Hour 4, sequel che secondo le indiscrezioni avrebbe ricevuto un budget stellare proprio grazie all’intervento diretto di Trump, dichiarato fan del franchise. Un meccanismo che sembra premiare i progetti graditi al presidente, mentre lascia al palo quelli che non si allineano. Netflix e Paramount avrebbero entrambe cercato di entrare nelle grazie dell’amministrazione Trump nella speranza di facilitare una possibile acquisizione della Warner Bros, dimostrando quanto il confine tra industria dell’intrattenimento e politica si sia fatto sempre più sfumato. In questo scenario, la scelta di Tom Cruise assume i contorni di una presa di posizione etica: preferire l’indipendenza artistica ai favori del potere, anche quando questo significa rinunciare a quello che avrebbe potuto essere il progetto più spettacolare della sua carriera.

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Diplomata alla Scuola Internazionale di Comics di Napoli - corso di sceneggiatura -, è impegnata in progetti di scrittura creativa e recensioni. Cresciuta con la consapevolezza che “All work and no play makes Jack a dull boy”. Paladina dello Sturm und Drang. Adepta del Lato Oscuro della Forza.