Dopo essere stato presentato in anteprima Venezia Maestro è arrivato anche su Netflix raccogliendo tanti elogi quanti quante sono le critiche. Un film per molti eccessivamente lungo, che nella sua eleganza manca di mordente, per altrettanti, invece, una lettera d’amore al cinema classico che riscopre con un linguaggio moderno. Non staremo però a parlare di questo. Maestro è piuttosto l’occasione giusta per iniziare a riflettere su Bradley Cooper regista che, al suo secondo film, sembra avere un’idea piuttosto chiara del linguaggio da adottare. Ma soprattutto delle tematiche da trattare. Caratteristiche che, in potenza, lo rendono un occhio registico abbastanza sui generis sul panorama contemporaneo e di cui, secondo noi, vale davvero la pena iniziare a indagare.
Una nuova identità dietro alla macchina da presa
Diventato celebre con titoli commerciali che non ha mai rinnegato e a cui, col tempo, è riuscito ad affiancare anche interpretazioni che lo valorizzassero non solo come comico, ma anche come interprete drammatico, il Bradley Cooper regista pare ricercare qualcosa di diverso rispetto alla sua controparte solo attoriale; qualcosa che lo caratterizzi in modo nuovo rispetto all’identità già nota al grande pubblico.
Perciò il percorso del mettersi dietro alla macchina da presa, che sembra essere d’obbligo anche per lui come per certi volti del cinema americano che, in questo modo, trovano maggiore libertà creativa oltre che un nuovo pubblico; pensiamo a John Cassavetes, Woody Allen, anche se, sotto questo punto di vista, Bradley Cooper ci ricorda di più Clint Eastwood, Ron Howard e, più recentemente, Ben Affleck per quella ricerca di autorialità di stampo europeo che va di pari passo alla necessità di raccontare storie che siano profondamente connesse con cultura d’appartenenza.
Riconnettersi con il cinema del passato
Quindi ecco che per Bradley Cooper guardare attraverso l’obiettivo della cinepresa pare essere una ricerca di connessione con il cinema americano del passato che il regista vuole celebrare e al contempo oltrepassare. Se A Star Is Born era una dichiarazione d’intenti, Maestro è la conferma che la scelta dell’estetica e delle tematiche da sviluppare, ci dicono molto su un regista partecipe della contemporaneità ma al contempo desideroso di riagganciarsi a un immaginario classico.
Facendo vestire a Lady Gaga i panni che erano stati di Judy Garland prima e di Barbra Streisand dopo, con il suo primo film da regista Bradley Cooper si inserisce deliberatamente nel filone Hollywood on Hollywood con un retelling di quello che potremmo ormai considerare un topos del cinema americano. Un film che, per la quarta volta, (se escludiamo A che prezzo Hollywood?) biasima il mondo dello showbiz raccontando una storia d’amore intrecciata nella doppia vicenda d’ascesa e caduta di due star; storia che Cooper sceglieva di mettere in scena con uno stile che a tratti strizzava l’occhio tanto alla New Hollywood quanto al cinema classico.
Con Maestro Cooper regista alza l’asticella mettendo al centro il rapporto (reale) tra uno dei più grandi compositori contemporanei e sua moglie. Un legame ancora una volta distruttivo e complesso che, sempre con lo showbiz sullo sfondo, è ovviamente il pretesto per riflettere sulla non linearità dell’amore oltre che su quel contrasto, in chiave tipicamente americana, tra intrattenimento popolare e cultura. Maestro, per certi versi, è quindi cinema che riflette sul cinema: tra movimenti di macchina ariosi e un bianco e nero luminoso, alternato ai colori saturi che ricordano la grana dei vecchi film in Technicolor.
Un fil rouge musicale
A questo proposito non ci sembra perciò casuale che, ancora una volta, la musica rappresenti l’anima di un film di Bradley Cooper. Pur non riprendendo la forma del musical sia A Star Is Born che Maestro pescano a piene mani dal genere – tipico del cinema americano – costruendo una narrazione dalla personalità ben definita che, però, non può fare a meno di guardare indietro.
La musica è una parte fondamentale del cinema americano – pensiamo solo che il primo film parlato è un musical, e un certo repertorio di canzoni, a sua volta connesso a determinati stilemi visivi, è talmente consolidato da essere ormai intrinseco alla cultura popolare. Quindi ecco che la scelta dei brani della colonna sonora di Maestro, tutti rigorosamente composti da Bernstein e inseriti sia in senso diegetico che extradiegetico, è tutto fuorché casuale ma assume un senso sia in riferimento alla narrazione del film stesso sia in riferimento a quella dell’opera dal cui il pezzo è tratto.
Come ad esempio quando all’arrivo l’amante di Leonard nella casa di famiglia sentiamo il Prologo di West Side Story; in un altro caso invece, in cui ascoltiamo un pezzo dal musical On the Town, Cooper aggiunge anche un apparato visivo ricreando una sorta di sequenza del musical che restituisce una delle anime di Bernstein come compositore, sempre in bilico tra classico e popolare. Un insieme di dettagli, tra classicità e modernità, che danno un’idea molto precisa del filone in cui Bradley Cooper desideri inserirsi. Desideroso di raccontare il tempo presente, Cooper sceglie infatti storie dalle tematiche sì universali ma allo stesso tempo capaci di riconnettersi anche a un certo tipo di cinema a un determinato immaginario. Non ci resta che aspettare per scoprire se con il suo terzo progetto Cooper continuerà a indagare in questa direzione, noi siamo curiosi. In ogni caso ormai è chiaro che: è nato un regista.
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