Sei nel pieno della tua adolescenza, hai una famiglia unita, stabile e felice, quando all’improvviso i tuoi genitori chiedono una riunione di famiglia. Come un fulmine a ciel sereno arriva il verdetto: papà e mamma hanno deciso di separarsi. La pena sarà l’affidamento congiunto. Ecco, questo è all’incirca quel che hanno vissuto Walt e Frank Berkman. Il ritratto di questa situazione viene dipinto da Noah Baumbach in quello che sarà il suo slancio definitivo verso una carriera colma di opere cariche di intimità.
Il regista, che prima di tutto è una grande penna dal timbro autobiografico e autentico, affronta il tema della separazione dei genitori delineandone i contorni, tra tossicità, egocentrismo e narcisismo. Contorni che imprigionano i due figli adolescenti come entro i limiti di una gabbia da cui è impossibile uscire, costringendoli a una rapida maturazione. 20 anni per un’opera spesso poco chiacchierata, ma che ha saputo raccontare un frammento di vita vissuta in modo unico e sincero.
Noah Baumbach, dalla sceneggiatura alla regia

Il calamaro e la balena (The Squid And The Whale) è il quarto lungometraggio del regista e sceneggiatore statunitense, uscito a dieci anni esatti dal suo esordio. Al 2005, infatti, la filmografia di Baumbach contava Kicking and Screaming (1995) e altre due pellicole, entrambe datate 1997: Highball e Mr. Jealousy. Dopo otto anni di inattività, dunque, il regista torna dietro la macchina da presa per quest’opera di cui firma anche la sceneggiatura (e per la quale otterrà la nomination agli Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale).
Proprio nel gennaio di venti anni fa veniva presentata la pellicola al Sundance Film Festival. La sua penna e la sua macchina da presa in anni più recenti hanno creato i più celebri Frances Ha (2012), The Meyerowitz Stories (2017) e Storia di un matrimonio (2019, Marriage Story). Baumbach ha recentemente firmato anche la sceneggiatura di Barbie – grande successo della compagna Greta Gerwig.
Tennis, scrittura, campi di battaglia

Il film si dimostra capace di trasmettere i messaggi senza giri di parole o grandi costruzioni. La regia di Baumbach si poggia sulla sua solida sceneggiatura, capace di far emergere i conflitti familiari tra silenzi, dialoghi sobri ed essenziali. Con pochi gesti e comportamenti quotidiani dei Berkman, difatti, i primi dieci minuti permettono di comprendere le dinamiche interne alla famiglia. La prima scena si apre con una partita a tennis, un doppio in cui si sfidano il padre Bernard Berkman (Jeff Daniels), affiancato dal primogenito Walt (Jesse Eisemberg), e la madre Joan (Laura Linney) affiancata dal figlio più piccolo, Frank (Owen Kline). Pochi secondi, apparentemente una semplice introduzione al film, che si dimostrano essere densi di informazioni.
Con l’atmosfera delle poche scene iniziali emerge tutta la maestria di Baumbach nella scrittura dei dialoghi: gli scambi sono densi e rivelatori, ma sono inseriti in scene all’apparenza scarne che lasciano emergere il conflitto tra i genitori. I due, entrambi scrittori ma al capolinea del loro rapporto, si trovano in due fasi opposte delle rispettive carriere: il padre ha intrapreso una parabola discendente e non fa che richiamare le sue opere passate; la madre, invece, è in totale rampa di lancio. Una contesa chiara a tutti – anche ai figli.
Dai genitori ai figli…

L’iniziale sfida a tennis si dimostra l’espediente perfetto per presentare la famiglia Berkman. Già la composizione delle due squadre non appare casuale: padre e primogenito da una parte, madre e secondogenito dall’altra. Gli stessi blocchi familiari che appariranno ancor più evidenti dopo la separazione. Il padre, difatti, mostra sempre la sua disponibilità a sostegno dei progetti di Walt. Al tempo stesso, però, non ripropone lo stesso meccanismo con Frank, mettendolo in guardia su ogni ostacolo per una carriera tennistica.
Joan, dal canto suo, sembra replicare timidamente i due binari comunicativi ma a parti invertite. Lei favorisce il figlio minore e attua atteggiamenti più aggressivi con Walt. Ciò dà il via a un distruttivo effetto domino, con i cocci di questa separazione che feriscono anche il rapporto di complicità tra i due fratelli.
…dai figli ai genitori

Dagli occhi dei due figli adolescenti vediamo due visioni che maturano nel corso della pellicola: Walt e Frank, infatti, vivono l’improvviso shock del divorzio e con il tempo guadagnano una rinnovata prospettiva. Walt, sin dalle prime scene, plasma la sua personalità sul padre Bernard (nonostante esitanti richiami della madre a creare una sua individualità). Tutto ruota attorno al pensiero del padre, dai libri da leggere sino alla prima ragazza. Lo idealizza, lo imita per poi imparare a osservarlo con un occhio realistico. L’idea di dover replicare l’immagine intellettuale del padre lo porta addirittura a fingere di aver scritto Hey You dei Pink Floyd. Frank, dal canto suo, sente più il legame con la madre e sostiene il suo maggiore successo nel campo della scrittura. Nei confronti del padre, invece, avverte quasi una sorta di avversione, essendo meno incline a idealizzarlo come Walt.
Il padre (un superbo Jeff Daniels) non riesce a scavalcare il muro di egocentrismo che gli ostruisce la vista; la madre (una Laura Linney dalle mille sfaccettature), invece, resta intrappolata nel pantano dell’adulterio. Così, dagli scritti e dalla regia di Noah Baumbach emerge un fedele ritratto del divorzio. Il regista riesce a dimostrare quanto la genitorialità possa essere tossica, ricordando che i figli adolescenti non sono meri spettatori passivi della controversia. La genitorialità del film è priva di empatia, guarda (e usa) i figli come premi o semplici giocattoli per cui battagliare in un affidamento tutt’altro che congiunto. Mette in scena un padre e una madre incapaci di proteggere i loro figli dal terremoto che ha distrutto la loro famiglia, di comprendere la rabbia e il disorientamento vissuti da Walt e Frank.
La ricerca dell’autenticità

Tutto quel che affiora da Il Calamaro e la Balena, seppur romanzato, ha un solido nucleo di autenticità. Molto di quel che riporta nel film è un chiaro richiamo autobiografico del regista e sceneggiatore. Molti sono, infatti, i punti di contatto tra la famiglia Berkman e la famiglia Baumbach – a partire dal divorzio dei genitori e dalle ripercussioni che questo ha avuto sullo stesso Noah e sul fratello minore, compreso il confronto e la competizione tra le carriere del padre e della madre. I suoi erano due ambiziosi scrittori e critici cinematografici: la carriera del padre in fase crepuscolare, quella della madre in ascesa. Inevitabile pensare che l’adattamento di quel divorzio vissuto in prima persona sia stato un ulteriore modo per metabolizzare un trauma spesso sottovalutato.
A emergere, anche nella sua eredità, è la volontà dell’opera di rielaborare e trovare attraverso il Cinema uno sfogo per sentimenti a lungo repressi. Questo film traccia solchi nel vissuto di chi osserva con grande maestria, creando il fedele ritratto di una separazione attraverso occhi adolescenti che in un addio vedono un terremoto pronto a travolgerli (e a stravolgerli). Un monito ad affrontare la separazione come affare di famiglia, senza che la spaccatura divida anche i genitori dai propri figli.
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