Kurt Vogel Russell è uno degli attori più iconici di Hollywood. La sua carriera, iniziata fin da bambino, ha raggiunto l’apice negli anni ’80, probabilmente il decennio più amato e ricordato del cinema americano. Non sorprende, quindi, che un’icona così radicata sia stata riscoperta proprio in un’epoca in cui la nostalgia regna sovrana. Tuttavia, la fama odierna di Russell non è dovuta solo ai suoi successi del passato, ma anche ai progetti contemporanei che lo hanno riportato sotto i riflettori.
L’attore è cresciuto in un ambiente cinematografico: suo padre, Bing Russell, era anch’egli un attore con cui ha condiviso il set in diverse occasioni. Ma è stata la maturità, unita a scelte intelligenti e coraggiose, a dimostrare la sua lungimiranza: in un periodo in cui Hollywood sembrava tornare ai rigidi dogmi conservatori degli anni ’50 – spinti dal clima politico dell’era Reagan – Russell ha intrapreso un percorso diverso, scegliendo ruoli fuori dagli schemi che si sono rivelati vincenti.
Non è stata quindi solo la fortuna di lavorare con grandi autori a definirlo, ma anche la sua capacità di individuare e accettare ruoli anticonvenzionali. Negli anni ’80 il pubblico era ormai stanco del classico eroe muscolare e cercava qualcosa di nuovo. Russell ha saputo intercettare questo cambiamento, dando vita a personaggi unici, dotati di carisma e qualità fuori dagli standard dell’epoca.
Reagan e il contesto storico

L’icona, intesa come simbolo culturale, si configura come una figura in grado di incarnare tutti i valori e gli aspetti di una determinata comunità (America) in un determinato contesto storico (Reagan e gli anni ‘80). Per Reagan era infatti fondamentale tornare a una visione dell’America conservatrice e pura. Come quella che siamo stati abituati a vedere durante gli anni ‘50: con periferie ordinate, oneste e piene di self-made man di successo. L’icona in questo contesto funge da simbolo educativo per il popolo americano, trasmettendo i valori della presidenza del momento.
L’uomo doveva allora presentarsi come un individuo monodimensionale, risoluto e coraggioso. Schierato sempre dalla parte del giusto, l’eroe reaganiano era disposto ad affrontare qualsiasi minaccia o sacrificio necessario per portare alla vittoria la sua cara America. Sarà proprio in questo clima che attori come Sylvester Stallone o Arnold Schwarzenegger troveranno la loro raison d’etre, assurgendo a icone del genere. Queste icone non sono meramente dei simboli visivi, ma infondevano nello spettatore il desiderio di “essere come loro”. L’importanza dell’icona cinematografica è tale perché in grado di modificare le prospettive di interi popoli.
Parliamo di eroi estremamente patriottici con psicologie appiattite da un dualismo male/bene in cui l’America ne usciva sempre vincitrice. Eroi muscolari in grado di resistere a proiettili ed esplosioni al fine di sconfiggere il nemico (esterno) di turno. Ed è proprio in questo clima che Kurt Russell compie una scelta controintuitiva -dimostrando, con fisico e spirito, la necessità di un anti-eroe in grado di parlare al pubblico con maggiore profondità. La produzione di questa anti-icona sarà la chiave vincente per conquistare un pubblico ormai intorpidito dai soliti dogmi.
Un anti-eroe d’eccellenza

Il primo, grande ruolo di Russell, che in qualche modo ne consacrerà anche l’icona, è quello legato al personaggio di Snake Plissken – protagonista del film 1997: Fuga da New York. Snake è un ex militare votato al crimine e viene ingaggiato dal governo degli Stati Uniti per salvare il presidente, rapito nell’ormai nota isola-prigione di New York. Pena per il fallimento: la morte. Se Plissken può sembrare a prima vista vicino all’eroe muscolare anni ‘80, duro e cinico, in realtà il suo personaggio è ben lontano dagli eroi del periodo.
Pensiamo ad Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone: i loro eroi action non dovevano trasmettere una coscienza politica, se non quella conservatrice sostenuta dal governo americano dell’epoca. Il pubblico doveva identificarsi in un eroe sociale, sempre dalla parte della giustizia secondo la visione reaganiana, capace di cavarsela con forza bruta e sangue freddo in ogni situazione. Non a caso, i nemici erano spesso russi: la Guerra Fredda, infatti, sarebbe finita solo nel 1991 e, fino ad allora, si combatteva anche attraverso i media.
Il personaggio di Snake Plissken ha ispirato il famoso Snake nel videogioco “Metal Gear Solid”.
Plissken in questo contesto si presenta come un vero e proprio anti-americano. Non è solo un ex militare decorato caduto in disgrazia, ma un mercenario il cui unico scopo è sopravvivere in un’America sempre più oppressiva e violenta. Plissken accetta di salvare il tanto “amato” presidente degli USA solo sotto minaccia di morte. Per tutto il film vediamo quanto il decorato eroe di guerra sia ormai diventato un completo anarchico, in totale opposizioni con i dogmi del momento. In poche ore, il volto di Kurt Russell diventa il volto della protesta politica del tempo.
Decostruire il machismo

Un’altra grande riforma compiuta da Kurt Russell avviene con Grosso Guaio a Chinatown, sempre appartenente al genio americano John Carpenter. Il film si basa su un’avventura di Jack Burton (Kurt Russell), un camionista americano che si ritrova invischiato in una faccenda di vita e di morte a Chinatown. Ebbene, il protagonista macho di Carpenter, con tanto di canottiera e muscoli in tiro, è in realtà un eroe buono a nulla. Poco scaltro, poco coraggioso ma molto “fortunato”.
“Jack Burton pensa di essere John Wayne, ma in realtà è più simile a un buffone. È l’eroe, ma anche la spalla comica allo stesso tempo.” – Kurt Russell
Il film, ricco di avventura e azione muscolare americana, è in realtà una satira sul machismo dell’epoca. Non solo Jack Burton non è capace di combattere ma non è nemmeno il retto e brillante self-made man che tanto piace agli americani. Il vero salvatore della situazione è il suo amico Wang Chi, interpretato dall’abile Dennis Dun. Un personaggio che l’Hollywood classica avrebbe semplicemente rilegato a una spalla comica ma che qui diventa il vero eroe (marziale) dell’azione.
Sarà invece Jack Burton, l’eroe muscolare, a essere relegato ai siparietti più comici – come nella goffa battaglia finale con il malvagio Lo Pan. A Burton non interessa conquistare fama o fortuna e nemmeno riequilibrare il mondo secondo i dogmi del momento. Il volto di Kurt Russell non potrebbe essere più lontano dal machismo reaganiano. La stessa sottotrama amorosa, un must per questo tipo di action movie, viene gettata al vento in un finale totalmente anticlimatico che vede Burton ripartire con il suo amato camion.
La legacy come icona-pop

La carriera di Kurt Russell si sviluppa di film in film, restando però nel cuore del pubblico come quell’anti-eroe da controcultura che tanto hanno amato. Nonostante alti e bassi, arriva agli anni 2000, quando l’attenzione conquistata con tanta dedizione sembra svanire. Ed è proprio in questo momento che accetta di rielaborare la sua immagine grazie a un regista visionario del panorama contemporaneo: Quentin Tarantino.
Se in passato i personaggi di Russell, tutti dotati di grande presenza scenica, incarnavano eroi o anti-eroi tutto sommato bonari, con Tarantino la formula si ribalta. Grindhouse presenta al mondo un nuovo “Jack Burton”: un personaggio disadattato, violento e completamente amorale. La follia che Russell mette in scena è al tempo stesso giocosa e brutale, grafica e micidiale, ridefinendo il concetto stesso di eroe moderno, ora perso in un nichilismo senza soluzioni e lontano dal moralismo reaganiano.
Questa svolta gli apre le porte a nuovi ruoli iconici, come il nostalgico Ego in Guardiani della Galassia Vol. 2 o il crudele boia di The Hateful Eight. Interpretazioni che esaltano la sua versatilità e, allo stesso tempo, spingono il pubblico a riflettere sull’evoluzione dei propri gusti. Nel mondo di oggi, gli anti-eroi non bastano più: i villain diventano il nuovo strumento per rileggere, in chiave oscura, il passato nascosto degli anni ’80.