Di tutta la filmografia di Robert Zemeckis, Contact è forse il film meno citato o preso in oggetto quando si cerca una pellicola che rappresenti un punto cruciale nella carriera del regista. Citiamo con piacere Chi ha incastrato Roger Rabbit o anche l’eterna trilogia di Ritorno al Futuro, ma Contact rimane sempre una visione di nicchia eppure, ancora oggi, incredibilmente ricca di fascino e di tecnica sublime. Per i 25 anni dall’uscita del film al cinema, ripercorriamo i punti salienti che lo rendono un piccolo oggetto di culto per molti appassionati di prodotti di fantascienza.
I due temi a confronto di Contact
L’eterna ricerca di segnali di vita extraterrestre dall’ignoto spazio profondo. La stessa conoscenza dell’ignoto è qualcosa su cui il genere umano si domanda da centinaia di anni. Alcuni hanno tramutato questa ricerca e fascinazione per l’ignoto dandogli contorni sinistri e antichi (e la mente vola subito alle opere di Lovecraft), ma Contact funziona in un modo più terreno, dove la tenacia dell’essere umano nell’indagare lo spazio profondo si scontra con il domandarsi se sia ideologicamente e moralmente giusto.
Alla ferrea convinzione scientifica (e atea) della dottoressa Arroway, interpretata da Jodie Foster, corre contrapposta la fede dello scrittore e teologo Palmer (Matthew McConaughey). La fede come l’amore non sono “sensazioni” quantificabili in misura eguale e da questo incontro/scontro, che darà vita proprio a un sentimento tra i due, emergono i grandi temi che portano Contact ad essere un gradino sopra a qualunque altro film di esseri umani che si mettono in contatto con forme di vita extraterrestri.
Con un paragone che qualcuno potrà battezzare come blasfemo, qui in qualche modo ci ritroviamo dalle parti di Spielberg e del suo Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, dove il suono e la comunicazione diventano strumenti di comprensione universale.
Parlare e saper ascoltare
Niente alieni cattivi decisi ad attaccare la Terra. Tutto gira attorno a un segnale, criptico, ma che necessita di essere ascoltato e decifrato. Contact nonostante sia uscito ben 25 anni fa, con i suoi temi aperti sullo scontro tra scienza e fede, ha sempre predicato un messaggio universale, quello che unisce gli esseri umani al genere di appartenenza. Possiamo definirci religiosi e pensare che senza la fede l’uomo è perso, o possiamo anche affermare il contrario e bearci delle convinzioni della scienza e della tecnologia, ma è innegabile come un contatto con qualcosa di fuori dalla nostra conoscenza, ci renda improvvisamente tutti uguali e riuniti in un’unica azione. Quella di ascoltare, udire, fare ordine nella nostra testa e perché no, dare voce a quel sentimento che scaturisce dal nostro cuore.
Se Palmer in televisione afferma che l’essere umano ha bisogno di riempire degli spazi dato che ha smarrito la retta via, il montaggio di quella scena alterna sapientemente il momento in cui la stessa Arroway continua senza sosta ad ascoltare il cielo, riempiendo quello spazio prima citato, finché non ascolta un suono. Un primo segnale di qualcosa che travalica il semplicistico concetto di udito, perché qui si chiede al genere umano di credere.
Allo spettatore la scelta finale
Come tanti altri film che pongono quesiti morali e intimi, capita che anche Contact porti lo spettatore a un finale enigmatico, concreto, eppure bisognoso di un supporto morale. C’è chi crede al viaggio interstellare della dottoressa e chi no. Questo contatto potrebbe rappresentare una grossa bugia come un piccolo passo per costruire dei futuri ponti di comunicazione tra le specie, chi lo sa. Nonostante il finale del film sia schietto e ben orchestrato, rimaniamo affascinati di come la costruzione narrativa ci chieda intrinsecamente di effettuare una scelta a nostra volta, perché alcune volte alcune ferree convinzioni vivono alla stregua di una fede religiosa.
Queste possono essere certezze che sono difficili da spiegare. La stessa dottoressa Arroway è convinta di quello che le è successo, ma non può spiegarlo, perché in termini pragmatici, non ha prove a supporto.
Oggi Contact è più di un semplice guilty pleasure. Per molti alla stregua di un cult, per altri un film troppo prolisso e irto di spiegoni che ne uccidono la fascinazione narrativa. Il miglior consiglio che vi possiamo dare è quello di vederlo ancora una volta, perché è considerabile uno dei precursori del viaggio di Interstellar, costruendosi però più su dei quesiti che sull’azione e l’avventura.
Le risposte a queste domande è bene trovarle prima dentro di noi, per poi decidere se intraprendere determinati viaggi: Contact ci prende per mano e ci chiede di prendere una posizione in questo grande quadro misterioso che è l’ignoto spazio profondo.