Quello tra la musica e il cinema è un rapporto molto particolare. È una storia che va a cicli, a ondate. Non parliamo di musical, un genere che vive di vita propria, ma di tutte le volte che il cinema decide di accendere i riflettori sul mondo dei musicisti, delle rockstar, del genio creativo. Per chi ha vissuto gli anni Novanta il film simbolo è stato The Doors di Oliver Stone, mentre in epoca recente è stato Bohemian Rhapsody, sui Queen, a rilanciare la tendenza dei film sulle star della musica. A volte si pensa che, per portare la grande musica sullo schermo, basti fare un biopic, raccontare la vita di rockstar e artisti. In realtà non basta: si tratta di ricostruire un mondo, di creare qualcosa che riesca a fondere la musica e le immagini in qualcosa di coerente e unico. Andiamo a vedere allora quali sono i 21 migliori film sulla musica da vedere.
1. Control (2007)
Quello che secondo noi è il miglior film musicale di sempre è Control (2007), di Anton Corbijn, su Ian Curtis, il leader dei Joy Division. Il film racconta la sua vita giovanile, a Macclesfield, periferia di Manchester, negli anni Settanta, tra i dischi di Bowie e Iggy Pop e l’amore per la moglie Deborah, la formazione dei Joy Division e l’epilessia, fino al suo suicidio, il 18 maggio del 1980. Quello che rende unico Control è l’assoluta coerenza: il film è girato in bianco e nero, e spesso con inquadrature fisse, con quell’immagine sgranata che è diventata il marchio di fabbrica di Corbijn, grandissimo fotografo rock. Ma il bianco e nero è la nuance perfetta per raffigurare un intero mondo, la patina della Manchester Industriale degli anni Settanta, e per ricreare lo spleen dei Joy Division, la loro malinconia, il disagio di Curtis.
Corbijn è stato da sempre dentro la storia: ha iniziato a fotografare la band nel 1979, in bianco e nero, e per lui i Joy Division sono sempre stati così. La musica post punk esce potente, e la performance di Sam Riley, che ricrea alla perfezione la voce baritonale di Curtis, le sue movenze, quel correre per restare fermo, quell’evocare i movimenti a scatti delle crisi epilettiche, rendono tutto assolutamente credibile, coerente, immersivo. “She’s Lost Control”, cantavano i Joy Division. Ma Corbijn qui ha il controllo assoluto su tutto.
2. Velvet Goldmine (1998)
Ed è proprio ricostruire un mondo, immergerci in esso, la chiave per un perfetto film musicale. Perché un rock movie non deve essere solo la biografia di una rockstar, ma l’evocazione di tutto quello che ha rappresentato. E raccontare David Bowie, anche senza nominarlo – perché in Velvet Goldmine il suo nome non c’è mai – vuol dire raccontare il Glam Rock, e tutto quello che ha rappresentato, a livello di libertà di espressione, anche sessuale, per i giovani degli anni Settanta. Todd Haynes ha scritto e girato “non un film sul glam, ma un film glam”. Così il protagonista non si chiama David Bowie ma Brian Slade, e a interpretarlo c’è uno straordinario Jonathan Rhys-Meyers. Accanto a lui c’è un selvaggio Ewan McGregor che evoca Iggy Pop, colui che, con il suo proto-punk, diede a Bowie la voglia di creare una rockstar, che sarà il suo Ziggy Stardust. Proprio come Ziggy, Brian Slade inscenerà la sua morte durante un concerto, e su di lui indagherà un giornalista, che ha il volto di Christian Bale. Ma la forza del film è ricreare la Londra degli anni Settanta, un paesaggio, uno stato d’animo, un’aspirazione, un modo di essere, un intero mondo. Non c’è la musica di Bowie ma quella di T-Rex, Roxy Music, Iggy Pop e Lou Reed. E noi restiamo abbagliati dal Glam.
3. Io non sono qui (2007)
Non è un caso che tra i migliori film musicali ci sia ancora lui, Todd Haynes, e che dopo David Bowie abbia scelto di raccontare Bob Dylan. Io non sono qui è un altro esempio di come Todd Haynes sia bravissimo a costruire mondi. Ma, attenzione, per Bob Dylan non ne basta uno ma ce ne vogliono sei, tanto è stato complesso, controverso, sfaccettato quello che un tempo era noto come il “menestrello di Duluth”. Sei storie, sei mondi, sei attori che entrano ed escono dal film come schegge impazzite. C’è il bambino (Marcus Carl Franklin), che rappresenta la musica delle radici e si chiama Woody Guthrie; c’è il poeta, che non a caso si chiama Arthur Rimbaud (Ben Wishaw), c’è il cantante folk e di protesta, Jack Rollins (Christian Bale). C’è Robbie (Heath Ledger) l’attore e il Dylan privato. Billy The Kid (Richard Gere) è il Dylan adulto che ha lasciato lo show business. Ma a catturare l’attenzione è Jude Quinn (Cate Blanchett), che, come fa trasparire il nome, è il “giuda”, il traditore della musica folk e della svolta elettrica. Geniale, schizofrenico e fuori da ogni schema, Io non sono qui è l’anti-biopic per eccellenza, e forse l’unico modo per rappresentare Bob Dylan.
4. The Doors (1991)
Quando parliamo di film musicali un grande classico è The Doors (1991) di Oliver Stone, un film denso, roboante, eccessivo come il suo regista, ma anche come la star che racconta, l’indimenticabile Jim Morrison, portato sullo schermo da un Val Kilmer straordinario, nell’aspetto fisico, nei movimenti, ma anche nella voce: a cantare è lui. The Doors segue la vita di Morrison dai suoi studi di cinema, nel nome di Godard, al suo incontro con Ray Manzarek e alla nascita dei Doors, fino al suo incontro con Pam, l’amore della sua vita e alla morte, avvenuta a Parigi. The Doors è un film trascinante, come il suo carismatico protagonista, è fatto di esibizioni rock infuocate, ma anche di visioni che entrano nell’anima delle canzoni e nello sconfinato mondo interiore di Jim Morrison. Oliver Stone, che ha amato i Doors perché sono stati una delle colonne sonore della sua gioventù, e del suo Vietnam, dirige un film sfrenato e allucinato, che riesce a cogliere la grandezza dell’arte di Morrison e dei Doors.
5. Elvis (2022)
Così come Elvis, il nuovo film di Baz Luhrmann, del 2022, riesce a cogliere l’anima di Elvis Presley e a lasciarci negli occhi e nel cuore la sua grandezza e il suo dramma. La storia di Elvis Presley, interpretato da un eccezionale Austin Butler, è raccontata dal punto di vista del suo manager e padre/padrone, il colonnello Tom Parker. “Vi diranno che sono il cattivo della storia” dice all’inizio, “che ho ucciso io Elvis Presley. Ma lo ha ucciso l’amore, il suo amore per voi”. È proprio questa la chiave del film: Elvis era uno che sul palco si donava fino in fondo, con tutte le sue forze, con tutto il corpo, con ogni goccia di sudore. L’ultima scena del film, dove vediamo il vero Elvis, stanchissimo, nell’ultimo concerto prima di morire, è il colpo di grazia. Che arriva dopo che, per tutto il film Baz Luhrmann ci ammaliato e abbagliato da riflettori, lustrini e abiti sfarzosi. Perché tutto, in Luhrmann, diventa un melodramma e al contempo un musical sfrenato e sfarzoso, che sia nella Parigi di Moulin Rouge! o nella Las Vegas di Elvis. Elvis è un’allegoria del conflitto tra il talento e la voglia di ingabbiarlo, tra l’ispirazione sfrenata e la volontà di incanalarla in qualcosa di rassicurante e conformista. E sono due ore mezza di musica meravigliosa e immortale.
6. The Blues Brothers (1980)
Musica meravigliosa e immortale, unita a sequenze di cinema spassoso, la troviamo anche in The Blues Brothers di John Landis, con John Belushi e Dan Aykroyd di nero vestiti e in missione per conto di Dio. Il film di John Landis è stato definito il primo kolossal comico-musicale della storia del cinema, ma è un film che sfugge ai generi per diventare un cult assoluto. Il blues e il soul sono il cuore del film, sono il “credo” che anima i due protagonisti, dettano il ritmo alla storia e a una serie di scene cult. In scena ci sono i veri grandi della musica nera, James Brown, Cab Calloway, Ray Charles, Aretha Franklin, Big Walter Horton, Pinetop Perkins e John Lee Hooker. E si ascoltano canzoni che sono diventate dei veri classici come Gimme Some Lovin’, Everybody Needs Somebody to Love, Sweet Home Chicago e Jailhouse Rock, solo per citarne alcune. John Belushi e Dan Aykroyd sono diventati immediatamente icone, nei loro abiti neri, camicia bianca e cravatta nera, occhiali Ray-Ban Wayfarer e il cappello nero schiacciato in testa. Il tutto è condito da un umorismo demenziale e geniale. Godetevi, su tutti, il monologo delle “cavallette”.
7. Crazy Heart (2009)
Crazy Heart non racconta una rockstar reale, ma immaginaria. Non racconta un musicista di successo, ma uno di quelli che vengono dimenticati. Ed è bellissimo per questo. Jeff Bridges, stropicciato e trasandato come solo lui sa essere, è anima, corpo e voce (le canzoni sono cantate da lui) di Bad Blake, cantante country in disuso e in preda ai fantasmi dell’alcol. Un ruolo che sembra cucito su misura per lui. Il rock, e il country, sono anche questo. Suonare in bowling sperduti dove non ti offrono neanche le consumazioni al bar. O in pianobar sfigati nel deserto del New Mexico. Fare chilometri e chilometri da solo su un furgone scassato, con un’unica amica, l’amata bottiglia di whisky. Suonare con band sempre diverse, raccattate all’ultimo, e andare in scena senza alcuna prova. Mentre la casa discografica fa uscire dal catalogo i tuoi dischi vecchi, perché non vendono più. Crazy Heart racconta il lato oscuro di chi fa musica, quello lontano dai riflettori più potenti, ma illuminato da qualche luce fioca da balera. Crazy Heart non esaspera mai i toni, ma come una ballata country è moderato, sereno, malinconico e a suo modo tenue, senza scossoni. Come diceva quella canzone, è tre accordi e la verità.
8. Whiplash (2014)
Se conoscete Damien Chazelle, capirete che Whiplash è invece l’esatto opposto. Per il regista canadese, famoso per La La Land, tutto è drammatico, faticoso, concettuale. Lo so, avete sempre immaginato il jazz come qualcosa di elegante, virtuoso, soave. Questo è quello che arriva all’esterno, ma in Whiplash Damien Chazelle ci ricorda che il jazz è anche e soprattutto sudore, sangue e lacrime. Così il rapporto tra un giovane batterista (Miles Teller) e il suo insegnante (J.K. Simmons) è costruito, più che come la relazione tra allievo e mentore, come quello tra una recluta e il suo sergente maggiore, tanto è vessatorio, duro, maniacale J.K. Simmons in questo film. La fatica, il sacrificio, lo sforzo continuo per arrivare, lasciando indietro ogni cosa, è raccontato così bene da far immedesimare il pubblico nella storia, e da lasciarlo senza respiro.
9. School Of Rock (2003)
Dopo aver visto Whiplash avrete bisogno di un attimo di respiro e di andare a scuola di musica, anzi a scuola di rock, da un insegnante di tutt’altro tipo. È Dewey Finn, e ha il volto bonario di Jack Black, il protagonista di School Of Rock, film catartico e spassoso, per grandi e piccoli, diretto da un cineasta di razza come Richard Linklater. In realtà Dewey non è nemmeno un insegnante: è un chitarrista mancato, che è stato cacciato dalla sua band e che, con un inganno, va ad insegnare ai bambini di una scuola elementare, trasformandoli in dei piccoli rockettari. Chi di noi non avrebbe voluto un maestro così, che ci insegnasse la storia del rock da Hendrix e i Doors ai Led Zeppelin e AC/DC passando per Who, Cream, Ramones e Deep Purple? School Of Rock rivisita in chiave di commedia rock lo schema de L’Attimo fuggente: un insegnante fuori dagli schemi, l’impatto con gli alunni e la loro diffidenza, l’avvicinamento, il passaggio per l’opinione pubblica e la rivincita con la totale adesione degli allievi ai valori del maestro e la sua strenua difesa. School Of Rock evoca la nostalgia per il vecchio rock, quello anticonformista, arrabbiato e senza regole che serve a “resistere al potente” e ti fa sentire in grado di cambiare il mondo.
10. Nico, 1988 (2017)
Non ci sono solo i film gloriosi, tra i migliori film a sfondo musicale. Ci sono anche le storie crepuscolari, che raccontano artisti in fase calante. Uno dei film musicali più belli che abbiamo visto negli ultimi anni è italiano, lo ha diretto Susanna Nicchiarelli ed è Nico, 1988. Nico era la cantante tedesca che Andy Warhol aveva affiancato ai Velvet Underground per il loro primo album The Velvet Underground & Nico. Il film coglie la cantante molti anni dopo, quando ormai le luci sono spente e la gloria è andata. Christa Pfaggen, questo il vero nome di Nico, è interpretata da un’intensa Trine Dryholm, ed è un personaggio che viaggia tra le macerie dell’Europa dell’Est, pub inglesi poco raccomandabili e feste di piazza in Italia. Non è più bionda, ma è castana, e fa una musica tra folk e rock elettrico. Lou Reed è un lontano ricordo, e negli occhi rimane il rimpianto per un figlio perduto.
11. Last Days (2005)
È crepuscolare, disperato a carico di rimpianto anche Last Days, l’originale film che Gus Van Sant ha dedicato a Kurt Cobain senza farne mai il nome. Come dice il titolo, sono gli ultimi giorni di Kurt Cobain o di qualcuno che, comunque, gli somiglia molto. Si chiama Blake e si aggira, come se fosse già morto, in una casa piena di persone con cui non riesce ad entrare in contatto. A interpretarlo è Michael Pitt, che non cerca mai una somiglianza, ma piuttosto un’attitudine, uno stato d’animo. In mezzo a tutto questo, un momento in cui prende la chitarra e dà vita a quei suoni distorti, disperati, sfrenati che lo hanno fatto conoscere al mondo: ma Van Sant lo inquadra da lontano, da fuori la finestra della sala prove. Last Days è un altro anti-biopic, un film musicale unico nel suo genere, che ci fa arrivare quel senso di insondabilità che ha avuto il personaggio di Kurt Cobain, un ragazzo che se ne è andato troppo presto e che nessuno di noi può dire di aver conosciuto e capito.
12. Pink Floyd – The Wall (1982)
Pink Floyd – The Wall di Alan Parker è la trasposizione cinematografica del concept album The Wall, un film inquietante e visionario realizzato grazie ai famosi disegni di Gerald Scarfe. È un film a tinte forti, fatto di immagini crude, dallo stile diretto ed evocativo. La scelta di Alan Parker fu netta: non usò le riprese effettuate dal vivo durante i concerti del tour di The Wall, che lo avrebbero fatto diventare un film concerto, ma utilizzò solo le sequenze animate di Scarfe che, in quei concerti, erano proiettate sul muro che s’innalzava progressivamente per poi venire abbattuto solo nel finale. Pink Floyd – The Wall è in qualche modo la “colonna visiva” dell’album The Wall.
13. Quadrophenia (1979)
Quadrophenia, il disco degli Who del 1973 che fa rivivere la Londra del 1964, diventa un film nel 1979. In questo modo lo sguardo sugli anni Sessanta è ancora più lontano, e ancora più nostalgico, rispetto a quello degli anni in cui è nato il disco. E ricade nel cinema degli anni Ottanta, con tutti i limiti delle produzioni del periodo. La storia di Jimmy (Phil Daniels), la sua sofferenza, la sua ricerca di amore, amicizia, appartenenza in una società ancora ostile, e ancora lontana da quella Summer Of Love di qualche anno dopo, trasferita in immagini potrebbe sembrare poco più di un teen movie, una versione inglese di American Graffiti o Gioventù bruciata.
Le guerre tra bande, la ragazza sognata, raggiunta e perduta, il disagio giovanile, il rapporto tormentato con i genitori sono scene viste molte volte al cinema. In quegli anni si stava diffondendo una certa moda del revival anni Sessanta, e Quadrophenia rischia spesso di cadere in quella visione dei Sixties che il decennio dell’edonismo ha creato cogliendone gli aspetti più superficiali. Il rock, i club, le droghe, le pupe. Rockers contro Mod, Be Bop A Lula contro You Really Got Me, chiodo e stivali contro parka e cravatte. E poi la Vespa e la Lambretta, icone del periodo Mod. E il flipper, già celebrato in Tommy. E per fortuna che ci sono gli Who. Lo spirito della band, che pervade tutto il film, riesce a sollevare un’opera ingenua e semplice e a renderla qualcosa di più nobile. Gli Who sono sempre presenti: alla tv, con i loro dischi, con i poster sui muri. E con le loro canzoni. Quando parte la monumentale Love, Reign O’er Me, anche il film sembra diventare epico, maestoso, poetico con i campi lunghi sulle scogliere inglesi del finale.
14. Across The Universe (2007)
Chiedi chi erano i Beatles… Across The Universe, musical di Julie Taymor, è un viaggio nella musica dei Beatles, ma anche negli anni Sessanta. I Fab Four fanno da colonna sonora a una storia d’amore e ribellione, raccontata attraverso le canzoni, che spesso sono inserite nelle situazioni in maniera insolita. È un film coinvolgente, ma anche furbo, perché l’effetto emotivo di certe canzoni è indiscutibile. I protagonisti sono Jim Sturgess e Evan Rachel Wood, che interpretano anche molte delle canzoni, ma in scena ci sono anche Bono, che canta I Am The Walrus e Joe Cocker, con Come Together. Vi sembreranno i soliti stereotipi sugli anni Sessanta, ma, man mano che ci si avvicina al Vietnam e alle contestazioni, tutto si fa più intenso. Psichedelico, allegro e kitsch, non è Baz Luhrmann, ma riesce a farci capire quanto sia grande il genio di McCartney, Lennon, Harrison e Starr.
15. Nowhere Boy (2009)
Chiedi chi erano i Beatles, ancora… Nowhere Boy, di Sam Taylor-Wood, ci racconta chi era il giovane John Lennon. E per farlo ci porta nella Liverpool del 1955, quando John non era ancora John Lennon, e viveva con la zia Mimi. È un film che ci mostra l’anima divisa in due del Lennon adolescente: la zia Mimi è la responsabilità, gli compra la prima chitarra, ma la rivende perché non va bene a scuola. La madre Julia è la spensieratezza, gli fa conoscere il rock’n’roll, che lo porta a vedere Elvis al cinema, facendo scattare definitivamente la passione per la musica. Nowhere Boy dà vita alle scene che abbiamo sempre immaginato. E quello che vediamo è esattamente quello che avevamo in mente: la ricostruzione d’epoca è accurata (sceneggiatore e costumista sono gli stessi di Control, di cui abbiamo parlato sopra). Il film si chiude con John che parte per Amburgo, verso un radioso futuro. E con le note di Mother, che avrebbe scritto molto tempo dopo. “Mother, you had me but I never had you”.
16. Rocketman (2019)
Dopo un periodo di relativa calma, i biopic musicali hanno avuto una rinascita. I film che hanno dato vita a questa nuova tendenza sono due, sono girati dallo stesso regista, e sono arrivati sugli schermi a poca distanza l’uno dall’altro. Il primo è Bohemian Rhapsody e il secondo è Rocketman. Partiamo da questo, il più riuscito tra i due, dedicato a Elton John. Dexter Fletcher, che aveva finito il lavoro di Bryan Singer in Bohemian Rhapsody, sceglie di non fare una ricostruzione accurata degli eventi ma un’opera rock immaginaria e immaginifica e che provi a ricreare e omaggiare l’arte di Elton John, oltre a raccontarne la vita. Le grandi canzoni della popstar inglese non servono allora solo a scandire il tempo e la sua carriera, ma fanno da contrappunto alla sua vita, ai suoi amori, ai suoi drammi, legandosi al racconto secondo una sorta di affinità elettiva, o a fare da ellissi narrativa. Taron Egerton ha avuto carta bianca da Elton John per fare la propria versione del personaggio e il risultato è un carattere che non somiglia alla perfezione al cantante, ma ne evoca l’umanità, la sfrontatezza e la follia.
17. Bohemian Rhapsody (2019)
Tra i film a sfondo musicale è uno dei più noti, dei più amati e dei più discussi, Bohemian Rhapsody, di Byan Singer (con Dexter Fletcher che ha concluso il lavoro) vede Rami Malek nei panni di Freddie Mercury, perfetto in alcune espressioni e nelle movenze. Aiutato da protesi, l’attore punta molto anche sullo sguardo, curioso e affamato di vita, della rockstar, ma, giustamente, non canta con la sua voce. Bohemian Rhapsody per lunghi tratti sembra una lunga puntata di Vinyl (la serie ambientata nel mondo del rock degli anni Settanta) e sembra avere alcuni dei difetti di quel prodotto: Malek a parte, gli altri attori sembrano scelti più per la loro somiglianza che per altre doti. Così come, per gran parte della sua durata, il film rischia di essere un po’ troppo didascalico ed edulcorato, per come cerca di addolcire alcuni tratti della personalità di Mercury. Non riesce a cogliere appieno l’irriverenza e la follia, la magniloquenza e l’ambizione dei Queen e del loro leader. Bryan Singer ama Alfred Hitchcock e, come lui, sa che ogni film va costruito intorno a una o più scene ad effetto. E così apre e chiude con il Live Aid, il simbolo della carriera dei Queen, il momento che tutti hanno fissato nella memoria.
18. Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line (2005)
Quando l’amore brucia l’anima – Walk The Line racconta la storia di Johnny Cash, leggendaria voce della musica country. Come spesso accade in questi casi, il film di James Mangold è un altro caso di incredibile immedesimazione: Joaquin Phoenix ha imparato a suonare la chitarra, a cantare, camminare e parlare come lui. Il labbro curvo, la camminata strascicata, il modo di incurvare le spalle e di tenere alta la chitarra lo hanno avvicinato al “Man in Black”. Fino a che Phoenix si è accorto di bere troppo, proprio come il personaggio che stava interpretando. Phoenix ha incontrato Cash prima che morisse: Cash lo aveva apprezzato nel ruolo di Commodo ne Il gladiatore, e pensò bene di recitargli alcune battute del film. Poi i due pregarono insieme: Cash era profondamente religioso.
19. Ray (2004)
Ray di Taylor Hackford ci regala un grande Jamie Foxx nel ruolo di Ray Charles. Il film forse si sofferma troppo sulle vicende private, e non abbastanza sulla musica. Certo, racconta come Charles diede vita al soul, ma in fondo quella raccontata è una storia di amori, di tradimenti e di dipendenza da droghe, tutte cose che rendono il film qualcosa che segue un canovaccio già visto. È un film che punta a rinforzare la percezione dei suoni, importanti per un non vedente. E che usa dei movimenti di macchina più frenetici nelle scene più da incubo, quelle della disintossicazione dalla droga.
20. The Dirt: Mötley Crüe (2019)
The Dirt: Mötley Crüe ci porta in un mondo ben preciso, la Los Angeles degli anni Ottanta, che per qualche anno era al centro del mondo del rock. La storia è quella dei Mötley Crüe, ancora poco nota, e questo dà al film freschezza e curiosità. Ma non manca quell’effetto Vinyl di cui avevamo parlato in occasione di Bohemian Rhapsody: la messa in scena delle rockstar, anche qui, sfiora sempre un po’ l’imitazione, la caricatura, la maschera. The Dirt ha però il pregio di raccontare un mondo e un’epoca ben precisa del rock.
21. Quasi famosi (2000)
Cameron Crowe, prima di diventare un regista, è stato un giornalista musicale, ed è stato inviato per Rolling Stone, a seguire i tour di molte rockband di successo, ancora giovanissimo. Questa sua esperienza è diventata la storia di Quasi famosi, film romanzo di formazione che racconta la storia di un giovanissimo giornalista, ancora inesperto della vita, alle prese con un mondo magico e più grande di lui. Quello del rock, dei tour bus, dei backstage, e delle groupies. Il film è passato alla storia, oltre che per la vicenda autobiografica di Crowe, per la figura di Penny Lane, dolce e sofferta groupie interpretata da Kate Hudson. E per quella magica canzone, Tiny Dancer di Elton John, che, come per incanto, all’improvviso mette tutto a posto. Sì, perché la musica, spesso, fa proprio questo.