È l’estate del 1974 e un ragazzo di appena 29 anni, sorridente in pantaloncini e occhiali da sole, si sta facendo fotografare tra le fauci di un enorme squalo bianco che fa capolino dal pontile di Martha’s Vineyard, una piccola isola del Massachusetts. Quel ragazzo è Steven Spielberg e le fauci nelle quali lo vediamo accomodato nella famosa foto sono quelle dell’animatronic protagonista di Jaws (Lo squalo in Italia), il primo grande blockbuster della storia del cinema.

Un film che con il suo successo planetario diede inizio a un vero e proprio genere, ancora oggi molto prolifico (basti pensare ai diversi sequel e alle saghe parallele, dalle più riuscite a quelle decisamente più trash).
Ma cosa ha reso Lo squalo tra i film più amati e più importanti della storia del cinema, al punto da aprire la strada verso l’olimpo a un giovane Spielberg? Approfondiamo insieme i motivi dietro la leggenda per celebrare i 50 anni del film.

Cinquant’anni e non li dimostra (o quasi!)

Era il 20 giugno 1975 quando Lo Squalo uscì nelle sale americane dopo una travagliata e costosissima produzione durata ben 159 giorni, a fronte dei 55 previsti inizialmente e con una spesa 9 milioni di dollari a fronte di un budget previsto inizialmente di 4 milioni. Come lo stesso Spielberg ha dichiarato, l’esperienza su quel set fu davvero pesante e piena di complicazioni, tanto da fargli credere che la sua carriera sarebbe finita lì (per fortuna non è stato così!). Gli stessi produttori si approcciarono al film non come a un’opera d’autore (cosa che poi è diventata), ma come a un filmetto estivo e commerciale dal quale speravano di ricavare il necessario.

Nessuno, neanche Spielberg stesso si aspettava che il suo film, partito come opera di serie B, avrebbe incassato tanto e sarebbe diventato non solo un cult del cinema mondiale, ma anche un grande esempio di regia, modello intoccabile per molti aspiranti registi. Lo squalo incassò quasi 480 milioni di dollari nel mondo, mantenendo il record al botteghino fino all’uscita di Guerre Stellari due anni dopo. La storia era tratta dal romanzo omonimo di Peter Benchley (presente con un piccolo cameo nel film) che in occasione dei 50 anni dello Squalo uscirà con una nuova edizione del suo libro. La NBC, invece, trasmetterà il film in versione restaurata con una speciale introduzione girata dallo stesso Spielberg.

La regia che ha fatto scuola

una scena de lo squalo
Una scena de Lo Squalo – ©Universal Pictures

Sebbene Spielberg avesse meno di trent’anni il genio era già parte di lui, come poi si sarebbe visto nei film successivi. Nel caso de Lo Squalo, in particolare, Spielberg dimostrò una grandissima capacità di gestione dei problemi accostata a una grande creatività. Per il bestione dalle grandi fauci, pronto a mangiarsi tutta Martha’s Vineyard, fu necessario realizzare degli animatronic da immergere nell’acqua – veri protagonisti della pellicola. Trattandosi di una storia interamente ambientata nell’oceano, naturalmente la maggior parte delle riprese si sarebbero svolte in acqua.

Purtroppo i modelli usati a contatto con l’acqua salata si danneggiavano puntualmente, smettendo di funzionare.
L’impatto con le prime riprese fu disastroso: era troppo evidente che quello Squalo fosse un pupazzo, così Spielberg e tutti i componenti della produzione iniziarono a credere che il pubblico avrebbe riso a crepapelle invece di avere paura.

C’è un mostro nel mio giardino

Una scena del film Lo squalo
Roy Scheider in un fotogramma del film – ©Universal Pictures

Così arrivò il colpo di genio: Spielberg decise che lo squalo non si sarebbe visto più del necessario. Nel film finito, infatti, il predatore compare per soli 4 minuti complessivi su più di due ore di film. Si sarebbe piuttosto suggerita la sua presenza attraverso riprese subacquee e una musica ad hoc, composta dal grande John Williams, che sarebbe partita tutte le volte che lo squalo si sarebbe trovato nelle vicinanze dei bagnanti. Solo due note, Mi – Fa e una progressione sempre più inquietante per dare vita a uno dei mostri più paurosi della storia del cinema, nonché uno dei meno visti!

Dal punto di vista della scrittura, Lo Squalo viene classificato nei migliori manuali di sceneggiatura con la formula “c’è un mostro nel mio giardino”. Il protagonista, interpretato da Roy Scheider, è a capo della polizia della piccola isoletta (inventata) di Amity e l’estate è appena iniziata. L’uomo si è trasferito nella tranquilla isola da New York ed è convinto che in un luogo così tranquillo non potrà mai accadere nulla di tutto ciò che ha già visto nella Grande Mela. Poi, una mattina, viene denunciata la scomparsa di una ragazza ed entra in gioco il predatore degli abissi. Lo squalo “è entrato in casa” e Brody deve proteggere la sua famiglia e la comunità dal pericolo.
Il meccanismo del male che viene direttamente a bussare alla porta di casa è una formula molto efficace per suggestionare il pubblico e tenerlo incollato alla poltrona.

Il  film nel film

Una scena de Lo squalo
Roy Scheider na scena de Lo squalo (1975) – ©Universal Pictures

La regia è caratterizzata da inquadrature in cui lo squalo si vede appena o non si vede affatto, arricchita da scene diventate iconiche come il famoso dolly zoom, ossia l’effetto Vertigo che Spielberg mutuò da Hitchcock inserendolo nella famosa scena dell’attacco dello squalo in spiaggia. I momenti emozionanti del film non sono però collegati solamente alla tecnica o alle musiche: lo stesso cast (composto, oltre che da Roy Scheider, anche da Richard Dreyfuss e Robert Shaw, fra gli altri) ha contribuito ad aumentare l’alta qualità della storia con interpretazioni davvero magistrali.

Il personaggio interpretato da Shaw, il cacciatore di squali Quint, è protagonista di una delle scene più profonde ed emozionanti del film: 3 minuti e 24 secondi di puro cinema a camera fissa sul primo piano dell’uomo. Un vero e proprio film sul volto e nelle parole di Robert Shaw che in quel meraviglioso monologo ci restituisce un altro momento di grandissima tensione.

I tre sull’Orca (così si chiama la barca di Quint, non a caso vista la superiorità dell’orca assassina sullo squalo) sanno che il predatore è lì fuori che aspetta il momento giusto per colpire e sanno che rischiano di morire. Noi spettatori sappiamo che inevitabilmente uno o due di loro morirà e il racconto dell’Indianapolis sul branco di squali che si mangia i naufraghi accresce la tensione su quanto vedremo nell’epico finale del film.
Anni dopo sarebbe stato prodotto un film proprio su quell’esperienza: USS Indianapolis del 2016 con Nicolas Cage.

Perché facciamo il rewatch di Lo squalo?

Stevene Spielberg in uno scatto del 1974 sul set di Lo squalo – ©Universal Pictures

A cinquant’anni dalla sua uscita, Lo squalo ha raggiunto uno status ineguagliabile: è il capostipite di un nuovo modo di concepire il cinema, un fenomeno industriale che rivoluzionò la distribuzione con un lancio su larga scala e una campagna promozionale inedita per l’epoca. Nasceva così il blockbuster moderno, destinato a diventare il pilastro dell’estate cinematografica. Il film ha lasciato un’impronta nella cultura pop, nella psicologia collettiva e perfino nella percezione del mare. La sua musica, la sua pinna all’orizzonte e l’idea che “qualcosa di invisibile possa colpirci” continuano a suggestionare anche chi non l’ha mai visto per intero.

Il vero mostro de Lo squalo è ciò che rappresenta: l’imprevedibile, l’incontrollabile, il male dell’industria e l’avidità di coloro che dal turismo traggono vantaggio senza preoccuparsi delle conseguenze sulla natura. Come il personaggio di Ian Malcolm avrebbe detto anni dopo in un altro grande successo di Spielberg, Jurassic Park: “La mancanza di umiltà di fronte alla natura che si dimostra qui, mi sconvolge”, a dimostrazione del delirio di onnipotenza dell’uomo di fronte a certe manifestazioni della natura.

Per questo Lo Squalo è un archetipo senza tempo che rende il film ancora attuale e potente. Lo dimostrano i restauri in 4K, le riedizioni in sala, gli omaggi continui nelle serie e nei film moderni. Spielberg, partendo da un pupazzo rotto e da mille difficoltà tecniche, ha creato un’opera che continua a insegnare cinema e a far paura, anche dopo mezzo secolo. E questo è il segno inequivocabile di un classico. O meglio: di un mito.

Condividi.