Cinema e sport sono linguaggi differenti, ma per certi versi affini. Infatti, entrambi sono espressioni socioculturali in grado di leggere, modellare e rappresentare la contemporaneità proprio perché definiscono lo specchio riflesso del tempo che vivono. Numerose volte il racconto sportivo è stato sfruttato dalla settima arte come pretesto narrativo per parlare anche di altro.
Per questa ragione il binomio tra cinema e sport è risultato tante volte vincente – ne sono esempio le innumerevoli pellicole iconiche capaci di entrare nell’immaginario collettivo. Dopo anni di vuoto, il cinema sportivo ha saputo ritagliarsi uno spazio interessante nel panorama cinematografico italiano, soprattutto grazie a film come L’ultima Sfida di Antonio Silvestre, interessante pellicola in sala dal 3 aprile che guarda al calcio come metafora di riscatto personale.
Lo sport che parla al mondo
Lo sport è l’esperanto del mondo. Una lingua universale comprensibile a ogni latitudine, che unisce popoli e mette in connessione culture diverse o distanti. Le parabole e le imprese sportive, sia collettive che individuali, sono capaci di delineare una profonda sintesi dell’esistenza. Un carattere compreso prima (e più di tutti) dal cinema hollywoodiano, che non a caso ha da sempre dedicato ampio spazio alle grandi storie di personaggi sportivi – sia reali, più o meno celebri, sia di finzione.
A differenza degli Stati Uniti, dove lo sport è trattato con il tono serio e maturo dell’impresa epica, nel cinema italiano il più delle volte si è scelto di raccontarlo attraverso il registro leggero e scanzonato della commedia, se non in molti casi addirittura farsesco della parodia. Non è un caso che grandi cult della nostra cinematografia come L’allenatore nel Pallone (1984) con il mitico Lino Banfi nei panni dell’improbabile Oronzo Canà, coach della (fantasiosa) Longobarda, o L’arbitro (1974) con protagonista Lando Buzzanca, siano due indimenticabili classici della commedia all’italiana.
Calcio: un’ossessione

Nonostante l’Italia resti un paese di appassionati sportivi, interessati alle discipline più disparate, lo sport per eccellenza resta il calcio. D’altronde come diceva lo stesso Pasolini:
“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. – Pier Paolo Pasolini
Non dobbiamo stupirci quindi se il football si trova al centro della maggior parte delle pellicole sportive italiane. Tra le recenti produzioni di questo tipo possiamo annoverare titoli come L’arbitro (2013), film omonimo ma senza legami col lungometraggio degli anni ’70, Il campione (2021) con Andrea Carpenzano e Stefano Accorsi, Zamora (2024) che segna l’esordio alla regia di Neri Marcorè, Il Divin Codino (2019), produzione targata Netflix incentrata sulla carriera di Roberto Baggio e il recente U.S. Palmese (2025) dei fratelli Manetti. In generale, però, riteniamo ci siano pochi dubbi sul fatto che L’uomo in più (2001) di Paolo Sorrentino rappresenti il più grande esempio in questa categoria.
Una definizione, quest’ultima, probabilmente un po’ riduttiva, considerando che l’esordio cinematografico del regista partenopeo resta ancora oggi uno degli apici della sua filmografia. Grande appassionato di calcio e tifosissimo del Napoli, Paolo Sorrentino non ha mai nascosto il suo amore viscerale per il pallone – ne è chiara dimostrazione il titolo del suo film più intimo e personale, È stata la mano di Dio, un evidente riferimento al suo idolo Diego Armando Maradona.
L’ultima sfida

È figlio di quella stessa ossessione L’Ultima Sfida di Antonio Silvestre. Un’opera che richiama l’orgoglio e la passione viscerale delle bandiere del calcio, di chi ha passato la propria vita a inseguire un sogno e si trova costretto a fare i conti con la realtà. Fuori dal campo c’è un mondo difficile e complesso, dove il male attende nell’ombra per colpire dove fa più male. Silvestre trova nella parabola sportiva il gancio per raccontare quelle sliding doors che possono cambiare il destino di un uomo, ma di riflesso anche quello di un’intera comunità.
L’appartenenza collega gli sportivi agli uomini, il tifo alla società: nella storia di Massimo De Core si incontrano il valore dell’uomo e quello del simbolo, quasi a dipingere i contorni di un eroe moderno e immancabilmente umano. I grandi sportivi sono questo: un anello di congiunzione tra la persona comune e qualcosa di irraggiungibile, eternamente affascinante, che permette allo sport di riverberare nella vita vera.
Sport e vita

Allargando lo sguardo oltre il calcio, sarebbe impossibile non menzionare altri titoli legati al mondo dello sport: Palombella rossa (1989), uno dei film più famosi di Nanni Moretti interamente ambientato durante una surreale partita di pallanuoto; La mossa del pinguino (2014), commedia senza pretese diretta da Claudio Amendola su un gruppo di amici appassionati di curling o Il terzo tempo (2013) con Eduardo Pesce e Lorenzo Richelmy inserito nella realtà del rugby italiano. Ultimi, ma non per importanza, Veloce come il vento (2016), l’interessante film di Matteo Rovere liberamente ispirato alla vita Carlo Capone sul mondo del rally con protagonisti Stefano Accorsi e l’allora esordiente Matilda De Angelis.
Lo sport tesse le proprie trame legandosi indissolubilmente al tessuto sociale e culturale italiano, dando vita a una lunga serie di produzioni che hanno sempre fatto breccia nel cuore degli spettatori. Il motivo, del resto, è semplice: lo sport si nutre di passione, ma le storie di sport raccontano soprattutto gli uomini – e quindi storie di vita a cui tutti possono approcciarsi.