Dopo ben sei mesi di follie produttive, nel febbraio del 1980, il progetto The Blues Brothers di John Landis finalmente vedeva la luce, un cult che da lì a poco sarebbe divenuto leggenda. All’epoca, il film di Landis fu necessario affinché si riscoprisse la musica blues e le sue meravigliose melodie, tant’è che a seguito dell’uscita del film, la sua colonna sonora venne reputata la migliore mai scritta. Attraverso i suoi fantastici interpreti, i quali consolidarono il mito di John Belushi, nel ruolo di Jake, con un’interpretazione ancor più memorabile di quella nel precedente successo Animal House di soli due anni prima. The Blues Brothers inizialmente fu più amato oltreoceano, questo a causa di una critica nazionale statunitense che non ne comprese la grandezza.
Al box office americano, infatti, incassò appena 57 milioni di dollari, poco più, rispetto al vertiginoso budget di 30 milioni, impensabili per l’epoca. Nel resto del mondo incassò oltre 58 milioni di dollari, per un totale di 115, ai quali bisogna addizionare i numerosi dollari incassati grazie all’immenso successo per le edizioni homevideo. Per un anno intero, tutti coloro che videro I Blues Brothers al cinema uscirono dalle sale ballando e canticchiando, ripetendo le gag delle scene più esilaranti all’interno di un musical moderno ricco di scene action e una profonda dose di socio-realismo con cui John Landis, all’età di soli 30 anni, si riconfermava uomo di cinema dall’enorme talento.
L’origine del progetto “The Blues Brothers”
Chicago. Polvere e fiamme si innalzano al cielo. Sembra l’inizio di Blade Runner. In quella città dominata dal degrado e dal classismo, si conoscono John Belushi e Dan Aykroyd. Il primo di padre albanese era colonna portante e spinale della compagnia comica teatrale Second City. Il secondo era solito esibirsi nel mitico show Saturday Night Live, palcoscenico che avrebbero spesso calcato entrambi. Da subito il loro legame andava oltre quello della semplice amicizia, era qualcosa che sfociava nella fratellanza. Inseparabili, i due neo show men condividevano esperienze e discutevano spesso sui loro gusti musicali. Dan Aykroyd, in quel periodo, a Toronto gestiva un locale dove si beveva e si ascoltava musica, il Club 505. Belushi frequentatore del luogo, sentendo il blues se ne appassiona profondamente, lui che era molto più avvezzo all’heavy metal e al punk. Come in ogni cosa che lo riguardava, Belushi, ci mette anima e corpo nella sua nuova passione e subito vuole formare una banda con il suo caro amico Aurkroyd, al fine di rielaborare quei colossi del blues in un modo tutto loro.
Un ispiratissimo Aykroyd, idea i personaggi di Jake ed Elwood Blues: i fratelli Blues, e le loro storie prima che il grande pubblico li conoscesse. Bambini, poi cresciuti ma non troppo, in un orfanotrofio di Chicago gestito da suore, consapevolmente criminali poiché sanno di non fare lavori rispettabili. Ciò nonostante, sono ossessionati dalla musica, la quale riempie sempre le loro giornate ma anche da valori tipicamente cristiani, non è una caso che i loro genitori acquisiti siano un musicista ed una suora: “Tu e la pinguina siete la nostra unica famiglia”. I due ragazzotti, Jake ed Elwood, ormai battezzati, cominciano ad esibirsi al Saturday Night Live, con lo scopo di riscaldare il pubblico attraverso brevi segmenti musicali, da subito riscontrando un grande successo. Il nome del duo arrivò per caso e fu il direttore musicale del SNL, Howard Shore a darglielo, durante un’improvvisata presentazione. Il punto più alto lo ottengono grazie all’esibizione durante lo spettacolo di Steve Martin nel 1978. Quel che ne segue è l’incisione dell’album “Briefcase Full of Blues”, doppio disco di platino con 3 milioni e mezzo di copie vendute e disparati concerti in giro per il Paese.
Chi erano Jake e Elwood e la loro band?
Cappello e occhiali sono un riferimento assoluto per la loro divisa di scena e l’abito nero con la cravatta, non solo è la rappresentazione di una declinazione della cosiddetta “Coolness”, ma soprattutto un modo per mascherare la propria identità di esseri anaffettivi, dissociati agli occhi degli aristocratici classisti conformi alla massa (scena al ristorante). I due hanno una missione, la quale portata è di dimensione divina poiché indetta dallo stesso Signore e non si fanno scrupoli per portarla a compimento, arrivando anche a prendersi la libertà di imbrogliare i membri della band che ora ricoprono “ruoli rispettabili”.
Dan Aykroyd non si occupa solo delle origini degli antieroi più sgangherati criminaloidi di sempre, irresistibilmente simpatici, ma anche quelle di tutti gli altri membri della band. Tuttavia, la sceneggiatura conclusa non ha una linearità e il risultato è parecchio caotico. 324 pagine di idee geniali ed interessanti difficilmente dirigibili. Consapevole di ciò, Aykroyd contatta il giovane John Landis, fresco del successo di Animal house ed in tre settimane sfoltisce il malloppo riducendolo di parecchie pagine.
Belushi costituisce la band con Paul Shaffer, musicista originario del Canada, pianista al SNL nonché futuro direttore musicale del David Letterman Show. I componenti sono: il sassofonista “Blue” Lou Marini; il trombonista, jazzista e polistrumentista Tom Malone, storico collaboratore di Frank Zappa; l’esperto chitarrista e produttore Steve Cropper, in passato collaboratore di noti bluesmen come Sam & Dave e Otis Redding. La band si è esibita in svariati tour anche a seguito della morte di Belushi, spesso con il fratello James, sempre affiancato da Aykroyd.
Un trionfo per la musica Blues
Durante le riprese del film, Landis, chiama a sé delle leggende sacre del mondo del blues, in un’epoca in cui la musica black ha virato verso la disco. Il regista anch’egli originario di Chicago fa coesistere all’interno dello stesso film queste due anime black e white e le fa danzane sullo sfondo di una città degradata, come nella memorabile sequenza che vede Ray Charles protagonista indiscusso con il classico “Shake a Tail Feather” .
Ognuno di loro si approccia al progetto portando i grandi successi del proprio repertorio. Tra i più anziani c’era Cab Calloway, illustre performer del Cotton Club. Nella finzione è il padre spirituale e ispiratore dei fratelli Blues ed è proprio lui a cantare la celeberrima versione di “Minnie The Moocher”. The Blues Brothers è soprattutto una ghiotta occasione per riappropriarsi, da parte di quei uomini che respiravano note di blues, della fama che gli aveva per lungo tempo fatti distinguere tra il grande pubblico.
La massiccia presenza musicale maschile viene spezzata dell’effervescente Aretha Franklyn, sulle note di “Think” o dal compulsivo desiderio di uccidere i fratelli da parte di Carrie Fischer, assatanata ma ancora innamorata di Jake. Poi, James Brown, il reverendo black che attraverso le note di “The Old Landmark” illumina Jake ed Elwood di luce divina e gli fa comprendere l’entità e la portata della loro missione. Oltre a questi mostri sacri, numerosi caratteristi compaiono nel film. Ad esempio, il regista Frank Oz, la guardia che riconsegna interdetta gli effetti personali a Jake, prima di scoprire che quest’ultimo non sa nemmeno scrivere. In una delle ultime sequenze del film, si vede anche un giovanissimo Steven Spielberg, mentre, nella sequenza finale, in prigione, durante l’esibizione della cover di “Jailhouse Rock”, il primo a saltare sul tavolo per scatenarsi è Joe Walsh, il chitarrista degli Eagles.
L’importante è esibirsi
Il film racconta l’avventura di due pazzi disfunzionali, la cui personalità è la degenerazione di un’ideologia rappresentativa di valori, talmente esagerati da sfociare in autismo. I due si nascondono dietro la loro cravatta, la quale aggiustano non appena si accorgono che il pubblico non li acclama, ma anche dietro agli occhiali da sole che non si leveranno mai se non davanti agli occhi luccicanti di una donna fremente di ucciderli però ancora profondamente innamorata. Sono due criminali di campagna e giocano a sentirsi grandi al tal punto che uno dirà: “Chi vi credete di essere, i Beatles?”
Grandi amanti del carcere e fermi sulla loro decisione di tornarci, condizione che accettano nel momento in cui sanno di averne combinate parecchie. Tuttavia per loro non sarà il carcere, bensì un servizio per lo Stato. Molto rispettosi delle forze dell’ordine, le quali non si sottraggono dal ringraziare durante l’esibizione dell’ultimo concerto, anche se da loro scappano in continuazione distruggendo tantissime auto. The Blues Brothers, infatti, segnò un record per l’epoca: quello per il maggior numero di auto distrutte durante un inseguimento.
Gli incidenti nel film sono molti e molto spettacolari, necessari anche a deridere un certo tipo di gigantismo tipico del Cinema americano e della sua idea nel rendere tutto spettacolare, con tanto di salti, piroette, cadute e una grande enfasi sulla leva del cambio automatico e dei pedali, il tutto ad elevata velocità. Alla fine, il numero di auto sfasciate ammontava a a 103. Tutto si distrugge, tutto è catastrofico, tranne loro: i fratelli Blues non arrancano, non cadono e non vengono mai colpiti, sembra che siano veramente benedetti dalla luce divina.
Nel suo film, Landis riprende tanto dal cinema sociorealista inglese degli anni 60′ e ne rielabora il contenuto da grande amante. Ciò che ne vien fuori è una commedia action e musical con l’immensa capacità di far coesistere il tutto in maniera sopraffina.
The Blues Brothers possiede uno humor realistico perché giocato su uno sfondo urbano e quotidiano , il quale si mischia con il concetto catastrofista del cartone animato, laddove ogni cosa è possibile, compreso il non morire.
Quello che passa alla Storia sono le note, la musica blues, e le tante danze che sono la diretta conseguenza di un film così scalmanato e divertente nel quale l’importante è esibirsi, sempre, perché bisogna ricordarsi, che chiunque noi siamo e qualunque lavoro stiamo facendo per tirare avanti e sopravvivere, c’è sempre qualcosa che ci rende tutti simili. “E se trovate qualcuno di particolare, tenetevelo stretto, uomo o donna che sia, amatelo, coccolatelo, stringetelo, esprimete i sentimenti con baci e carezze. Perché? Perché è importante trovare qualcuno da baciare, da sognare. Tutti abbiamo bisogno di un qualcuno da amare.”
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