“Non mi nascondo tra le ombre, io sono l’Ombra!” così afferma The Batman (con l’articolo) nel nuovo film di Matt Reeves appena uscito nelle sale, originale rilettura dell’uomo pipistrello che, dopo tante eccelse incarnazioni precedenti, riesce a spremere e distillare quella che è la vera anima di genere del fumetto Batman e cioè quella di un noir a tinte fosche, un thriller torbido, nonché una detective story, incentrata su una detection che, nell’arco di tre ore, conduce Bruce Wayne e lo spettatore con lui, in un progressivo e psicologicamente serrato approssimarsi verso una verità dolorosa ma liberatoria.
In questa sede andremo a squadernare alcuni simboli archetipici che si celano nel nuovo, magnifico e oscuro The Batman e faremo una sorta di seduta di psicanalisi al giovane e tormentato Bruce Wayne. Prima di proseguire però, vogliamo sottolineare come non sia un caso che stavolta ci sia l’articolo nel titolo: esso è al tempo stesso un omaggio al fumetto originario di Bob Kane che, nei primi tempi, si chiamava appunto The Batman, ma denota in realtà anche un carattere archetipico che, con questa incarnazione attuale, si manifesta in maniera evidente e ferina. Vedremo come. Useremo dunque anche noi l’articolo ogni volta che ci riferiremo all’uomo pipistrello.
Attenzione: sono presenti spoiler!
L’ombra
“Io sono l’Ombra!”. È quasi una dichiarazione programmatica quella che pronuncia Bruce Wayne nel suo monologo interiore iniziale, che richiama i romanzi Hard Boiled degli anni ’40, ma che non può non far pensare anche al diario di Rorschach, indimenticabile personaggio dell’epopea fumettistica di Alan Moore, Watchmen, portata sul grande schermo nel 2009 da Zack Snyder, che scoperchiava il marciume della New York (e dell’America) degli anni ’80 e che condivideva con Batman un’integrità morale quasi fondamentalista, nonché una propensione a non scendere mai a compromessi.
Mai come in questo film la prima apparizione del crociato incappucciato è davvero terrorizzante: il suo simbolo stagliato nel cielo notturno impaurisce i criminali, ed ogni anfratto buio di Gotham City viene visto dai malviventi, e anche dagli spettatori, con paura, perché può spuntarvi il temuto pipistrello. Quando effettivamente il Batman si palesa, non solo emerge dall’ombra, ma è quasi come se si materializzasse letteralmente da essa e ne traesse l’energia che lo compone e lo sostiene. Quando agisce diventa pura furia, “vendetta”, come afferma ai malcapitati balordi che aggredisce in una stazione della metropolitana.
Come giustamente sottolineato in molte recensioni, il Bruce Wayne di Matt Reeves non è ancora propriamente adulto, ma neanche un ragazzo alle prime armi. Egli combatte il crimine a Gotham da due anni, per cui è, in un certo senso, scafato ma è ancora preda di un’enorme rabbia interiore, causata dal famigerato trauma della morte violenta dei genitori davanti ai suoi occhi, quando era ancora un bambino. Egli non è mai uscito da quel momento segnante e la furia che scatena contro i delinquenti è solo un canale di sfogo per tutta quella rabbia accumulata da allora. È intelligente e svelto, riesce a risolvere gli enigmi del suo nemico quando gli vengono posti, ma gli manca ancora la lucidità per afferrare il quadro completo. Egli è bloccato in questi sentimenti grezzi e intensi che costituiscono una prigione, nonché un utero in cui rifugiarsi: è più facile regredire e infuriarsi come un bambino, piuttosto che cercare di affrontare e reintegrare quelle parti di sé andate perdute col trauma iniziale. È per questo che Bruce ha creato Batman, l’Ombra di se stesso, in cui si riconosce a tal punto che, in questo film è Lei a prevalere e ad occupare, non a caso, il minutaggio maggiore del film, rispetto alla sua identità socialmente accettata. Non è più Batman l’alter-ego di Bruce ma è vero il contrario. L’Ombra ha il sopravvento.
Ma che cos’è l’Ombra? Junghianamente, non è altro che l’insieme di quelle parti della nostra personalità rimaste sommerse nell’inconscio, non necessariamente negative, ma sicuramente sconosciute all’Io cosciente. Potremmo passare anche tutta la vita senza riconoscere tali aspetti di noi, ma sarebbe certamente un’esistenza più inconsapevole, meno ricca, forse addirittura arida. Lo svelamento dell’Ombra è dunque il riconoscimento, sempre doloroso, di quelle parti nascoste del proprio Sé, che andrebbero integrate nella personalità cosciente, se non si vuole soccombere ad esse. È proprio ciò che succede a Bruce/Batman nel momento in cui cede alla sua furia vendicativa, sebbene controllata da un codice morale interiore che gli impone di non usare armi da fuoco.
Bruce afferma, ad un preoccupato Alfred, di non temere la morte. Attenzione però: non perché ha sconfitto i suoi demoni interiori e può quindi trapassare in pace. Egli non ha paura della morte perché è posseduto da un istinto di morte, in quanto è totalmente identificato con la sua Ombra, il Batman, un archetipo talmente potente che, quando ne veniamo afferrati, perdiamo la nostra lucidità, proprio come accade a Bruce. L’Io del giovane orfano miliardario soccombe a un qualcosa di ancestrale e oscuro che alberga in tutti noi.
Batman, l’Ombra di Bruce, ha preso il sopravvento in questa nuova incarnazione filmica, degnamente rappresentata sullo schermo da un perfetto Robert Pattinson, compresso e, al tempo stesso, reso scattante dalla sua angoscia interiore. Diceva il detective della polizia Al Pacino/Vincent Hannah in quel capolavoro di thriller disperato e notturno che è Heat – La sfida: “Devo tenermi la mia angoscia, la devo proteggere, perché mi serve, mi mantiene scattante, reattivo, come devo essere”. Senza voler ovviamente fare paragoni impari delle due interpretazioni, il meccanismo psicologico è però simile.
L’enigma
L’altro simbolo preponderante nel Batman di Reeves è l’enigma. L’Enigmista pone al Batman una fitta e intricata rete di enigmi che, come in una caccia al tesoro, avvicineranno sempre più il Batman (e dunque Bruce) ad una dolorosa verità riguardante la sua famiglia e quindi sé stesso. Ma che cos’è l’Enigma? È una contraddizione che esprime una verità tramite una metafora. In altre parole, per dirla con Aristotele: “dire cose reali collegando cose impossibili”.
Pensiamo ad esempio all’enigma più famoso della storia, cioè quello che la Sfinge, il mostro della mitologia egizia dal corpo di leone e dalla testa umana, pone a Edipo nella famosa tragedia di Sofocle: “Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede?”. Per chi non la conoscesse, la risposta è l’uomo, che da bambino gattona a quattro zampe, da adulto cammina su due piedi e da vecchio si aiuta col bastone. Chi non risolveva l’enigma posto dalla Sfinge ne veniva sbranato.
Come vediamo, fin dall’antichità l’enigma nasconde un’insidia, una minaccia mortale e quando gli dei li ponevano agli uomini non era certo per aiutarli. Si dice tra l’altro nelle Upanishad indiane: “Gli dei amano l’enigma, e a essi ripudia ciò che è manifesto”. L’enigma veniva dunque posto all’interno di una sfera divina, mistica, per celare verità indicibili, non comunicabili in maniera diretta, che alludevano a tutto ciò che è invisibile, celato dietro l’illusorietà della realtà materiale, percepita dai sensi.
L’Enigmista, come una maligna divinità, sottopone il Batman a numerosi indovinelli, anzi gli costruisce attorno una tela di enigmi che Bruce riprodurrà fedelmente sul pavimento della sua abitazione. Questa architettura di enigmi su enigmi, intrecciati l’uno nell’altro, celano quella che è la verità su Gotham City, ovvero sul mondo che circonda Bruce. Così come gli enigmi, nell’antichità, alludevano a verità inesprimibili sulla natura illusoria della realtà che ci circonda, così gli enigmi posti dal Riddler celano la vera natura di Gotham, corrotta, fatiscente e degenerata fino al midollo.
Conosci te stesso
Se però il Batman riesce a risolvere, più o meno agevolmente, quasi tutti gli enigmi, con l’ultimo non ce la fa o, comunque, lo intuisce quando è troppo tardi. Guarda caso l’ultimo enigma riguarda proprio verità scottanti e dolorose sulla sua famiglia e, quindi, su sé stesso. “Conosci te stesso” recitava il motto scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Bruce/Batman non può risolvere l’ultimo enigma perché non è ancora giunto a quella consapevolezza che gli permetterà di affrancarsi dalla sua Ombra. Solo dopo aver riconosciuto dentro di sé quelle paure ataviche (la paura di perdere coloro che ami per esempio) che lo attanagliano fin da bambino, sarà capace di fare l’ulteriore passo e cioè contrastare la minaccia dell’Enigmista, sebbene tardivamente, e trasformarsi egli stesso in un simbolo di luce e speranza, come puntualmente mostrato nella simbolica inquadratura dall’alto in cui, ‘armato’ di razzo di segnalazione, fa strada ai cittadini di Gotham attraverso l’oscurità.
Non dimentichiamo infine che la Sfinge, ovvero la più famigerata entità preposta agli enigmi, era un “mostro ibrido che simboleggia l’intrecciarsi di un’animalità feroce alla vita umana”, come eloquentemente espresso da Giorgio Colli nel suo volume “La nascita della filosofia”. Cos’è Batman se non un ibrido tra la feroce animalità del pipistrello e l’uomo? Tale ibrido presuppone dunque un essere umano in preda a pulsioni ferine, proprio come succede a Bruce, posseduto dalla sua Ombra. Se allora identifichiamo l’uomo pipistrello con le caratteristiche della Sfinge, ovvero con un’entità che pone enigmi mortali agli uomini, dunque l’Enigmista che cos’è? Forse una proiezione di Bruce? O meglio ciò che Bruce Wayne sarebbe potuto diventare se, da orfano, non avesse avuto accesso al patrimonio di famiglia. Se l’Enigmista funge allora da specchio oscuro di Bruce/Batman, si potrebbe affermare che è stato il suo stesso inconscio a ficcarlo in quella rete di enigmi, per permettergli di evolvere e diventare ciò che era destinato a essere, ovvero un simbolo di speranza.