Il 22 febbraio 1921 nasceva Giulietta Masina: in onore del suo compleanno proviamo a restituire il ritratto complesso e sfaccettato di un’artista che è entrata come un uragano nel cinema italiano e ha scombinato le carte in tavola. Pallina, Gelsomina, Cabiria: Masina, soprannominata “the female Charlot” in ambito anglofono, ha portato in scena un corollario di personaggi distinti tra loro ma che si uniscono sul viso dell’attrice, una maschera malinconica e sorridente al tempo stesso, a metà tra Charlot e Pierrot. E poi il sodalizio sentimentale e professionale con Federico Fellini, dove Masina diventa l’anima e la mente di alcune delle più importanti opere del regista riminese.
Gelsomina e Cabiria, nel chiaroscuro del sogno
Il primo ruolo di Giulietta è quello di Gelsomina ne La strada nel 1955: Fellini ha ideato il film ispirandosi proprio alla moglie, cucendole il film addosso come un abito su misura. Per farlo attinge dalla fonte più preziosa: l’infanzia. A partire da alcune foto di Giulietta all’età di dieci anni comincia a farsi strada nel tempo il personaggio di Gelsomina, fino ad arrivare a imprimersi sulla pellicola nelle fattezze che conosciamo: quelle di un clown dolce e un po’ triste, che si fa avanti nella vita opponendo un’ostinata resistenza di fronte alle intemperie.
«Credo che il film l’ho fatto perché mi sono innamorato di quella bambina-vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato, buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce a farmi ingobbire di malinconia quando sento il motivo della sua tromba» sono le parole di Fellini. Il ruolo di Gelsomina esalta le capacità recitative di Masina, la sua forte espressività e il suo uso del corpo come strumento comico, capace di piegare intorno a sé lo spazio circostante rendendolo una grande festa.
Ma ciò che lega Gelsomina ad altri personaggi cardine che segnano il percorso condiviso di Masina e Fellini, uno su tutti quello di Cabiria, è lo sguardo di Giulietta: due enormi occhi scuri da cui emerge un’invincibile malinconia. Non una malinconia statica e paludosa, ma uno spazio indefinito, mobile, dove i sentimenti e le sensazioni non si intorpidiscono ma si muovono leggere, quasi inconsapevoli. Una malinconia infantile, di un fanciullo che lotta per mantenere la sua innocenza, per rivendicare il suo diritto a stare al mondo senza dover per forza piegarsi alle sue regole crudeli e insensate.
Infanzia, malinconia, sogno: Giulietta in La strada e ne Le notti di Cabiria si muove all’interno di luoghi reali, segnati dalla povertà e dall’indigenza, volteggia lungo i margini della società, dove non ci può essere nulla di fisso e prestabilito se non la miseria dilagante. Ma questa concretezza subisce una trasfigurazione, diventano prodotti dello sguardo, oggetti che fanno parte di un percorso interiore, di una ricerca spirituale.
Qual è il senso della vita? Si tratta solo di sopravvivere e di soffrire o c’è qualcosa al di là di quella cortina di dolore? Sulla maschera colata di Gelsomina e sul viso di Cabiria si agitano tutte queste domande e le loro possibili risposte. «Il Padreterno che sa tutto: quando nasci e quando muori. Non lo so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché se tutto è inutile, allora è inutile tutto. Anche le stelle, almeno credo… e anche tu. Anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo».
Sogni, incubi e Technicolor: Giulietta degli spiriti
Siamo nel 1965: abbandoniamo le luci e le ombre polverose del bianco e nero felliniano e approdiamo nell’esplosione chiassiosa di colori del primo Fellini in Technicolor: i colori antinaturalistici e sgargianti della Hollywood patinata, già in uso da decenni, arrivano timidamente in Italia, e i registi sperimentano con questa bizzarra tavolozza che macchia lo schermo con pennellate audaci.
Assieme all’evolversi della tecnica si accompagna l’evoluzione dello sguardo, l’emergere di nuovi soggetti capaci di agire e di prendere la parola, profondi cambiamenti sociali e di costume. Fellini cerca di navigare questi cambiamenti, soprattutto quelli che investono la dimensione del rapporto di coppia: e per farlo si fa guidare proprio da Giulietta. «Il film è nato su Giulietta e per Giulietta. Ha una gestazione lunghissima che risale al tempo de La Strada. Intuivo che il mio desiderio di usare il cinema come uno strumento per penetrare certe trasparenze del reale, poteva trovare in Giulietta la guida più indicata» confessa Fellini.
«Giulietta sfiora i miti all’interno della psicologia umana, le sue immagini, quindi, sono quelle di una favola. Ma si tratta di una realtà più profonda dell’uomo: l’istituzione del matrimonio e la necessità all’interno di esso della liberazione individuale. È il ritratto di una donna italiana, condizionata dalla nostra società moderna, ancora un prodotto di deforme formazione religiosa e dogmi antichi – come quello di sposarsi e vivere felici e contenti. Quando cresce e questo non si è avverato, lei non può né affrontare né capire, e così scappa in un mondo privato di ricordi di ieri e di un domani mitico».
Giulietta degli spiriti è un viaggio in un mondo della femminilità costruito dallo sguardo maschile: ma la presenza di Masina in questo film pensato a partire da lei e per lei non è una presenza pacificata, che convalida il punto di vista autoriale. Al contrario, la Giulietta che si muove tra le ombre e le allucinazioni oniriche del film è un elemento di disturbo, che con sguardo scettico mette in dubbio il percorso che è stato tracciato per lei, lo scompone, lo ri-assembla, lo fa deragliare.
D’altronde il rapporto della stessa Masina con il film è molto conflittuale: più volte ha affermato di non capirlo, e solo molti anni dopo è arrivata a farci pace, seppur mantenendo le sue perplessità. «È un bel film, migliore di come lo trovavo vent’anni fa. C’è in ballo un problema come il matrimonio, che riguarda tutti. E la liberazione della donna, tirata fuori ben prima che se ne parlasse tanto. Delle donne Federico ha capito molte cose, e prima di altri, anche se il suo punto di vista resta maschile. Avrebbe dovuto raccontare i tormenti di Giulietta dalla parte di lei».
Questa dialettica che attraversa in modo sotterraneo Giulietta degli spiriti testimonia il ruolo di Giulietta Masina in netto contrasto con quello classico della musa: non una figura muta da ammirare e da cui trarre ispirazione, ma un corpo e un viso in movimento, capace di generare e rendere immortali clown, prostitute, ballerine di tip tap e spiriti dispettosi.
Un insieme di frammenti che ci restituiscono l’immagine evanescente di un’attrice che attraverso i suoi personaggi sfugge ai canoni della diva, dove l’individualità e il culto della personalità sono centrali. L’unico modo per conoscere Giulietta Masina è attraverso i movimenti dei suoi personaggi: le smorfie di Gelsomina e il suo incedere buffo e malinconico, lo sguardo di Cabiria, la pacatezza trasognata della Giulietta che vaga tra i suoi spiriti.
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