In questa torrida estate italiana Lucky Red ha fatto a tutti gli appassionati di cinema e di animazione un regalo molto speciale: riproporre in sala cinque dei capolavori del maestro Hayao Miyazaki. Il primo titolo in programma è La città incantata, l’opera che ha portato all’autore giapponese l’Oscar per il miglior film d’animazione (mai ritirato). Nei giorni passati vi abbiamo già provato a spiegare su queste pagine perché il lungometraggio del 2001 è il film che ha cambiato tutto e tutti.
Ripercorriamo brevemente la trama di questo capolavoro, prima di concentrarci in particolare sugli ultimi minuti. La piccola Chihiro, insieme ai suoi genitori, sta traslocando. Durante il viaggio in auto imboccano la strada sbagliata e si ritrovano davanti a una volta, dalle sembianze antiche. Decidono di attraversarla e di concedersi questo piccolo tour fuori programma. Come i più classici racconti fantasy, si tratta di un portale verso un mondo “altro”, l’accesso a una città incantata abitata da yōkai (spiriti della tradizione giapponese). I genitori della bambina si lasceranno attrarre dalle bancarelle del cibo, tramutandosi rapidamente in maiali. Da questo punto in poi inizia il percorso di Chihiro che con l’obiettivo di riportare i suoi genitori alla normalità firmerà un contratto per lavorare nel centro termale di Yubaba, la quale le cambierà il nome in Sen. Un percorso di crescita tanto duro quanto magico, in cui incontrerà tanti compagni di viaggio tra cui Haku, un ragazzo/drago anch’egli al servizio della strega.
Un lungo finale
La città incantata è un raccoglitore di immagini, sogni e segreti che proveremo a svelarvi con la nostra spiegazione del finale. Alcuni potrebbero circoscrivere l’atto finale de La città incantata agli ultimi minuti. Più precisamente dal momento in cui Chihiro esce dal regno magico descritto da Miyazaki, dopo aver (o meglio non aver) riconosciuto i genitori. A nostro avviso però si deve fare un passo indietro, posizionando l’inizio dell’ultimo atto a circa trenta minuti dai titoli di coda. È in questo momento che Chihiro, prende definitivamente in mano la situazione facendo percepire l’avvenuto compimento del suo processo di maturazione.
La bambina dopo aver salvato Haku ritorna dal Senza Volto ormai fuori controllo, gli dona una delle polpette magiche e inverte il procedimento riportandolo al suo stato iniziale. Dopodiché si fa trasportare fuori dalla struttura, verso i binari del treno, per dirigersi da Zeniba, sorella di Yubaba, insieme a Bō e allo stesso Senza Volto. Un viaggio che la aiuterà ulteriormente a prendere coscienza del tutto. Da Zeniba viene raggiunta da Haku, ormai liberato dalla maledizione, pronto a riportarla alla città per aiutarla a tornare a casa. È in questo viaggio di ritorno che arriva il vero climax del film, con Chihiro che aiuta Haku a ricordare il suo vero nome, rammentandogli come una volta egli fosse il fiume Kohaku, aggiungendo un altro tassello alla chiave di lettura ecologista già presente nel film. In questo viaggio andata e ritorno Chihiro ha già compiuto il suo percorso di maturazione ed anzi aiuta gli altri personaggi a chiudere il loro arco narrativo: da Bō al Senza Volto, da Zeniba ad Haku.
Il finale: sogno o son desto
Sono principalmente due le domande sorte nella maggior parte degli spettatori dopo il finale de La città incantata: come ha fatto Chihiro a capire che tra i maiali mostrati da Yubaba non ci fossero i suoi genitori; se quello vissuto dalla giovane fosse un sogno o un reale viaggio magico.
Al primo quesito ha risposto lo stesso Miyazaki anni dopo in un’intervista:
Da quando il film è uscito al cinema non ho mai spiegato come Chihiro riesca a svelare l’inganno di Yubaba alla fine della storia. Come quelle persone che sono costantemente alla ricerca di spiegazioni per poi affermare che tutto è illogico. Tutta via io non credo che questo tipo di cose sia importante. Dopo tutto quello che ha passato, la giovane Chihiro sa semplicemente che i suoi genitori non sono li. Tu mi chiedi perché la ragazza lo sa, ma la chiave di tutto è nel conoscere la vita umana. Questo è tutto. Se qualcosa manca qui e là, il pubblico cerca sempre di colmare queste lacune per se stesso. Non voglio perdere tempo a pensare a questo tipo di cose.
Il maestro Miyazaki in questo caso sottolinea, in maniera a nostro avviso sacrosanta, la sempre più presente ossessione del pubblico alla trama e ai risvolti più piccoli e talvolta insignificanti. In special modo davanti a un’opera stratificata, complessa e immaginifica come La città incantata.
Sul secondo quesito, e quindi sulla realtà o meno dell’avventura vissuta da Chihiro, è sempre lo stesso autore giapponese a rispondere. Non con un’intervista in questo caso ma attraverso la sua magnifica e sempre attenta regia. Infatti Miyazaki, dal momento in cui Chihiro si ricongiunge con i suoi genitori tornati alle loro sembianze umane, si sofferma per ben due volte sul nastro di capelli magico che Zeniba le aveva donato in precedenza. A sottolineare come effettivamente tutto il viaggio della giovane non fosse un sogno ma magica realtà.