Nella filmografia di Krzysztof Kieślowski, autore polacco capace di segnare un’epoca con le sue opere, non c’è mai stato spazio per la mediocrità. Protagonista di una di quelle vite destinate a farsi grandi dopo mille peripezie, il regista e sceneggiatore è tornato nuovamente in sala in questi mesi con la trilogia che lo ha definitivamente consacrato fra i maestri della settima arte. Kieślowski, che già avrebbe meritato quel posto per il suo Decalogo o La Doppia Vita di Veronica, si è permesso di trovare un connubio capace di soddisfare appassionati e critica in egual misura. Ponendo la propria esperienza e la propria sensibilità al servizio della cinepresa, con Tre Colori il regista ha intrapreso un percorso di svisceramento dell’umano sentire che con il suo stile e la sua profonda visione intimista ha aperto le porte a un dialogo perennemente attuale.
Sulla scia dello spirito settecentesco che ispirò la Rivoluzione Francese, Kieślowski ha fatto suoi tre ideali chiave e ha associato a ciascuno di essi un film. Tre ispirazioni universali: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Tre colori, come quelli della bandiera Francese. Quindi tre pellicole: Film Blu, Film Bianco, Film Rosso. Tre opere separate sulla carta, ma tutte immerse nello stesso oceano di possibilità, sensazioni, frammenti di vita. Chiedendosi, da puro intellettuale, quale significato avessero questi tre ideali nel mondo occidentale al tempo dell’uscita, lo sguardo dell’autore è però riuscito a dar forma e colore a un mondo di infinite emozioni sospese, celate fra le profondità della psiche umana – argomento che lo ha sempre affascinato e che lo ha spinto a coinvolgere lo spettatore in una meravigliosa analisi fenomenologica del dolore destinata a trascendere il tempo.
Film Bianco: parabola di Dolore e Uguaglianza
Film Bianco, secondo film della trilogia nelle sale in versione restaurata dal 9 all’11 ottobre, sfrutta un amore alla deriva per sviluppare una storia di riscatto e rinascita in cui il protagonista è costretto a superare l’impossibile per ritrovare se stesso e riprendere in mano la propria vita. Karol Karol (Zbigniew Zamachowski), nome già evocativo della macabra e tragicomica ironia che pervade la pellicola, è un uomo che si ritrova di colpo abbandonato dalla moglie Dominique (Julie Delpy) e umiliato nella propria intimità perché impotente. Questa tragedia personale travolge completamente l’uomo, portandolo verso strade sempre più oscure nel tentativo di cambiare il suo triste destino.
A torto ritenuto il lavoro meno riuscito dei tre, Film Bianco è certamente l’opera più ambigua della Trilogia dei Colori: accolto in maniera molto più tiepida dalla critica, il racconto sul tema dell’Uguaglianza ha suscitato reazioni contrastanti e divisive sin dalla sua uscita. La deriva kafkiana del protagonista, avvolta da un’aspra critica alla Polonia post-comunista, ha evidenziato la duplice intenzione del regista di raccontare con rabbia la situazione socio-politica del suo paese e di fornire una visione più profonda della condizione umana, resa universale non dal suo approccio ai temi, bensì dal suo approccio alle emozioni. Film Bianco ha rischiato di uscire fuori dai binari che Kieślowski si era imposto di seguire, ma nel rischio di deragliare è riuscito a preservare la sua essenza più pura.
Basta poco per accorgersi quanto l’opera intenda infatti sfruttare i rapporti interpersonali per presentare il conflitto che sta alla base del film: non può esistere Uguaglianza senza sacrificio, e questa parabola di morte e rinascita è forse l’unico modo per permettere a quel dolore tanto temuto di assumere connotazioni del tutto nuove. Karol, al centro di un’orribile spirale, ricerca la “potenza” perduta con tutte le sue forze, disposto a tutto pur di non rimanere vittima del suo stesso dolore. L’impotenza, come presto si comprende all’interno della pellicola, non si riferisce alla sfera fisica, ma a quella interiore: i rapporti di potere, che siano tra personaggi o tra sentimenti contrastanti, assumono quindi valori talmente ingombranti da pregiudicare l’esistenza stessa.
Sulle ali della determinazione, il viaggio del protagonista è quindi volto a poter riabbracciare la vita nella sua interezza, piuttosto che a un mero recupero del controllo. Per raggiungere il proprio obiettivo e riequilibrare le cose, Kieślowski ha posto davanti a Karol un percorso tortuoso in cui l’unica reazione possibile al dolore è trasformare radicalmente se stessi. Forse anche in questa conseguenza amara, ma efficace nei risultati, si cela il lato più nero dell’ironia di Film Bianco, una pellicola che abbraccia il cambiamento attraverso l’estremo e che vede nella morte la compagna ideale per attuarlo.
Intima rinascita
Anche se non è la sua capacità d’analisi a sorprendere, specialmente per chi conosce altri lavori di Kieślowski, il punto di vista dell’autore sull’animo umano sconvolge per quanto si avvicini a concetti universali che possano facilmente trovare spazio anche nella modernità. Il regista polacco, attento osservatore capace di cogliere sfumature e sentimenti altrimenti impercettibili, ha portato in scena l’impatto della ricerca interiore come strumento di metabolizzazione personale, persino come strumento di assoluzione. Partendo dall’autoanalisi, a detta sua fondamentale per qualsiasi processo creativo, Kieślowski ha riconosciuto l’importanza di cercare dentro se stessi e ha reso evidenti le intenzioni profonde e ragionate dietro le vicende della trilogia: sono i personaggi e la loro interiorità a plasmare il corso degli eventi, anche quando sembra scontato il contrario.
In un eterno gioco di pretesti, rimandi e aspettative, l’autore rivela la parte più intima dei suoi protagonisti e mette a nudo la loro condizione in maniera dirompente, catartica, permettendo alle sfumature di esplodere in tutta la loro magnificenza o di offrire costantemente ulteriori spunti d’analisi. Il gioco rappresentativo portato avanti dal regista trova qui la sua massima espressione, in quella che è universalmente riconosciuta come un’innovazione senza tempo: Kieślowski, col suo rigore comunicativo, ha dimostrato cosa vuol dire farsi narratore dell’esperienza umana, e lo ha fatto mostrandone gli aspetti più particolari e misteriosi.
Ogni capitolo della Trilogia dei Colori è colmo di dettagli ben precisi, caratterizzati da una funzione narrativa che non si limita allo sviluppo degli eventi ma che raffigura sprazzi di un’interiorità che domina la scena. Che si tratti della gestione cromatica o dell’utilizzo della luce, con Film Bianco il regista trasmette la sua idea di trasfigurazione del dolore verso un piacere convinto e duraturo, o quantomeno verso la pace e la consapevolezza, con uno stile e una voce che parlano a tutti senza preoccuparsi del contesto. Lo stile di Kieślowski riflette la sua poetica, universale nei temi quanto nelle emozioni, permettendo a chiunque di sentirsi parte attiva di un’analisi che poggia le proprie fondamenta su vicende squisitamente umane e relazionali.
Enigmatico per molti, induttivo per altri, il gioco simbolico e stereotipico del regista polacco abbraccia la coscienza più oscura per fornire più input possibili allo spettatore. Kieślowski offre le proprie risposte come strumenti che potranno aiutare chi osserva quando sarà quest’ultimo a cercare risposte fra gli anfratti più celati della propria interiorità. Smuovere le coscienze è un talento per pochi, che nella trilogia trova spazio a più riprese grazie a una profonda concezione emotiva che scaturisce direttamente dall’immersione nei rapporti sociali, e non in una società stigmatizzata.
Uno sguardo senza tempo
Osservando i suoi elementi oltre la superficie, Film Bianco si configura come un sogno spezzato, reso ossessione dal dolore e dalla disperazione, che viaggia attraverso volontà e bisogni per conquistare quell’Uguaglianza tanto decantata anche fuori dal film. La conquista ultima dell’ideale Bianco si rivela attraverso un cambiamento visto come indispensabile: la coppia di protagonisti, contrapposta nelle origini e nei desideri, può trovare una nuova luce solamente dopo la morte, la rinascita e la rielaborazione del dolore. Solo allora uomo e donna potranno ritrovarsi uguali: non come figure ora rese simili, ma come anime che riescano finalmente a capirsi, a comunicare e a rapportarsi l’una con l’altra. Ribadendo il concetto fondamentale dietro la pellicola, nonché il più attuale, che non può esistere Uguaglianza senza sacrificio.
Kieślowski ignora i dibattiti o le critiche sterili per concentrarsi sull’evoluzione di un rapporto complicato, consegnando alla storia un ritratto contorto e sfumato degli anni ’90 che fiorisce al confine tra vecchie e nuove speranze. Proprio nella connotazione socio-politica che fa da contorno alle analisi intimiste dell’autore si cela il motivo per cui ancora oggi quest’avventura supera il test del tempo: Kieślowski parla allo spettatore attraverso riflessioni potenti e visioni mistiche dal fascino intramontabile, ma è l’esperienza emotiva che cura scena dopo scena a creare quel contrasto tra sfera interiore e responsabilità storica che riesce a prevalere sulla sostanza, cambiando radicalmente il modo di vedere le cose.
Si potrebbero trovare infiniti motivi per recuperare i film di questa trilogia, anche separatamente. Farlo oggi, a quasi trent’anni dalla loro uscita, non rappresenta solamente uno stimolo culturale, ma un sincero regalo a se stessi.
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