Profumo di pane tostato, buon caffè e baci a colazione. Lui va a lavoro sorridente, impomatato, vestito di tutto punto. Lei è felice di rimanere a casa a rassettare il nido dell’amore perfetto. Un idillio ovattato che sembra non avere crepe. Certo, come no. Incredibile come la trama di Don’t Worry Darling assomigli al film stesso: una bella bolla di sapone pronta a esplodere. Promesse invitanti che non verranno mantenute.
Sì, perché il secondo film di Olivia Wilde nasconde tanti problemi dietro la sua confezione accattivante. Ottimo cast, protagonisti glamour, una messa in scena curata e un thriller che sulla carta prometteva buone dosi di mistero e inquietudine. Peccato che la campana di vetro di Don’t Worry Darling si rompa col procedere di un film a tratti presuntuoso e molto più fragile di quanto sembrasse nella sua bella vetrina. Cerchiamo di capire insieme cosa è andato storto.
Promessa senza prestigio
Forse peggio di un brutto film c’è solo un film deludente. Quei film che alzano di continuo l’asticella delle aspettative per poi fallire miseramente il momento del salto fatidico. E Don’t Worry Darling, secondo noi, appartiene alla seconda categoria. Perché va detto che Olivia Wilde ha una regia convenzionale ma solida, capace di avvolgere il pubblico (non a caso i movimenti di macchina sono spesso circolari) dentro la comunità malsana del film. Un film che intriga con una serie di indizi sparsi ed elementi stranianti che insidiano la quiete di Alice, la protagonista interpretata alla grande da Florence Pugh (la migliore in campo, come spesso le capita).
Don’t Worry Darling ci fa capire di continuo che quella patina di quiete in cui vivono i personaggi sta per essere squarciata da qualcosa, e questo (va detto) incuriosisce, tenendo viva l’attesa per buona parte della storia. Però questa lunga premessa sovraccarica di attesa si ritorce contro il film proprio nel momento dello svelamento del mistero. Una svolta narrativa debole, goffa, che rende Don’t Worry Darling un grande bluff. Come un prestigiatore che ammalia con una buona promessa, e poi sbaglia sia la svolta che il prestigio.
The Darling Show: troppo derivativo
E arriviamo anche al perché di questa delusione. Quando l’esile castello di carta di Don’t Worry Darling crolla miseramente vengono a galla una marea di déjà vu. Il problema è soprattutto uno: il film di Olivia Wilde è troppo derivativo. L’ultimo atto del film, infatti, si rivela un’accozzaglia di cose già viste altrove, raccontate meglio altrove. Nel calderone confuso di Don’t Worry Darling sguazzano la simulazione di Matrix, i dispositivi di Strange Days, le corse disperate nel deserto di Thelma & Louise, le suggestioni de Il prigioniero e soprattutto l’insofferenza di The Truman Show. Un gusto citazionista che toglie personalità al film e lo fa assomigliare a una minestra riscaldata con pigrizia. Il tutto, ricordiamolo, a poco più di un anno di distanza da WandaVision, che aveva già raccontato le prigioni mentali di una donna incastrata nel modello della donna perfetta. Insomma, la sensazione è che Don’t Worry Darling sia arrivato davvero fuori tempo massimo…
Femminismo: starter pack
Una sensazione confermata anche dalla “morale” didascalica, insistita e grossolana sottolineata con l’evidenziatore alla fine del film. Perché, alla fine di tutto, Don’t Worry Darling si rivela un grande manifesto femminista urlato in faccia all’uomo bianco, etero e manipolatore. Un dito medio alzato senza che il “come racconti” supportasse a dovere il “cosa racconti”. Perché il presunto femminismo del film è goffo, superficiale e senza un minimo di profondità. Basti pensare una scena imbarazzante in cui una donna pugnala un uomo urlando: “Adesso è il mio turno”. Presunto femminismo: starter pack, appunto.
Sembra quasi che Don’t Worry Darling abbia soltanto cavalcato una moda hollywoodiana le cui onde, però, sono cambiate da un pezzo. Perché se il movimento #MeToo si è sollevato sei anni fa, questo film sarebbe stato magari accettabile nel 2016, agli albori di un movimento smosso da una rabbia lecita e scoordinata. Adesso che si è aggiustato il tiro, ci sono tante narrazioni (cinematografiche e seriali) capaci di raccontare il femminismo con una complessità che il gioco di matrioske di Don’t Worry Darling può solo sognare (qualcuno ha detto Fleabag, The Handsmaid’s Tale e La fantastica Signora Maisel?). Una matrioska al cui interno non c’è davvero nulla all’altezza della presunta perfezione sbattuta in vetrina. Come un uovo rotto senza tuorlo e albume.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!