Di recente, i casi di cinema sprezzantemente autoriale (quasi estremo) si possono contare sulle dita di una mano. Quello di Michel Franco è sempre stato visto come il più agghiacciante, il più viscerale di una certa nicchia: un regista, il messicano, che ha sempre preferito distruggere le convenzioni piuttosto che fargli posto nella sua folle deriva stilistica. Eppure, se di maturità si può parlare, Memory rappresenta con molta probabilità la ricerca di un equilibrio finora insperato – e la scoperta di un valore universale che dia finalmente un senso compiuto a quelle idee estreme spesso soffocate da gelide gabbie formali. Quest’opera potrebbe persino non sembrare un film di Michel Franco, eppure ne mantiene quasi tutte le caratteristiche: c’è quel male immenso che sublima nel dolore e annega il mondo, c’è quel freddo realismo che penetra nelle ossa e fa raggelare il sangue. Ma poi c’è New York.
E in quella New York che si costruisce pezzo dopo pezzo sulle note di A Whiter Shade of Pale ci sono anche Saul e Sylvia, Peter Sarsgaard (premiato come Miglior Attore a Venezia) e Jessica Chastain. Due anime in cerca di affermazione, ingolfate su un percorso a rotte parallele senza una chiara direzione. Tra spazi immensi e stanze chiuse, tra menti che urlano e silenzi pronti a esplodere, è il passato a creare quel raccordo fondamentale fra due mondi complementari: da una parte c’è un dolore bramoso di distruggere i ricordi; dall’altra, il disperato desiderio di preservarli prima che svaniscano del tutto. Del resto, se il film si chiama Memory, la ragione è più che evidente: intorno ai ricordi ruotano quasi tutti i temi del film. Ma il senso profondo di questo struggente dialogo tra trauma e malattia non guarda indietro: Franco abbandona il cinismo per reagire al presente.
Di dolore, umanità…
Anche se i ricordi sono fondamentali in scena e scandiscono con ritmo decadente le azioni dei protagonisti, è nel presente che gli eventi provano a rifuggire l’oblio. Il passato è l’ombra di tutto il film, mai al centro e sempre di sbieco nel cristallizzare i personaggi e le loro esistenze compromesse. Ciò è possibile perché Franco non cede neppure qui alla sua rigidità formale, incastrando ogni elemento in quell’idea di cinema esigente che richiede attenzione e pazienza a chi osserva. Questa volta, sono gli stilemi del regista a palesare ipocrisie e contraddizioni di una società che non ha ancora trovato il coraggio di affrontare il dolore guardandolo negli occhi.
Che si tratti del trauma o della malattia, Memory diventa presto un gioco di dubbi e resistenze, entrambi dettati dalla diffidenza generale: il contorno ideale per questa scoordinata danza di anime fuori posto che tentano disperatamente di normalizzare l’inaspettato, reagendovi e straziandosi in modi assai differenti. Proprio attraverso una trama ridotta all’osso e sottili riferimenti rivelati poco per volta, l’empatia prende il sopravvento per parlare di vita e di umanità senza compromessi. A conferma di questo cambio di tendenza per Franco, la presenza della figlia adolescente di lei non è lo specchio di un futile moralismo, ma il faro di speranza all’interno di un mondo grigio e immobile. Tra intimità e dirompenza, Memory riesce a sfruttare l’alone sbiadito dei ricordi per raccontare una devastante parabola, ode all’umanità e a chi prova (e forse riesce) ad adattarsi alle difficoltà della vita.
… e amore
Difficile spiegarsi perché Michel Franco abbia avuto una certa determinazione nel realizzare questo esperimento, ma è una grande fortuna poterlo ammirare con una tale sicurezza: Memory sussurra al tempo, ne diventa quasi manifestazione nel reale, e lo fa proprio con quella ferocia che ha reso celebre lo stile del suo regista. Al punto da trovare spazio per qualcosa di nuovo: tra il ricordo del passato e la ricerca del tempo perduto, prima che da prigionieri si diventi spettri di se stessi (o addirittura estranei), Franco riesce a raccontare anche l’amore. Difficile, forse impossibile, ma anche dolce, sorprendente e quanto mai concreto. Perché c’è vita oltre il dolore, anche quando è la memoria a far del male.
Non sarà una pellicola rivoluzionaria, ma attraverso l’impressionante talento dei suoi interpreti anche questo film trova la sua voce. In fondo, anche in Memory l’amore si lega a stretto filo con la speranza: speranza che dal male giunga del bene, che dall’oblio si possa trovare la luce, che dalla cura possa nascere il sentimento. Tutte sensazioni sfumate, sottili, ma che si possono sentire in ogni sguardo di Saul e Sylvia – con Anna sullo sfondo. E per un autore come Franco, l’unico a poter unire i punti di questo disegno, si tratta di un vero e proprio confronto con la paura dell’ignoto. Una visione dall’orlo del precipizio, a pochi passi da quel buio che nessuno si augura di affrontare da solo.
Ancora qui
Con questa precisa dinamica in mente, la struttura del film acquisisce un peso importante anche per il valore esperienziale che dà al presente. Questo perché Franco trova sì nella memoria il collante fra suoi protagonisti, ma riesce a dar loro vita e respiro attraverso la catarsi di un dolore che persiste. Difficile dire se sia la marginalizzazione a permettere di guardare al qui e ora, come dice il regista. Ma l’amore e la storia emozionante di Memory dimostrano che non esiste soltanto la malattia, che c’è una dignità da rispettare. Finché c’è tempo, finché il presente è vivo, anche due come Saul e Sylvia possono trovarsi – o forse persino liberarsi.
Per capirlo basta guardarli: impressi indelebilmente nel qui e ora, spiriti eterni nella loro vulnerabilità, scrutati con rispetto dallo sguardo di un regista che guarda alla realtà delle persone e sa bene cosa è giusto raccontare (soprattutto come). Memory soddisfa e ricompensa in egual misura, lasciando spazio a sensazioni e stimoli destinati ad alimentare un discorso più ampio sui suoi temi anche quando i ricordi e le immagini cominceranno a scemare. Che si tratti dell’approccio alla famiglia o ai diversi significati attribuiti alla cura (per sé e per gli altri), Michel Franco ha dimostrato di saper cambiare. E lo ha fatto con un grande abbraccio alla sua (o alla nostra) speranza nel presente: al di là del dolore, al di là dei ricordi, siamo ancora qui.
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