Se Hell is a teenage girl, come dice Needy di Jennifer’s Body, essere una giovane donna che fa i conti con l’età adulta in una società capitalista e ipercompetitiva non è di certo una passeggiata. Ne sanno qualcosa Julie de La persona peggiore del mondo, Frances di Frances Ha, Danielle di Shiva Baby, Billi di The Farewell. Questi sono solo alcuni dei personaggi, i casi più noti, che hanno portato sullo schermo una nuova tipologia di protagonista femminile che ha invaso l’immaginario cinematografico degli ultimi anni. Tutte giovani donne tra i 20 e i 30 anni, imperfette e incasinate, e tutte accomunate da un generale senso di spaesamento e di inadeguatezza dalle proporzioni cosmiche: protagoniste di film di formazione che non ci dicono dove dovremmo andare, ma ci mostrano solo dove siamo. Chi sono, cosa ci dicono, chi e cosa rappresentano? Vediamo le caratteristiche delle nuove muse di una generazione di ragazze in crisi cronica.
Gli antecedenti del cinema d’autore
I personaggi in crisi non sono certo una novità: il cinema d’autore degli anni Sessanta e Settanta ha incanalato perfettamente le nuove forze sovversive che serpeggiavano nella società, pronte ad esplodere di lì a poco in un radicale cambiamento di costumi, sessualità e mentalità. I personaggi femminili ne sono lo specchio più fedele: nel corso di quegli anni possiamo assistere al modificarsi del corpo della donna sullo schermo, un corpo che infrange i canoni classici di femminilità dominanti: in contrasto alla perfezione imposta, subentra una tipologia di personaggio femminile che si prende la libertà di raccontarsi attraverso una ribellione che passa attraverso l’imperfezione.
Donne che ridefiniscono le regole e le infrangono, inserite nel quadro di un cinema che infrange tutte le regole precedenti e rivoluziona sé stesso: basta pensare ai personaggi femminili della Nouvelle Vague, come quelli di Godard e Anna Karina. Ma l’esempio più calzate è Le margheritine (Sedmikràsky) di Věra Chytilová, un film ceco del 1966 e pietra miliare della Novà vlna che segue le avventure rocambolesche di due giovani ragazze, Marie I e Marie II. All’inizio del film vediamo gli aerei dell’U.S. Navy che sganciano bombe sul Pacifico, scena a cui segue un’inquadratura delle due ragazze annoiate che sbuffano ed esclamano: “Se tutto è cattivo, saremo cattive anche noi”.
Due corpi che distruggono tutto, che si prendono l’intero spazio filmico e lo ridefiniscono, impegnate in una lotta costante alla noia e alla banalità. Tutto viene buttato per aria, sontuoso banchetto compreso. Ma cosa rimane dopo questa distruzione assoluta?
Tra crisi identitaria e tentativi di ribellione
Le protagoniste di questi coming of age movie, film che spostano il loro focus dal passaggio da infanzia ad adolescenza a quello da adolescenza ad età adulta e oltre, hanno un rapporto conflittuale con il tempo e con la giovinezza, dove la spensieratezza associata con la gioventù viene inglobata dall’angoscia, dalla precarietà e dalla confusione. Un passaggio di prospettiva significativo nel suo trasferire ed estendere la fase di transizioni e di incertezza dall’adolescenza a quella in cui tutto dovrebbe essere già sistema e definito, l’età adulta. E invece le nostre protagoniste femminili ci mostrano che non si è risolto proprio nulla e non si è capito ancora proprio niente, e che nella situazione attuale non è nemmeno possibile farlo. Un modo di inquadrare l’infantilizzazione cronica dell’età adulta data dalla prospettiva di precarietà, di un’eterna giovinezza fuori dal tempo, e in quanto tale molto più angosciante.
Julie è una giovane donna di Oslo che passa da una facoltà all’altra, da Medicina a Fotografia, e nel frattempo intreccia una serie di relazioni sentimentali attraverso cui cerca di capire sè stessa; Frances attraversa di corsa le strade di New York cercando un posto nel mondo e affrontando la precarietà della sua vita; Danielle è una studentessa di studi di genere che si ritrova a imbastire diverse mascherate per nascondere la sua vita incasinata alla famiglia. Sono film diversi per tono e atmosfere, ciascuno con le peculiarità, ma le protagoniste sono accomunata dall’appartenere alla stessa fascia di età e sono tutte alle prese con questioni come la precarietà, l’incertezza e i tentativi di conciliare il desiderio di libertà e di stabilità.
Le donne di questi film di formazione moderni sono a volte in perenne movimento, a volte sono preda di una paralisi esistenziale; prendono decisioni, spesso disastrose, o si lasciano trasportare dalla corrente; amano appassionatamente o sono terrorizzate dall’intimità. Si confrontano tutte con un set di aspettative sociali che spesso non riescono nè ad ignorare nè ad eludere completamente, e che diventano loro malgrado un metro di paragone, una presenza ingombrante attorno cui si la loro vita e la loro identità si plasma. Ma è una formazione in negativo, che si costruisce in sottrazione: c’è sempre qualcosa che manca e non si trova, una mancanza che si insegue, qualcosa di indefinito che genera un’irrequietezza difficile da appagare con un lavoro normale, un rapporto sentimentale tradizionale, una traiettoria di vita classica e in discesa. Allora queste giovani donne devono reinventarsi, costruire la loro vita attorno alle domande, farsi guidare dalle incertezze.
Amore, lavoro, e tutto il resto
Questo tipo di personaggi femminili ha spesso aspirazioni artistiche o intellettuali: vediamo Julie scrivere qualcosa, Frances che aspira a lavorare nel mondo della danza, e Danielle con il suo corso accademico considerato poco spendibile nel mondo del lavoro. Il lavoro e la sua assenza o estrema precarietà occupa una parte rilevante nel senso di oppressione e di angoscia che attanaglia le nostre protagoniste. In particolar modo in Shiva Baby, il fatto di non studiare una materia che porti ad ottenere una posizione prestigiosa in ambito lavorativo è uno dei grandi temi su cui si costruisce l’impalcatura di bugie di Danielle, che si ritrova a dover nascondare alla famiglia quelli che verrebbero percepiti come fallimenti.
Un’impalcatura a sua volta fragile e precaria, la cui minaccia di un suo crollo determina il ritmo claustrofobico e angosciante al limite dell’horror psicologico che caratterizza Shiva Baby. Ma anche sul fronte sentimentale le cose non sono così semplici: ne La persona peggiore del mondo Julie passa da una relazione importante a un’altra: una con Aksel, un fumettista più vecchio di lei, e Eivind, un barista. Due modelli maschili opposti, due tipi di storie diverse che diventano il mezzo con cui Julie tenta di navigare il mondo e di capire quello che vuole. Danielle ha un rapporto irrisolto con la sua ex Maya, in una relazione che diventa un campo di forze dominato dall’incomunicabilità dove si scontrano desiderio di vicinanza e terrore dell’intimità.
Per quanto riguarda Frances il suo rapporto più stretto è quello con la migliore amica Sophie. Ma davanti alla “perdita” di questo legame con Sophie che va a convivere col fidanzato, vediamo sì Frances attraversare luoghi e interagire con diverse persone, ma sentendosi sempre estranea, come se facesse parte di un altro mondo. Questo attraversare il mondo di Frances senza sentirsene davvero parte, vivendo immersa nei suoi desideri e nelle sue aspirazioni che tenta con ogni forza di far coincidere con la realtà, troviamo l’esteriorizzazione della solitudine delle nostre protagoniste. Avvolte in una membrana sottile che le separa da tutto il resto, si muovono per le strade della grandi città in uno spazio privo di una rete sociale forte, dove stringere legami sembra quasi impossibile.
Donne, bianche e benestanti: dove sono le eccezioni?
Una critica che viene mossa a queste protagoniste è di rappresentare a loro volta un canone dominante: sono tutte donne bianche e benestanti, con il privilegio di avere una sicurezza finanziaria tale da poter inseguire percorsi meno convenziali o di poter sperimentare nell’attesa di capire cosa fare. Una mancanza di diversità significativa che necessita di essere colmata: abbiamo bisogno di narrazioni raccontate da soggettività diverse, che abbraccino la stessa tematica, analizzino lo stesso periodo di vita partendo da altri punti di vista, da altre esperienze più complesse di marginalità, che mostrino altre questioni e problemi che rimangono invisibili.
Una rara protagonista che racconta l’esperienza di essere una giovane ventenne che non sa cosa fare della propria volta sotto la lente della migrazione è Billi Wang in The Farewell – Una bugia buona di Lulu Wang. Nata e vissuta in America, quando Billi apprende che la nonna sta per morire ritorna a Changcun, in Cina. Billi vive la difficoltà di conciliare le sue origini con il suo vissuto in un Paese radicalmente diverso, l’irrequietezza di non riuscire a trovare un luogo fisso in cui sentirsi a casa e la sensazione di estraneità che l’accompagna ovunque ma che, a differenza di quella provata dalle altre protagoniste, ha una connotazione sociale e culturale precisa. Ma anche lei è una giovane donna che si sente persa, confusa e incompresa che, stretta tra due modelli culturali opposti, cerca di capire come vivere la sua vita.
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