Se Doctor Strange nel Multiverso della follia sta già incassando cifre di tutto rispetto non è solo per l’attesa di rivedere sul grande schermo uno dei personaggi centrali di questa Fase 4 del Marvel Cinematic Universe. E non è solo per lo strascico di quel clamoroso Spider-Man: No Way Home, dove il personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch aveva una certa importanza. E, infine, non è nemmeno solo per la presenza della Wanda Maximoff, o Scarlet Witch che a dir si voglia, di Elizabeth Olsen, che abbiamo imparato a conoscere e comprendere nella prima serie tv originale targata Marvel Studios che risponde al nome di WandaVision.
C’è un altro motivo che rende questo secondo capitolo dedicato al personaggio creato da Stan Lee e Steve Dikto molto atteso, ed è il nome del regista. Un nome che provoca nostalgia e aspettativa. Per i più giovani, l’uomo che vent’anni fa ha ideato la formula perfetta del cinecomic moderno. Per i più attempati, l’anarchico che ha rivoluzionato il genere horror creando uno dei personaggi più memorabili della cultura pop quali Ash J. Williams, “reparto ferramenta“. Per tutti, un regista che fa compiere alla macchina da presa vorticose danze vincendo le regole della fisica.
è il cineasta folle particolarmente adatto a un multiverso folle.
Data anche la natura da film horror (con questi termini è stato sempre presentato questo sequel del film di Scott Derrickson del 2016), sono bastate le prime recensioni e le prime proiezioni ben accolte dal pubblico per apprezzare il ritorno dietro la macchina da presa di Raimi, regista che – forse perché appartenente a un modo di fare cinema che non esiste più – mancava da ben nove anni.
Tanto da definire, che siano commenti sui social o vere e proprie recensioni ufficiali, in Italia così come dalla stampa estera, questo Doctor Strange 2 il primo vero e proprio film d’autore dei Marvel Studios. È davvero così?
La visione di un autore
Parliamoci chiaro: Doctor Strange nel Multiverso della Follia è un film che trasuda la mano di Sam Raimi sin dalle prime inquadrature (lo stesso abbiamo detto nella nostra recensione del film) e che, nonostante un inizio un po’ diesel, più procede più riporta sul grande schermo la visione particolare e unica del suo regista. Per gran parte del film, lo spettatore vivrà un’avventura che sembra avere tutte le caratteristiche di quel vecchio cinema di Sam Raimi che abbiamo imparato a conoscere e amare. Poco importa che sia quello dei primi due Spider-Man o de La casa.
Una macchina da presa che vortica intorno ai personaggi, che crea movimento sbilanciandosi, che corre, salta, ruota insieme a loro. Lasciatecelo dire: è in questi casi che si nota la mano di un maestro. Costruendo l’azione anche e soprattutto attraverso le proprietà del cinema stesso, Raimi dà vita a un film-giostra (nel senso positivo del termine) con un gusto cinematografico e un senso del divertimento che appartengono al suo mondo e al suo modo di raccontare le storie.
Tra libri demoniaci da recuperare, battaglie contro le forze del male, vortici che trasportano i personaggi in altri universi, sembra di ritrovare un vecchio amico che era mancato, non solo al cinema ma a noi stessi (e chissà che qualche giovane spettatore venga guidato a recuperare quel gioiello fantasy de L’armata delle tenebre).
Se Doctor Strange nel Multiverso della Follia funziona a dovere è proprio per l’eccessiva creatività della messa in scena. La scena musicale poco prima del terzo atto è indicativa: un momento di puro cinema che si basa unicamente sulle immagini, sul ritmo e, di conseguenza, sulla musica, trasformando l’ordinario in straordinario. Non è questo, dopotutto, che dovrebbe significare “Marvel”?
The Witch and the Dead
Come se non bastasse, la maniera in cui Raimi decide di mettere in scena l’abisso della follia di Wanda, divorata dal potere maligno del Darkhold, corrisponde ai suoi primi lavori horror. Non scherzava Kevin Feige quando presentava il film come “il primo horror dei Marvel Studios”. Doctor Strange 2 spinge al limite la classificazione PG-13 non negando allo spettatore ossa spaccate, busti tagliati e crani esplosi, ma soprattutto creando un’atmosfera malsana che si respirava anche nello chalet di montagna nel film d’esordio del regista.
Scarlet Witch è una vera e propria strega, cattiva, pericolosa, letale, inarrestabile. Illuminata dal basso, sempre più sporca e “insanguinata”, sempre più zoppicante come un morto vivente, è un essere che proviene da un altro mondo (o, in questo caso, da un altro universo) che richiama le persone possedute de La Casa o il male rappresentato in Drag Me to Hell, l’ultimo guizzo personale di Raimi. Sorretta da un’interpretazione maiuscola di Elizabeth Olsen, Wanda fa davvero paura. Una sensazione che non sempre tendiamo a provare nei blockbuster contemporanei.
E non si può fare a meno di sorridere nel terzo atto, quando una versione del protagonista sembra voler fare a meno del digitale e ritornare al vecchio trucco artigianale per mascherarsi il volto. Ennesima dimostrazione di un regista che, in qualche modo, riesce a unire gli elementi più disparati creando una visione personale del materiale che deve trattare. Ecco, se dovessimo pensare a cosa sia il cinema d’autore in questi casi una risposta potrebbe essere benissimo questa: come avrebbe trattato un altro regista la stessa sceneggiatura? Avremmo avuto lo stesso senso anarchico che si sprigiona durante la visione? Avremmo avuto questi stilemi registici, queste scelte estreme e caratteristiche di un solo cineasta?
Scintille in un universo
Per quanto possiamo apprezzare lo stile regalatoci da Sam Raimi, fatichiamo tuttavia a considerare questo Doctor Strange un film d’autore. Troppi gli elementi che ci fanno propendere più per un film diretto dalla persona, ma appartenente ai Marvel Studios. È una storia già sentita a cui sono caduti, in un modo o nell’altro, con risultati variegati, molti dei registi il cui nome è legato a una visione autoriale della materia. Kenneth Branagh e Taika Waititi con Thor, James Gunn con Guardiani della Galassia, Chloé Zhao con Eternals. Registi che si sono mossi all’interno di un universo ben consolidato da rispettare e che, più che dare libero sfogo alla loro visione personale, potevano contribuire all’obiettivo attraverso la loro sensibilità.
Da un punto di vista puramente pratico è anche naturale e giusto che sia così, nel momento in cui ogni film rappresenta un tassello di un mosaico gigantesco, pena l’assenza di coerenza come accaduto con l’ultima trilogia di Star Wars. Ciò che accade in Doctor Strange nel Multiverso della Follia è, tuttavia, sin troppo legato alla visione dell’unico vero autore del Marvel Cinematic Universe: il produttore Kevin Feige. I legami con le serie televisive, il cameo di certi attori e certi personaggi, una storia che si pone a cavallo tra il passato e il futuro del lungo progetto crossmediale che Raimi non può fare altro che accettare e mettersene al servizio.
Sam Raimi, più che autore del film, sembra esserne il mago che prende una sceneggiatura e la trasforma in qualcosa di più vivace e saporito, in un film fortemente influenzato dal suo modo antiquato di fare cinema, molto attento e allo stesso tempo divertito nella messa in scena. Così divertito che prende il suo fidato Bruce Campbell e, nonostante sia ormai imbolsito, lo fa picchiare da solo come nella celebre scena de La Casa 2. Si diverte, Sam Raimi, forse perché non lo faceva da quasi un decennio ed entrare nella storia dei Marvel Studios sembra quasi un riconoscimento postumo a tutto quello che ha realizzato prima.
Il saluto della giovane America a Strange sembra avere quel sapore dolceamaro di chi è grato della possibilità di averlo potuto fare. “Sono contenta di essere arrivata nel tuo universo“, dice, come se fosse la bocca di Sam Raimi di fronte al suo vecchio amico Kevin Feige (insieme avevano realizzato Spider-Man 2). Il personaggio più forte che sa fare solo qualche scintilla contro il grande mago che rimane un po’ vittima degli eventi.
Creando, forse, un finale aperto senza una vera e precisa risposta alla nostra domanda di partenza.
Perché, alla fine, chi è il protagonista del film? Doctor Strange o America Chavez?
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