Un tipo di scena particolare, sicuramente differente da quelle che si sono analizzate in questa rubrica, è la sequenza dei titoli di testa.
Per vari motivi, nel cinema contemporaneo si usano poco, di sicuro meno rispetto al passato: spesso, infatti, i nomi di attori, produttori e realizzatori del film scorrono su una sequenza integrata alla narrazione del film, oppure si trovano in titoli posti dopo il racconto. Fino a non molto tempo fa, però, i film avevano sequenze a parte per illustrare i nomi di chi era coinvolto nel film, perlomeno i nomi più importanti, ed erano scene spesso autonome dal resto del film. In molti casi erano contributi grafici (i capolavori di Saul Bass per i film di Hitchcock o Otto Preminger), animati (gli splendidi cartoons della Pantera rosa), fino a creare veri e propri gioielli che interagivano con le canzoni come antesignani dei videoclip (le intro dei film di 007).
E poi c’erano dei casi, non molti a dire la verità e soprattutto dagli anni ’60 in poi, in cui si realizzavano vere e proprie sequenze a parte, che dovevano introdurre temi e mood del film. Tra le più belle di queste categoria c’è la sequenza che apre Il buio oltre la siepe, classico del 1962 tratto dall’omonimo romanzo di Harper Lee, diretto da Robert Mulligan e interpretato da Gregory Peck (che vinse l’Oscar), dalla piccola Mary Badham (nominata dall’Academy) e dal memorabile esordiente Robert Duvall, splendido nel ruolo di Boo Radley.
Giochi di bimba
Il film racconta di un avvocato di una cittadina dell’Alabama, Atticus Finch, un uomo onesto e buono, che cura i figli da solo, essendo rimasto vedovo, assieme alla domestica afroamericana. L’uomo – che l’American Film Institute ha scelto come il più grande eroe del cinema americano – deve difendere un uomo afroamericano, Tom Robinson, dall’accusa di aver violentato la figlia di un agricoltore spesso ubriaco e violento, mettendo a nudo il razzismo implicito ed esplicito della comunità (il film e il romanzo sono ambientati nel ’32, ma è chiaro il riferimento alle battaglie per i diritti civili che infiammarono gli Stati Uniti in quegli anni, partendo del Sud). Il punto di vista del racconto però è quello di Scout, la figlia maggiore di Finch (la cui versione adulta è la voce narrante), vivace, intelligente, curiosa e intimamente progressista, perfetta figlia a suo modo – l’anticonformismo la porta spesso nei guai – di un padre per l’epoca perfetto.
E quindi è da questo punto di vista che il film decide di cominciare e i titoli di testa ci mostrano le mani della bambina intente ad aprire una scatola, nella quale sono riposti oggetti e giocattoli, che lei usa mentre le note di Elmer Bernstein accompagnano una dolce melodia infantile, cantata proprio dalla bimba. La sequenza è composta interamente di dettagli, a volte molto ravvicinati, prima della matita che fa emergere il titolo originale del film (To Kill a Mockingbird), poi degli oggetti che compongono il contenuto della scatola, matite, biglie, un orologio e dei piccoli gioielli, un fischietto. Oggetti che poi ritroveremo nel corso del film e che compaiono alternati con le matite di Scout intente a disegnare un uccello, il mockingbird del titolo, il tordo beffeggiatore che la traduzione italiana rende col più immediato ‘usignolo’, volatile usato come metafora di animale che non dà fastidio a nessuno, anzi porta allegria e gioia e che quindi non si merita di essere cacciato e ucciso. Solo che alla fine dei titoli, dopo che abbiamo sentito il respiro e la risatina di Scout accompagnare il disegno, questo viene strappato, l’usignolo è stato ucciso, rimandando a diversi elementi del racconto successivo.
Uccidere un usignolo, uccidere l’innocenza
L’intera sequenza è stata ideata e realizzata da Stephen Frankfurt, uno dei principali grafici pubblicitari e cinematografici dell’epoca e infatti si nota nell’immagine uno stile diverso da quello con cui Russell Harlan ha illuminato il film diretto da Mulligan: l’immagine è più levigata, l’illuminazione sembra più tonda e smussata, serve a rendere la dimensione infantile del racconto alle prese con le bruttezze del mondo, è uno di quei racconti di formazione tipicamente americani, che hanno a che fare con le avventure dell’infanzia che all’improvviso diventano gli orrori dell’età adulta, da Huckleberry Finn fino a Stephen King.
Luce e inquadrature servono a donare una forte dimensione estetica (proprio come le migliori pubblicità) all’avvio del film, ma anche a sottolineare il carattere ironico di quelle immagini, di una pubertà in procinto di spezzarsi, di rompersi, proprio come farà il disegno; l’uso dei dettagli ravvicinati, morbidamente montati con dissolvenze incrociate, danno la sensazione di qualcuno che osservi da vicino, di un’innocenza sul punto di svanire, la dimensione ludica e infantile di quegli oggetti assume un’altra connotazione, sottilmente morbosa, proprio grazie alle inquadrature e alle luci scelte da Frankfurt e infatti gli eventi che Scout e il fratellino osservano, testimoniano o in alcuni casi spiano hanno a che fare con la violenza sessuale, la morte, la follia, un’osservazione che nel finale coinvolge i bimbi in prima persona ovviamente, sancendo la loro crescita.
Non è un caso che i titoli di Il buio oltre la siepe ricordino per tipologia e luce quelli realizzati nello stesso anno dallo studio Chapman & Partners per Lolita di Stanley Kubrick: lì, il dettaglio del piede della ragazza del titolo, dolcemente curato da una mano che le dà lo smalto alle unghie gioca esplicitamente sul richiamo sessuale dei piedi e annuncia l’ambiguità del film intero. Quelli del film di Mulligan non hanno quella funzione seduttiva, ovviamente, ma giocano con una dimensione visiva al limite, slegata dai soggetti ripresi ma interna alla natura del racconto che illustrano, ammantano di un allure perturbante le inquadrature e danno una riprova che le immagini – specie quelle di tipo pubblicitario, come quelle compaiono nei titoli dei film hollywoodiani o inglesi – hanno spesso, per non dire sempre, a che fare con il desiderio di guardare, di toccare, di possedere. Tutto ciò che per una bambina è un gioco, per un adulto assume i connotati della morbosità: Il buio oltre la siepe ce lo dice in quei tre minuti iniziali, prima di svilupparlo nelle seguenti due ore.