Bellissima, il più delle volte bionda, più intelligente e sveglia della media e capace di dare filo da torcere al villain di turno, che si tratti di un essere mostruoso o di un (quasi immortale) serial killer. Tra le tipologie di personaggi che più hanno caratterizzato fin dagli albori la cinematografia horror, in particolare il sotto genere slasher, ci sono le final girls, le protagoniste femminili che riescono a sopravvivere fino alla fine (anche se in certi casi finiscono per morire nei sequel, ma questa è un altra storia): se prima degli anni Settanta i personaggi femminili nei film del terrore erano quasi sempre vittime che, se non salvate dall’eroe protagonista, difficilmente arrivavano alla conclusione della pellicola (un esempio fra tutti il classico dei classici Psyco), con il successo degli slasher movie il ruolo delle donne in queste storie si fa centrale, trasformandosi nelle principali antagoniste del villain.
Come vedremo più nel dettaglio in questo articolo, le final girls (termine coniato per la prima volta da Carol J. Clover nel suo testo Men, Women, and Chainsaws) condividono tutte determinate caratteristiche, che le differenziano in maniera evidente anche dagli altri personaggi femminili della pellicola di cui sono le protagoniste (e che non sopravvivono mai fino ai titoli di coda): che cosa fa di un personaggio femminile in un film del terrore una vera final girl? E, soprattuto, come è cambiato questo topos dell’horror nel corso del tempo? La società (e il ruolo della donna all’interno di essa) è in continua evoluzione, e le final girls di oggi sono la perfetta dimostrazione di questo cambiamento in atto, da vittime degli eventi a simbolo di emancipazione femminile.
Gli anni Settanta e Ottanta: Halloween, Nightmare…
La prima domanda a cui dobbiamo dare risposta è quindi: che cosa fa di una protagonista femminile di un horror una final girl? Una delle sue caratteristiche fondamentali (che solo in pochissimi casi non è presente, come in Un Natale rosso sangue del 1974) è il fatto di essere vergine, o comunque qualcuno a cui il sesso non interessa, cosa che la differenzia in maniera radicale dagli altri personaggi femminili dello stesso film. Il sesso, infatti, è visto come una fonte di distrazione che porta i personaggi che vi sono impegnati a non far caso all’entrata in scena del killer e ad essere, di conseguenza, uccisi (un esempio perfetto, in Halloween, la morte di Bob e Lynda, amici della protagonista Laurie Strode che vengono massacrati da Michael Myers dopo aver consumato un rapporto). Oltre a Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) di Halloween – La notte delle streghe (1978), tra i personaggi femminili di horror non a loro agio con la propria sessualità ricordiamo ad esempio Nancy Thompson (Heather Langenkamp) di Nightmare – Dal profondo della notte (1984) o Mari Collingwood de L’ultima casa a sinistra (1972).
La final girl è spesso anche intelligente e studiosa, impacciata, a volte un po’ maschiacchio e non le piace assumere alcool e droghe (a differenza di come vediamo fare ai suoi coetanei), cosa che la rende più sveglia e reattiva, pronta a combattere e a reagire alle incursioni del killer di turno. La sua intelligenza e furbizia fuori dal comune fanno sì che sia in grado, in certe occasioni, di superare in astuzia il villain che la perseguita. Spesso, addirittura, è lei ad essere la prima ad accorgersi che c’è qualcosa che non va e che la situazione potrebbe essere pericolosa, mentre i suoi amici restano completamente all’oscuro (come accade in Halloween).
L’entrata in scena delle final girls può essere sicuramente considerato un passo avanti rispetto al cinema horror precedente, le donne hanno finalmente un ruolo di rilievo all’interno del film, e lo spettatore maschile viene forzato ad assumere il loro punto di vista. I personaggi femminili non sono più esclusivamente vittime o amanti del protagonista maschile, ma divengono vere e proprie eroine (e spesso, i personaggi maschili, sono molto meno “capaci” di loro a resistere al killer). Peccato, però, che in questi primi slasher la final girl finisca quasi sempre per salvarsi grazie alla sua purezza morale e alla conseguente inesperienza sessuale (negli esempi più recenti di questo cinema, come vedremo, questi personaggi riescono invece a rivendicare finalmente la propria sessualità), spesso poi riescono a sopravvivere semplicemente per essere sfuggite al killer abbastanza a lungo o per il provvidenziale arrivo di un personaggio maschio a soccorrerle, come Sally di Non aprite quella porta e Laurie di Halloween.
Una prima rivoluzione: Scream di Wes Craven
Randy: Fa attenzione, questo è il momento in cui l’assassino creduto morto torna in vita per lo spavento finale.
Sidney: Non nel mio film!
Un primo cambiamento nel modo di rappresentare la final girl nel cinema horror viene segnato da Scream (1996) di Wes Craven, che oltre ad essere uno slasher nel senso più classico del termine è anche una critica (divertente oltre che spaventosa) ai topoi che hanno fatto il successo di questo genere di film. Non a caso Wes Craven, che ha scritto e diretto Nightmare – Dal profondo della notte, può essere considerato uno dei padri fondatori del genere: chi meglio di lui può ribaltarne e rielaborarne i cliché?
Al centro di questa storia un gruppo di teenagers che vengono perseguitati da un killer mascherato, Ghostface. Tra loro c’è Sidney Prescott (Neve Campbell) che fin da subito capiamo essere la nostra final girl, ha infatti tutte le caratteristiche che ci aspettiamo di trovare in questo tipo di personaggio: è dolce, casta, dimessa e intelligente.
Il primo cambiamento di direzione dalla strada tracciata in passato lo notiamo quando però decide di fare sesso con il suo fidanzato, Billy Loomis (Skeet Ulrich). Non più così casta, quindi, ma anche molto meno vittima di quel potrebbe inizialmente sembrare, da un certo punto della pellicola in poi, infatti, Sidney prede in mano la situazione ed il controllo di quanto sta accadendo: è lei stessa, infatti, ad uccidere il killer alla fine, non si salva per miracolo e nessuno viene in suo soccorso. Sidney è un tipo completamente diverso di final girl, che inaugura una nuova era al cinema per questo genere di personaggi femminili, in cui l’eroina di turno non si limita a sopravvivere ma al contrario si dimostra forte ed implacabile.
Ci sono due momenti in particolare nel film in cui questa rivoluzione è evidente: quando Sidney uccide il personaggio di Stu (Metthew Lollard), schiacciandolo con un televisore acceso in cui intravediamo una scena dell’Halloween del 1978 in cui Laurie Strode è perseguitata da Michael Meyers; l’altro, subito prima, quando lei stessa colpisce chi si nascondeva sotto la maschera di Ghostface, indossando il suo travestimento.
L’idea di un horror che ribalta i cliché del genere – e di conseguenza anche il ruolo della final girl – è stata ripresa anche da film più recenti, tra questi non possiamo che citare un piccolo cult recente, Quella casa nel bosco, diretto da Drew Goddard e coscritto da Joss Whedon.
Le final girl oggi
Sidney Prescott ha fatto da apripista ad un epoca cinematografica in cui le final girls prendono la situazione in mano e si salvano da sole, non si nascondo più ma anzi cercano la battaglia e affrontano il nemico. Tra gli esempi di final girls moderne non possiamo che citare Dani (Florence Pugh), protagonista di Midsommar – Il villaggio dei dannati di Ari Aster: i suoi amici passano il loro tempo tra sesso e droghe e – come è facile a questo punto aspettarsi – vengono inevitabilmente uccisi; lei, invece, è più lucida degli altri e si accorge presto che attorno a lei c’è qualcosa che non va ed è l’unica, alla fine, a sopravvivere. Nella sequenza finale del film, poi, Dani ribalta completamente la situazione, si libera infatti di Christian (il suo fidanzato, a cui era legata in una relazione disfunzionale ed abusiva) e si trasforma lei stessa nel killer, lasciandolo morire in un elaborato sacrificio.
Un’altra final girl che cambia completamente veste è la Susie Bannion (Dakota Johnson) della versione del 2018 di Suspiria, diretta da Luca Guadagnino: nella versione originale, di Dario Argento, Susie è la tipica final girl, che si salvava nel finale per puro miracolo, qui invece è si trasforma in una potentissima strega, capace di punire ferocemente chi aveva cercato di farle del male.
Nella recente trilogia di Fear Street, una serie di film che riadatta il genere slasher al pubblico di adolescenti di oggi, un cambiamento simile è evidente in Fear Street Parte Due: 1978. Per tutto il film crediamo che la final girl sia Cindy Berman (Emily Rudd), che ha tutte le caratteristiche che tipicamente vengono attribuite a questi personaggi; sul finale invece la situazione si ribalta, e ad essere uccisa è lei e non sua sorella Ziggy (Sadie Sink).
Tra le moderne final girls c’è anche quella di Hush – Il terrore del silenzio (2016) di Mike Flanagan, in cui Kate Siegel interpreta Maddie, una ragazza sordomuta costretta a scontrarsi con un diabolico assassino che si è introdotto in casa sua (ovviamente isolata) e ha iniziato con lei un gioco malato. La sua disabilità, però, in questo caso diventa un suo punto di forza, e Maddie riesce a ribaltare i ruoli di persecutore e vittima mettendo in seria difficoltà il killer. Anche Tree Gelbman (Jessica Rothe) – protagonista del film di successo di Blumhouse diretto da Christophen Landon, Auguri per la tua morte (2017) – è una final girl decisamente atipica: non è dolce, dimessa, e soprattutto non è casta. Ma in questa versione horror de Il giorno della marmotta sono proprio queste sue caratteristiche – unite ad una spiccata furbizia – ad farla sopravvivere alle incursioni dell’ennesimo killer mascherato.
Una final girl che si emancipa
La castità è una di quelle caratteristiche su cui maggiormente si faceva leva nelle final girl del passato, non a caso, oggi, è una di quelle che maggiormente si cerca di cambiare. Prendiamo ad esempio due film horror che sono stati particolarmente apprezzati tanto dal pubblico che dalla critica: The Witch di Robert Eggers e It Follows di David Robert Mitchell, in cui la sessualità della protagonista svolge un ruolo fondamentale. Entrambe le ragazze, infatti, non sopravviveranno alla fine perché sono caste e vergini, ma anzi perché accettano ed usano (a loro vantaggio) la propria sessualità.
In It Follows Jay (Maika Monroe) è una giovane perseguitata da un’entità misteriosa ed assassina che l’ha presa di mira dopo aver avuto un rapporto sessuale con il ragazzo che frequenta (un topos degli slasher movie che qui prende letteralmente vita). Invece che rinnegare la propria sessualità Jay ne prende il controllo, e la trasforma in un’arma per liberarsi dalla persecuzione dell’essere malvagio. Thomasin (Anya Taylor-Joy) di The Witch, invece, è un’adolescente del diciassettesimo secolo, che vive nell’America appena colonizzata dai padri pellegrini: è casta, pura, devota, ma semplicemente per essere donna – e trovarsi in un momento della sua vita in cui il suo corpo comincia a sbocciare, attirando involontariamente le attenzioni maschili – viene accusata di essere una strega. Nello sconvolgente finale Thomasin diventerà proprio quello che i suoi familiari hanno sempre temuto, sarà però solo accettando la propria sessualità che troverà finalmente la libertà.
Un’altra rivoluzione evidente in questa tipologia di personaggi è coincisa con il successo che negli ultimi anni hanno riscosso gli horror a sfondo sociale, di cui sono un esempio perfetto i film di Jordan Peele e in cui fanno la comparsa, per la prima volta, delle final girls di colore. Negli horror il personaggio di colore è quello di cui ci si libera più velocemente (un altro topos classico è quello del nero che muore per primo), spesso fa da spalla alla protagonista bianca ma poi muore sempre molto velocemente. Jordan Peele, invece, affida a Lupita Nyong’o il ruolo della protagonista di Noi, Adelaide, ribaltando la tradizione secondo cui gli horror debbano essere sempre visti attraverso il punto di vista di un personaggio bianco (cosa che ha fatto anche con il suo precedente Scappa – Get Out). A rendere Noi ancora più rivoluzionario e complesso è il fatto che la sua protagonista, come scopriremo alla fine, è sia vittima che villain, sia (black) final girl che “mostro”, è infatti attivamente responsabile di quello che sta accadendo alla sua famiglia. Un personaggio di questo tipo è quindi simbolicamente perfetto per raccontare ed impersonificare temi come le diseguaglianze sociali, il razzismo e la discriminazioni, che sono lo spunto fondamentale per i film di Peele.
Citiamo infine tre film in cui la final girl non è solo una, ma a sopravvivere fino alla fine è un gruppo numeroso, capaci finalmente di prendere in mano il loro destino. In Assasination Nation le protagoniste sono un gruppo di ragazze che si ribellano alla società patriarcale che vorrebbe farne delle vittime (tra loro una ragazza di colore, Em, e una trans, Bex); in Black Christmas – Un Natale rosso sangue, remake del classico del 1974, troviamo un’altro gruppo di ragazze, che nel finale massacrano i loro oppressori rivendicando la propria libertà; in Grindhouse – A prova di morte, di Quentin Tarantino, in cui il killer è uno stunt-man ormai in pensione che viene inseguito ed ucciso dalle ragazze che erano inizialmente le sue vittime.
Ha aspettato questa notte. Ha aspettato me. Io ho aspettato lui.
Laurie Strode (Jamie Lee Curtis)
È evidente quanto il ruolo della final girl sia cambiato nel corso del tempo, confermandosi anche (e soprattutto) come uno specchio della società in cui viviamo, in continuo cambiamento ed evoluzione. Oggi la final girl è più forte rispetto a quelle del passato e non è più esclusivamente definita dal suo essere vittima: un esempio perfetto? La Laurie Strode del remake/reboot di Halloween uscito nel 2018 (di cui di recente uscito il primo sequel, Halloween Kills), che si è preparata tutta la vita per combattere – e soprattutto per sconfiggere – il suo oppressore Michael Meyers.