Come si costruisce un personaggio. Sono molti gli elementi di cui gli attori possono avvalersi per dare da subito un primo imprinting allo spettatore, che da una cicatrice, uno sguardo, una camminata o una pettinatura può immediatamente circoscrivere il protagonista che ha davanti, collocandolo nello spazio o in un determinato tempo. Anche in un genere o in uno stato d’animo, senza bisogno di ulteriori informazioni. Sono certe particolarità a rendere riconoscibili i personaggi, a decifrare la loro attitudini e come vanno approcciandosi al mondo e allo spettatore. E che permettono un’esplorazione della loro identità lasciando il modo alla mente di indagare, di cogliere l’invisibile agli occhi per costruirne l’interiorità.
In Black Phone e The Batman i cattivi della situazione mostrano lo stesso identico presupposto alla base della loro personalità, caratteristica che vede due personaggi di universi differenti incontrarsi su un terreno comune. La medesima componente che li rende distaccati, terrorizzanti, l’utilizzo di un dettaglio che ne plasma l’aurea orrorifica e dà profondità ai loro gesti e alle loro azioni. È la voce che il Rapace e l’Enigmista usano per comunicare dietro a delle maschere che li allontanano dal circostante, ponendo un velo di mistero dietro a cui riservare inquietudine, incertezza, paura e malvagità.
Coprendosi il volto in maniera suggestiva per nascondere la propria persona, i due personaggi aprono un mondo allo spettatore, che da quei vocalizzi può rimanere tanto sopraffatto quanto incuriosito, analizzandone le inflessioni e le stonature. Una componente, la voce, che rivela più di quanto si pensa di poter celare e restituisce un intero prisma di significati ai cattivi, mettendoli a nudo proprio quando desideravano coprirsi e dando al pubblico l’opportunità di far ingranare la propria fantasia.
Da internet all’Ave Maria: tutte le variazioni di Paul Dano
Seppur L’Enigmista nasca da una pagina stampata e ripercorra nei decenni più storie fumettistiche impiegate ogni qualvolta a svelare di più riguardo al personaggio partorito dalla mente di Bill Finger e Dick Sprang, la versione che ne offre Paul Dano nel The Batman di Matt Reeves sembra voler fare tabula rasa per edificare nuovamente la visione del villain. Inserito in un contesto contemporaneo, dove è il complotto la miccia che il personaggio accende per far rivoltare una cricca violenta e assetata contro i pilastri del sistema, l’Enigmista è solo un uomo con una maschera Extreme Cold Weather Mask usata nell’esercito americano, che gira i suoi video da mandare online per incitare un odio strisciante e ribollente. Sollecitato proprio dalla sua voce così distorta e mirata a perforare il timpano dei seguaci e ascoltatori, come avesse la possibilità di addentrarsi nel condotto uditivo e da lì agire sulla loro mente. Tono incattivito, imbruttito, proveniente da un abisso che sputa sangue e sentenze mentre la faccia rimane senza espressione: l’importante per l’Enigmista è quello che ha da dire, la ricerca di una verità sollecitata dalle parole.
È chiaro dunque che quando l’uomo viene privato del suo scudo, anche la sua arma cade rovinosamente a pezzi. La placidità nelle modulazioni vocali nel personaggio si mostra in un interrogatorio che degenera in una cantilena dolente a enfatizzare lo squilibrio mentale e interiore dell’uomo. L’Ave Maria è il segno di un disturbo che l’uomo dimostra. E che se si ripensa al mostro dietro la maschera se ne cattura lo spettro della figura spezzata e malata che indica la natura dell’Enigmista. Il tutto captato grazie a quell’alternanza di vocalità con cui Paul Dano riesce a dipingere il proprio cattivo.
Ethan Hawke e la costruzione del Rapace
Quello che Ethan Hawke riesce a fare col suo Rapace in Black Phone, allontanandosi dalla semplice volontà di appesantire l’animo dello spettatore, ma sapendo edificare grazie solo alla voce il background di un uomo che rapisce dei ragazzini e li tiene rinchiusi nel suo seminterrato. Anche lui indossa una maschera, diversissima rispetto a quella di Paul Dano, raffigurante un demonio con corna e sorriso inquietante come fosse inciso nella pietra. Volto che diventa di un pallore tombale, dove solo con due piccole fessure si riesce a intuire un luccichio insano nei suoi occhi. Maschera componibile, a cui può cambiare il sotto o il sopra, mettendo un’espressione felice o una arrabbiata o triste. Una sorta di indicatore dei sentimenti a cui va contribuendo la tonalità del Rapace, oltre ad un’inflessione che trasporta lo spettatore – e un attento uditore – nel suo passato.
Poche cose Black Phone ci dice infatti sul Rapace. Lo vediamo rapire bambini, ragazzini in fase pre-adolescenziale che addormenta mettendoli nel retro del suo furgone nero, riempito da palloncini dello stesso colore per nascondere il corpo delle sue vittime. Lo fa fingendosi un mago, un prestigiatore, un uomo che forse ha dovuto da sempre combattere con una personalità repressa e che adesso cerca la maniera di sfogarsi. Dalla voce e da come la sfrutta Ethan Hawke, infatti, l’attore ci trasporta nel percorso esistenziale del criminale e apre ad un’analisi di Black Phone che coinvolge i temi dei percorsi di formazione, il diventare grandi, quali sono i traumi che ci ritroviamo ad affrontare e le loro conseguenze.
Il Rapace non parla molto con le sue vittime, anche se con Finney sembra fare un’eccezione. Mentre comunica col ragazzino, l’uomo sembra rivelare molto di sé. È una persona che cerca la tranquillità, con una calata accentuatamente femminile, un atteggiamento del corpo e delle mani che si abbina a quel tipo di timbro e che suggerisce al pubblico il possibile orientamento sessuale del personaggio. Un uomo che rapisce i ragazzini, non abusando di loro. Vuole solamente giocare al “bambino cattivo”, quello con cui l’uomo si approccia cambiando la sua voce, facendola diventare più bassa e tetra. Spaventosa, imponente, come un genitore che mentre ti sta sgridando mostra anche un certo disprezzo.
Il background di un personaggio
Una voce che porta lo spettatore a riflettere sulle azioni del Rapace e sui mutamenti che subisce ad ogni nuovo confronto con Finney. Il personaggio di Hawke confessa al ragazzino che a sua volta, anni addietro, era solito passare molto tempo in quel seminterrato. Era il padre a chiudercelo dentro, lasciandolo da solo con un telefono che pensava di sentir squillare, ma la cui causa era solamente un cortocircuito. In verità, quando Finney decide di rispondere al telefono appeso al muro, si accorgerà che a rispondergli sono tutte le vittime che lo hanno preceduto, ragazzini della sua stessa età, ognuno in grado di potergli dare un’indicazione in più con cui tornare in libertà. Questo costituisce un pattern per il criminale, che sembra riproporre le dinamiche che il genitore gli infliggeva quando era piccolo e, si può presumere, agendo o per semplice sadismo o in riferimento a quella sessualità che il Rapace fornisce proprio con la sua voce.
È perciò possibile ipotizzare un passato di soprusi da parte di un padre che rinchiudeva il proprio figlio al buio di una cantina per punirlo di un orientamento non condiviso, finito non a “raddrizzarlo” o a cambiare la sua identità, bensì a quanto pare a rendere quella sofferenza un leitmotiv della sua esistenza, diventando in età adulta il carnefice. Un “genitore” per quei bambini su cui va riversando le vessazioni subite a sua volta, la cui parte preferita in quella ricostruzione di un momento in famiglia è quando i ragazzini finiscono per essere torturati e uccisi nel più brutale dei modi.
Se però il telefono rimaneva silente per il Rapace, se al suo rispondere nessuno parlava dall’altra parte della cornetta a consacrare la sua opprimente ed eterna solitudine, Finney trova una via di fuga grazie proprio agli orrori vissuti da altri in quello stesso luogo. Il saper usufruire delle proprie abilità non avendo paura di chi si può essere – in questo particolare caso un combattente, qualcuno in grado di sapersi difendere da solo – è ciò in cui il ragazzo viene aiutato per la propria crescita, quella mai realmente affrontata dal suo sequestratore. Un intero background fabbricato solo dalla voce. Una maniera per un attore come Ethan Hawke di dimostrare come un interprete possa manifestarsi di fronte al pubblico con tutti i sensi, rendendoli strumenti per un lavoro che molti sapranno anche fare, ma con cui soltanto pochi riescono a sbalordire.