Qualche giorno fa, il sottoscritto ha pubblicato un post su Facebook lamentandosi di un fenomeno sempre più dilagante negli ultimi tempi: i sedicenti cinefili che in realtà alla prima occasione buona scaricano – illegalmente, ça va sans dire – il film di turno senza aspettare che arrivi nelle sale italiane (e va precisato che nove volte su dieci si tratta di titoli la cui uscita sul nostro territorio è già confermata). Nel caso specifico, la questione riguardava Crimes of the Future di David Cronenberg, che dovrebbe uscire alla fine dell’estate (in assenza di annuncio ufficiale, la deontologia professionale ci obbliga a tacere i dettagli precisi di cui siamo al corrente), ma nei mesi scorsi la cosa si è verificata anche con X di Ti West (in uscita il 14 luglio) ed Everything Everywhere All at Once dei Daniels (che uscirà in autunno).
Non sono mancati i commenti, di vario genere, e anche altre persone si sono espresse in merito tramite i social. Tra queste c’è Salvatore Marfella, critico cinematografico, che già lo scorso autunno non era stato tenero nei confronti di chi scarica film la cui distribuzione italiana è confermata (in quel caso l’oggetto del contendere era Cry Macho di Clint Eastwood, arrivato nelle nostre sale a dicembre ma già presente negli hard disk dei pirati a settembre quando negli USA era uscito contemporaneamente al cinema e in streaming su HBO Max). Questo l’inizio dell’intervento di Marfella: “L’ho già detto altre volte ma lo ripeto: voi che scaricate un film che tra poche settimane esce in sala, per di più vantandovene (che poi, per me, è la cosa persino più grave), non siete appassionati di cinema ma solo onanisti che soffrono di eiaculazione precoce.” Lo spunto ideale per approfondire la questione.
La pazienza è la virtù dei forti, ma non dei cinefili?
A peggiorare radicalmente la situazione legata alla pirateria è stata la crisi sanitaria degli ultimi due anni: un 2020 fatto soprattutto di uscite direttamente su piattaforma, per lo più in contemporanea mondiale, ha messo ulteriormente alla prova la pazienza di chi proprio non ce la fa ad aspettare che il film sia disponibile legalmente, o a prezzi ridotti. Non sono mancati, infatti, quelli che hanno scaricato lungometraggi perfettamente reperibili sul mercato italiano come L’uomo invisibile di Leigh Whannell, “reo” di essere in quel periodo disponibile solo a noleggio al prezzo di una ventina di euro (mossa giustificata ai tempi poiché la Universal compensava, durante il periodo che corrispondeva alla finestra di esclusiva nelle sale, i guadagni annullati dalla chiusura dei cinema).
Ancora peggio, in tal senso, la strategia della Warner Bros. per i suoi film usciti nel 2021, disponibili sia in sala che su HBO Max (e senza sovrapprezzo come ha fatto Disney+ per le sue uscite ibride). In assenza di una pianificazione unificata per tutti i mercati, diversi di quei film sono finiti nelle grinfie degli spettatori impazienti con una rapidità sconcertante: il 25 dicembre 2020, giorno in cui Wonder Woman 1984 ha inaugurato la strategia Warner, abbondavano i post di chi l’aveva visto tramite VPN (che non è propriamente illegale, ma eticamente discutibile, al punto che Netflix ha appositi sistemi per renderlo inutile) o direttamente per vie traverse.
I dubbi del torrente
Ora, la pirateria è un argomento complesso, su cui ci sono pareri discordanti da un paio di decenni, tra chi la condanna in toto e chi identifica le zone grigie. La rivista Ciak dedicò diversi editoriali alla questione quasi vent’anni fa, con le reazioni dei lettori. Uno di questi disse che per motivi accademici – tesi di laurea – aveva dovuto scaricare Gerry di Gus Van Sant, film praticamente irreperibile in Europa, almeno ai tempi. Nel 2019, rispondendo a domanda diretta sulla reperibilità limitata o nulla dei suoi film in alcuni paesi, Werner Herzog ha detto: “Per una questione di principio sarei contrario alla pirateria, perché mi piacerebbe guadagnare con i miei film. Però, se vivi in un paese dove non hai altra scelta, hai la mia benedizione.” Matt Zoller Seitz, uno dei curatori del sito del compianto Roger Ebert (decano della critica americana), è stato in passato contrario a ogni forma di pirateria, per poi adottare questa filosofia negli ultimi anni: se è un titolo impossibile o quasi da reperire legalmente (edizione home video fuori catalogo, assenza del film su qualsiasi piattaforma), scaricarlo è lecito.
Non tutti i film nascono uguali
Altro intervento che ha generato discussione, tra i commenti al post di chi scrive, è stato quello di Antonio Moro, ex-direttore della testata online Lega Nerd. Questa la sua prima risposta: “Quindi per il nostro mercato secondo te è meglio assecondare una distribuzione che sceglie, nel 2022, di fare uscire un film due mesi dopo? La scelta di piratare viene dalla mancanza di alternative legali, se ancora dopo tanti anni l’industria non l’ha capito, che si fotta.” Un’affermazione forte, che parte dal presupposto che tutti i film siano uguali in termini di strategia distributiva. Così non è, e non vale solo per l’Italia: il film di Cronenberg al momento, tolti i passaggi festivalieri, è uscito in sala solo in Francia e Nordamerica, i due mercati che ci hanno messo i soldi. Altrove latita perché, ancora nei primi giorni del Festival di Cannes, il prezzo chiesto da chi si occupava delle vendite internazionali per alcuni paesi era intorno a 1,2 milioni di dollari. Una cifra spropositata, considerando il potenziale commerciale di quel film. E più in generale, l’idea che i film d’autore e da festival escano subito dopo il passaggio a Cannes/Berlino/Venezia (per non parlare di Locarno o del Sundance) è errata, anche per i titoli di richiamo: Parasite, che ha vinto la Palma d’Oro nel 2019, è uscito a livello internazionale tra l’estate di quell’anno e la primavera del 2020, senza particolari lamentele (ma forse in quel caso chi smanetta per vederlo prima temeva di ritrovarsi con i sottotitoli in una lingua ignota).
Celodurismo cinefilo
Alla fine, la cosa che dà maggiormente fastidio è che chi scarica i film ostenti questa cosa sui social, per far vedere quanto ce l’ha lungo sul piano “cinefilo”, e non sono rari i casi in cui ad ammetterlo siano anche sedicenti giornalisti cinematografici, che in teoria dovrebbero dare il buon esempio. E qui viene in mente un episodio svizzero del 2015: nella primavera di quell’anno, la RTS (l’equivalente della RAI per la regione in lingua francese) strinse un accordo con la HBO per poter trasmettere i nuovi episodi di Game of Thrones in chiaro il giorno dopo la messa in onda americana. Per l’occasione, il telegiornale fece un servizio con interviste a giovani che ammettevano candidamente di aver piratato le stagioni precedenti dello show. Tra queste persone c’era una giornalista cinematografica, che il sottoscritto vedeva spesso alle anteprime a Losanna. Dopo quel servizio, lei divenne persona non grata alle proiezioni anticipate. Ecco, forse una sanzione simile sarebbe da valutare nell’ambiente per chi dichiara apertamente di non aver saputo aspettare che arrivassero in sala i vari Ridley Scott, Clint Eastwood, Ti West, David Cronenberg e altri. Perché già di loro alcuni di questi film attirano poche persone, e se anche queste persone scaricano non è un bel messaggio per chi si sforza di portare quelle opere in Italia. E se proprio non c’è verso di far cambiare idea a questi scaricatori compulsivi, almeno avessero la decenza di non vantarsene. Perché a quel punto non è più cinefilia. È pigrizia.
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