Prima dei grandi universi condivisi e delle grandi narrazioni blockbuster sul grande schermo, prima ancora che diventasse anche solo possibile concedere a un autore poco conosciuto le risorse per realizzare film ad alto budget, c’era un tempo in cui neppure il cinema era consapevole di poter offrire uno spettacolo tanto grande nel giro di pochi anni. Sembra si parli di una vita fa, ma l’arrivo del nuovo millennio ha segnato una svolta storica sotto molti aspetti, che si parli dei contesti produttivi o di quelli legati alla distribuzione. Mai come allora, però, tutti questi cambiamenti erano stati portati avanti da una singola produzione. Grazie a Il Signore degli Anelli il mondo del cinema ha abbracciato la modernità. E il principale responsabile dell’evoluzione di un’intera industria ha un nome e un cognome: Peter Jackson.
Con uno sforzo produttivo senza eguali in decenni di esperienze hollywoodiane, il piccolo regista neozelandese noto principalmente tra gli appassionati per i suoi horror divertenti e cruenti è riuscito in un sol colpo a sconvolgere il mondo, a lanciare la sua carriera e a creare una vera e propria leggenda. Girando nello spazio di appena due anni e mezzo tre colossal di respiro sempre più ampio, carichi tanto d’ambizione quanto di eccellenze in ogni ambito della produzione, la trilogia de Il Signore degli Anelli è riuscita a essere ancora oggi la più amata mai realizzata: un racconto di lotta tra bene e male che unisce epica e orrore, dolore e speranza, aprendo definitivamente la strada a tutte le opere successive.
Sembrerebbe impossibile immaginare gli ultimi 20 anni di cinema senza l’immane influenza di LOTR, ed è per questo che il suo ritorno nelle sale rappresenta l’occasione migliore per raccontare ancora come e perché la trilogia abbia lasciato un segno indelebile.
Da una folle idea a un successo epocale
Prima del 2001 sembrava ridicolo anche solo pensare di portare sul grande schermo orchi, elfi e maghi senza attirare le ire dei produttori. Tuttavia, la trilogia di Jackson è riuscita a riportare in auge il genere fantasy e a farne capire le potenzialità epiche soprattutto agli occhi del mainstream, vessato per anni da produzioni mediocri e scadenti. Con questi tre film ogni cosa ha assunto connotanti stilistici di inequivocabile rispetto: la storia ha preso il sopravvento, l’epica ha sconfitto il pregiudizio.
L’idea di adattare i romanzi di Tolkien sembrava già folle nel 1998, quando Jackson dichiarava di voler fare la storia creando il Lawrence d’Arabia del fantasy cinematografico. Dichiarazioni assurde all’epoca, ma mai così tenaci e giustificate oggi. Proprio quest’ambizione è ciò che va analizzato essenzialmente per capire il successo e la specialità di questi film: per quanti personaggi, battaglie o location potessero intrecciarsi, Il Signore degli Anelli è sempre rimasto ancorato al potere dello storytelling e all’umanità dei personaggi. La trilogia, catturando proprio con la sua emotività milioni di spettatori, ha rappresentato un vero e proprio evento culturale, qualcosa che chiunque abbia vissuto potesse raccontare ai propri figli un giorno.
Eppure, se fosse stato per le mere logiche delle major, nulla di tutto ciò sarebbe mai stato reso possibile. Harvey Weinstein, che con la sua Miramax deteneva i diritti per la realizzazione dell’opera, insisteva con Jackson sul realizzare uno, al massimo due film, esclusivamente per mungere l’IP quanto più possibile. Le forti opposizioni di Jackson gli costarono un ultimatum: trovare una compagnia disposta ad ascoltarlo entro due settimane, o la rimozione forzata dal progetto (e l’eventuale sostituzione con John Madden o addirittura Quentin Tarantino). Fortunatamente, la New Line realizzò il miracolo e accolse la proposta di Jackson, decidendo addirittura di finanziare un terzo film – e Weinstein fu “inserito” nel film come il più brutto fra gli Orchi.
Non deve quindi sorprendere che, dopo un simile attestato di fiducia e di lungimiranza, Il Signore degli Anelli sia diventato il Quarto Potere della sua generazione. Per impatto tecnico, culturale e sociale, con ogni film più maestoso del precedente e sempre un passo avanti dal punto di vista tecnico, la trilogia di Jackson rappresenta lo spettacolo più grande mai visto sul grande schermo. Che si tratti della Battaglia del Fosso di Helm o di quella dei campi di Pelennor, Il Signore degli Anelli ha segnato uno spartiacque tra i colossal precedenti e successivi.
Ambizione e Professionalità all’opera
Per quanto le tematiche delle opere di Tolkien siano state cruciali per la riuscita dell’opera, il lavoro di Jackson è riuscito a imporsi prima di tutto come massima rappresentazione immaginativa, amata non soltanto per il suo significato ma soprattutto per l’eccellenza delle professionalità coinvolte nella resa estetica dei film. Tanto le visioni bucoliche di Hobbiville quanto le fiamme del Monte Fato, tanto l’epico Balrog quanto il magniloquente Gandalf di Ian McKellen a confronto con i piccoli Frodo e Sam, hanno mostrato che dare dignità al materiale originale (e forse addirittura migliorarlo nel suo impatto finale) fosse possibile.
Anche solo mettendo da parte la diatriba sugli adattamenti, Jackson ha mostrato al mondo il futuro della tecnica cinematografica. Nella Trilogia, tutti gli effetti visivi sono stati realmente speciali: il lavoro congiunto di Weta Workshop e Weta Digital, da allora leader assoluto dell’industria, ha lasciato un segno indelebile e ha mostrato a tutti una qualità tale da far impallidire ancora oggi la maggior parte delle produzioni interamente digitali. Tra schermi verdi, miniature gigantesche, costumi e props, modelli digitali e diorama di sconvolgente bellezza, le meraviglie della tecnologia moderna hanno reso Il Signore degli Anelli un pilastro della modernità.
In questo senso, le due soluzioni veramente rivoluzionarie per il cinema sono state l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale per mostrare numerosi modelli a schermo in grado di agire indipendentemente l’uno dall’altro, e la pionieristica importanza data alla motion capture. Quest’ultima, in particolare, non aveva ancora mostrato le sue grandi potenzialità. Eppure, dal momento in cui Gollum del magistrale Andy Serkis è stato mostrato ne Le Due Torri fu subito chiaro che la settima arte si trovasse davanti a una svolta epocale. Jackson non ha solamente rivoluzionato gli effetti visivi, ma ha stravolto completamente l’approccio al loro utilizzo, rendendoli quanto mai diegetici e importanti per il racconto.
Testimoni di un miracolo
Sarebbe opportuno dire che i film di Peter Jackson siano più opere autoriali che semplici adattamenti. Il regista ha lasciato la propria impronta ovunque, nel bene e nel male, tra momenti di puro horror che richiamano le sue origini e spiragli di iper-drammatizzazione che tentano costantemente di esaltare oltre l’inverosimile l’opera originale. L’istinto di Jackson, intriso d’eccitazione e passione, ma sorretto da una coraggiosa dose d’eccentricità, ha permesso di ampliare ancor di più la mitologia tolkieniana dando solennità alle scene in un mix di estasi artistica e puri spettacoli dell’arte cinematografica. E per nostra fortuna non c’è stato alcun tipo di intoppo a ostacolarne la produzione o lo sviluppo.
Proprio come Gandalf Il Grigio, la trilogia di Peter Jackson è arrivata esattamente nel momento in cui poteva trarre il massimo dai vantaggi delle rivoluzioni tecnologiche e occupare uno spazio vacante del mercato cinematografico – ancora libero dalle dinamiche dittatoriali delle major e dei progetti su larga scala. Al netto di aggiunte e variazioni stilistiche, l’approccio di Jackson ha convinto tutti perché ha rispettato il materiale come se si trattasse di storia vera e vissuta, assicurandosi di preservare il messaggio dell’opera di Tolkien. Catturando l’autenticità di uno spirito iconico, Il Signore degli Anelli non ha solamente superato i limiti della settima arte, ma lo ha fatto dimostrando che anche la più complessa delle storie potesse trovare nuova linfa sul grande schermo. Peter Jackson ha creato qualcosa di veramente speciale: un epico, acclamato esperimento che ha rispettato e addirittura superato l’hype. Una di quelle rarità che potrebbe capitare di ammirare solamente una volta nella vita.