Sembra sia inevitabile per alcuni grandi cineasti internazionali, giunti alla mezza età, rivolgersi al passato e rievocare le favolose epoche della loro giovinezza. Alcuni, come Cuaròn, Sorrentino e Branagh, lo hanno fatto tramite un autobiografismo esplicito, come abbiamo evidenziato in un precedente articolo. Altri come Paul Thomas Anderson e Quentin Tarantino lo hanno invece fatto con le loro ultime opere, Licorice Pizza (2021), appena uscito nelle sale italiane e candidato agli Oscar come miglior film, regia e sceneggiatura originale, e C’era una volta a Hollywood (2019), senza scandagliare necessariamente la propria vita, bensì ricreando l’epoca della loro infanzia secondo la bussola della propria memoria affettiva. In questo caso parliamo infatti di vera e propria riscrittura del passato secondo i propri desideri, gusti e inclinazioni.
Meticolosità e reinvenzione
Ciò che colpisce nelle rievocazioni di Tarantino e Anderson è che da un lato si tratta di ricostruzioni d’epoca meticolose fino al dettaglio: costumi, abiti, oggetti, riferimenti pop, look visivo, tutto concorre ad immergere lo spettatore in uno scenario d’epoca credibile. Dall’altro lato a questa ricostruzione dettagliata si accompagna una sfrenata libertà nel descrivere eventi, persone e modalità esistenziali che rispondono maggiormente al modo in cui i due autori guardano a quel tempo ormai mitico e che, vista la giovanissima età che avevano entrambi negli anni in cui sono ambientate le loro opere (Tarantino aveva 6 anni nel 1969 e Anderson 3 anni nel 1973), per forza di cose non possono ricordare coscientemente ma solo tramite un ricordo filtrato.
Non solo dunque i due cineasti rievocano quell’era passata ma la rifondano, re-immaginandola secondo i loro desideri. Tarantino riscrive addirittura la Storia (come già fece con Bastardi senza gloria), regalando una chance di vita a Sharon Tate, mentre Anderson cala i suoi due irresistibili e spontanei protagonisti in una realtà dai colori caldi e accoglienti (proprio come tutti immaginiamo che dovessero essere i Settanta), in cui ci si rincorre e ci si ritrova per le strade di Los Angeles (anzi di Encino) come solo al cinema succede. E accade anche che un ragazzo di 15 anni faccia l’imprenditore mettendosi a vendere materassi ad acqua o aprendo una sala di flipper, imitando in questo il mondo degli adulti. Poco importa che queste cose siano davvero successe a Gary Goetzman, l’amico realmente esistito a cui Anderson si è ispirato per il personaggio del giovane Gary Valentine. Il modo in cui l’autore lo mette in scena è assolutamente favolistico, perfettamente in linea con la volontà di re-immaginazione del passato operata dal cineasta della San Fernando Valley.
L’amore per il cinema
Entrambe le pellicole sono imbevute di un amore viscerale per la settima arte e non poteva essere altrimenti visti i due autori di cui parliamo. Sia in Tarantino che in Anderson l’ambiente in cui si muovono i personaggi è quello del cinema e dello spettacolo in generale. In C’era una volta a Hollywood i protagonisti sono un attore di serie western che tenta di riciclarsi al cinema e la sua controfigura, con tutto il sottobosco losangelino di produttori, attrici, registi e stuntman che gira attorno alla Mecca del cinema. In Licorice Pizza, invece, il mondo in cui si muovono Alana e Gary è attraversato solo tangenzialmente da divi e registi: i due ragazzi si muovono ai margini di quell’ambiente, ma in questo caso è la loro stessa storia a sprizzare energia cinematografica da tutti i pori.
In entrambi i film ci sono inoltre due importanti scene che si svolgono dentro un cinema oppure davanti. In C’era una volta a Hollywood Sharon Tate va a guardare in sala The Wecking Crew (Missione compiuta stop – bacioni Matt Helm, 1968) e, rivedendosi, condividendo la partecipazione divertita del pubblico al film, trasmette a noi spettatori, in un affascinante gioco di specchi, il puro e semplice amore per il cinema vissuto in sala.
In Licorice Pizza i due ragazzi non vanno al cinema ma il loro ricongiungimento definitivo avviene davanti ad una sala che sta proiettando “Vivi e lascia morire”, prima pellicola di James Bond interpretata da Roger Moore, distribuita appunto nel 1973, e impreziosita dalla iconica title-track dei titoli di testa, Live and Let Die, di Paul McCartney and The Wings, rifatta spesso da tanti artisti, tra cui i Guns ’n’ Roses, Geri Halliwell, Fergie e Billy Joel. Non è chiaramente un caso che tale scena avvenga lì, sotto le enormi lettere del titolo del film esposto fuori la sala: pellicola e canzone definirono infatti quell’epoca e quella annata in particolare. Quale suggello migliore dunque per la risoluzione finale del gioco di allontanamento e riavvicinamento della coppia protagonista, che in questo riecheggia i grandi classici romantici del passato in cui soltanto alla fine i due riuscivano a dichiararsi il sospirato amore? Pensiamo per esempio ai due Love Affair (Un grande amore, 1939 e Un amore splendido, 1957) di Leo Mac Carey, e a Sleepless in Seattle (Insonnia d’amore, 1993) della compianta Nora Ephron, con Tom Hanks e Meg Ryan.
Il gioco dei personaggi veri e reinventati
C’è un elemento in cui i due film di Tarantino e Anderson differiscono nella loro rievocazione. Si tratta dell’utilizzo o del riferimento a personaggi realmente esistiti. Tarantino fa nomi e cognomi e infatti prende attori somiglianti agli originali e li trucca per renderli il più possibile copie mimetiche delle persone reali. Margot Robbie nel ruolo di Sharon Tate, Damian Lewis in quello di Steve McQueen, Mike Moh come Bruce Lee, Rafal Zawierucha come Roman Polanski, sono tutte mimesi fisiche dei loro corrispettivi realmente vissuti e ne mimano infatti gesti, movenze e modi di parlare. Per Tarantino si tratta di affettuosi omaggi ad icone cinematografiche che lui stesso (e noi con lui) ha molto amato e proprio per questo si avverte un preponderante e puro piacere ludico nell’averli a disposizione come personaggi di una propria storia, per fargli fare ciò che vuole.
In Licorice Pizza, sebbene siano presenti alcuni personaggi realmente esistiti (il candidato sindaco Joel Wachs e il parrucchiere-produttore Jon Peters per esempio), l’attenzione viene posta su personaggi che richiamano attori e registi davvero esistiti, ma senza utilizzarne la copia-carbone. Il Jack Holden di Sean Penn e il Rex Blau di Tom Waits potrebbero certamente rievocare l’attore William Holden e il regista Mark Robson ma, cambiandogli i nomi e le identità, Anderson si prende quel margine di libertà che gli permette di giocarci nel modo che più gli aggrada. Piazza Holden su una moto e lo fa capitombolare, come potrebbe succedere anche a Steve McQueen (noto appassionato di corse, sia in auto che in moto), riunendo dunque all’interno di un unico carattere gli elementi di più personaggi realmente esistiti. Il Rex Blau interpretato da Tom Waits contiene in sé invece le caratteristiche sia del Robson regista di I ponti di Tokio-Ri (cui fanno riferimento i personaggi con il fittizio I ponti di Tokio-San), ma anche di Sam Peckinpah (leggendario regista che aveva diretto anche lui William Holden nel capolavoro “Il mucchio selvaggio”), accanito bevitore e perenne affamato di vita, come lo sono poi i due giovani protagonisti, almeno riguardo la vita, non il bere.
Il fidanzato (poi produttore) di Barbara Streisand, Jon Peters, utilizzato in questo caso col suo vero nome, munito dell’improbabile capigliatura che portava davvero all’epoca, interpretato da un parossistico Bradley Cooper, è un ulteriore esempio della grande libertà con cui Anderson si diverte a giocare e rimescolare le carte del passato a suo piacimento, inanellando così un altro carattere indimenticabile da aggiungere alla sua galleria di personaggi totalmente fuori dalle righe.
Tornando al film di Tarantino, i riferimenti espliciti a personaggi del cinema, che non vediamo ma che sono realmente esistiti, come per esempio il più volte citato Sergio Corbucci, servono al regista di Knoxville a pigiare ancor di più sull’acceleratore ludico del suo film. La capacità mitopoietica del regista di Pulp Fiction esplode letteralmente, inventando una serie di titoli mai girati da Corbucci e dai suoi colleghi degli spaghetti western e dei film di genere, ma perfettamente credibili e coerenti alle loro filmografie. Ce ne fa intravedere perfino scene e locandine. È questo forse il più grande e magico atto ri-fondativo del passato operato da Tarantino, ancor più che il diverso esito della strage di Bel-Air.
il cinema come macchina per rifondare il passato
I due portentosi esempi che abbiamo esaminato sono il frutto di operazioni post-moderne, con tutto il portato teorico che tale termine implica, realizzate da due autori innamorati della macchina cinematografica intesa come costruttrice di mondi che, nella loro scaltra verosimiglianza, prendono il posto della realtà di un’epoca e ne rifondano il ricordo. Tarantino e Anderson rievocano un passato che hanno potuto conoscere solo di striscio, quando erano molto piccoli, e dunque la loro riscrittura si basa anch’essa su un ricordo già filtrato, attraverso i prodotti pop che quell’epoca ha confezionato. Ecco che le riscritture da loro operate si basano non su un ricordo reale, bensì su una ricostruzione-rifondazione esponenzialmente raddoppiata. Dove è rimasta dunque la realtà storica in tutto questo? Dove sono i reali 1969 e 1973 in cui sono ambientati i due film? A noi spettatori la risposta non importa perché al cinema ciò che conta sono il sogno e la leggenda, e “se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”.