In questi giorni in rete si leggono diversi commenti delusi, se non sprezzanti, nei confronti del nuovo film di Martin Scorsese, adesso nelle sale e che poi sarà disponibile su Apple Tv+, Killers of the flower moon. Il tono di queste considerazioni varia dalla delusione di chi ama il regista di Taxi Driver ma rimane spiazzato dal tono meditabondo del film rispetto ai cult del passato dal ritmo incalzante fino allo sdegno di chi trova che nell’arco di più di tre ore succeda poco e in maniera ripetitiva, come se la durata extra-large indugiasse su concetti già chiari fin dall’inizio. Per non parlare di chi, a prescindere, non accetta un film della durata di 3 e 26 minuti.
Su quest’ultima questione ci ha già pensato Scorsese a rispondere dalle pagine del New York Times, dove ha affermato che se si riesce a fruire un’intera serie sullo schermo casalingo nel corso di binge watching (spesso anche ripetuti), sarà anche possibile guardare al cinema un film di tre ore e qualcosa, inferiore alla durata di qualunque serie. Ma il problema rimane ed è stimolo di una riflessione.
Scorsese oggi
Per la generazione di chi scrive Martin Scorsese è sempre stato, insieme con Spielberg, Coppola e una manciata d’altri, il Regista, colui che da sempre incarna l’espressione massima dell’amore per il cinema, oggetto di adorazione come può esserlo oggi Quentin Tarantino oppure Christopher Nolan. Registi i cui film possono essere divisivi, ma il cui pubblico, anche più giovane, riempie le sale in base al loro nome. Oggi Scorsese viene purtroppo dai più guardato con sussiego e accondiscendenza, definito come il vecchietto generatore di meme che si scaglia contro i cinecomic targati Marvel e DC.
E anche chi ne riconosce i meriti passati oggi, più di altri, sembra il maestro ormai scollato dal tempo attuale, che vive sugli allori e che sforna senescenti film-fiume che non interessano più nessuno. Che ha trovato asilo tra le piattaforme streaming come Netflix e Apple+ che gli danno carta bianca solo per il prestigio del catalogo e per acquisire punti sulle tabelle dei critici. Perché, ormai si sa, i film di Scorsese al cinema non incassano, almeno quando vengono programmati nelle sale.
Le abitudini audiovisive attuali
Il problema, rispetto al mancato apprezzamento di un film come Killers of the flower moon, crediamo risieda, più che nelle proprietà del film stesso, nelle abitudini audiovisive che si sono andate affermando negli ultimi anni tramite i servizi di streaming. Senza voler in alcun modo demonizzare nessuno, ma volendo semplicemente prendere atto di una situazione, oggi lo spettatore medio è assuefatto nei confronti di trame forzatamente arzigogolate, in cui si viene costantemente rimandati avanti e indietro nel tempo, tramite continui flashback e flashforward che titillano la curiosità dello spettatore. Che, da bravo consumatore di prodotti, cerca di sbrogliare l’intricata matassa e ricostruire la cronologia degli eventi che hanno portato a una determinata situazione.
Sembra proprio che le narrazioni attuali vogliamo tenere lo spettatore sul filo tramite frequenti rivelazioni sul passato dei personaggi, continui se non forzati colpi di scena, ricostruzioni di verità che vengono presentate da più punti di vista. In linea di principio non c’è nulla di sbagliato in una costruzione narrativa che incastri temporalmente gli eventi in modo tale da creare mistero, o semplicemente per rendere tutto più interessante, ma crediamo anche che negli ultimi anni, proprio tramite la narrazione seriale, si sia abusato di questa tecnica narrativa, certamente non nuova. E se alcune serie come Breaking Bad ne hanno fatto diventare un’accorta cifra stilistica, in tanti altri prodotti questo meccanismo appare forzato, moltiplicato e abusato, fino a svuotarne il senso. Ormai l’essenza di un film o di una serie sembra essere basata esclusivamente su colpi di scena e trame inutilmente ingarbugliate da sciogliere.
Non è un film usa e getta
Killers of the Flower Moon va in tutt’altra direzione. Alcuni potrebbero non riconoscersi in questo Scorsese più compassato rispetto ai ritmi dei suoi gangster movie, che erano più cool anche nella confezione e operavano una rappresentazione spettacolare della violenza, con un’epica legata strettamente a quel contesto, basata su un genere in cui il fuorilegge esercita comunque un fascino indiscutibile sul pubblico. Ma Scorsese è sempre stato tanto altro ancora, soprattutto se guardiamo a film come L’ultima tentazione di Cristo, Kundun e Silence.
Nemmeno rivedendo un cult universalmente riconosciuto come Toro scatenato troviamo quegli elementi che oggi piacciono tanto a chi si inietta overdose di serie e film di algoritmica adrenalina. Anche in quel caso c’era un ritmo piuttosto compassato, sebbene intervallato da improvvise esplosioni di violenza e dalle spettacolari sequenze degli incontri di boxe. Ma la trama era assolutamente lineare, senza colpi di scena di sorta. L’essenza del film era lo studio di un personaggio auto-distruttivo in cui Scorsese aveva riversato molto della sua interiorità ed esperienza.
Non è un film usa e getta questo Killers of the Flower Moon. Si tratta, invece, di un cinema che intende lavorare sul lungo periodo, rimanendo nella storia e dentro le coscienze. È un’opera al tempo stesso magniloquente ed essenziale, intima e inesorabile. Possiede la grandezza, come rilevato già in altri contesti critici, de I cancelli del cielo, che pure raccontava una pagina buia della storia americana con un registro insieme spettacolare e intimo. Tragedia collettiva e individuale si intersecano in un’ordalia da incubo, dove western, thriller e dramma storico, tingendosi di nero, parlano la stessa lingua e invitano a meditare sull’idiozia, oltre che sulla banalità, del male.
Lo sguardo di un autore
Ma noi spettatori odierni forse ci siamo disabituati a un film che nasce dallo sguardo di un autore e non da calcoli algoritmici che vogliono accontentare quanti più palati possibili. L’ultima opera di Scorsese va lasciata sedimentare, lavorata interiormente, con i tempi che richiede la sensibilità di ognuno di noi. Killers of the Flower Moon procede a spirale, ti accalappia pian piano nella sua tela, in modo sottile, fino a portarti dove vuole lui, ovvero al cuore del Male, senza sconti né redenzioni. Non chiede allo spettatore di scervellarsi su chi ha fatto cosa e quando, gli eventi sono ben chiari, ma si richiede invece una partecipazione diversa, vicina alla meditazione orientale su di un tema.
L’affresco antropologico di Scorsese (e anche in questo il film è profondamente inserito nella sua poetica) è uno studio sul Male e su come viene perpetrato, spesso in maniera goffa e idiota, non affabile e nemmeno tanto machiavellica. Lo stesso William Hale che complotta per eliminare i nativi americani si affida, per le questioni più delicate, a un imbelle come il nipote Ernest Burckhart, forse perché non ha di meglio sotto mano.
Il film di Scorsese parla direttamente all’anima di chi guarda, interrogandone la coscienza e mettendolo al tempo stesso volutamente a disagio: in alcune scene infatti si sorride di fronte all’inettitudine di individui stolti che compiono però azioni scellerate, dalle conseguenze terribili, messe in scena con crudezza e realismo, senza spettacolarizzazioni. Forse Killers of the Flower Moon verrà apprezzato maggiormente in seguito, con la lente della storia oppure, semplicemente, quando ritroveremo il tempo di lasciar sedimentare ciò che vediamo. Specie se con una durata extra-large.
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