Facciamo un esperimento fuori moda. Proviamo a guardare il mondo con gli occhi ingenui e immacolati di un hobbit. Gustiamo del buon pane fatto in casa, sorseggiamo una tisana calda belli comodi sul divano e apriamo il libro dei ricordi. Lo sfogliamo e ci ricordiamo che Il Signore degli Anelli è questione di fede. Per una volta tutt’altro che cieca, perché ci vede ancora benissimo. Ci mettiamo l’anello al dito, lo guardiamo con un sorriso ebete, e di colpo guardiamo le cose in modo diverso. No, per una volta non è Sauron che ci scruta l’anima. Per una volta siamo noi che guardiamo un film e gli diciamo “grazie” per tutto quello che ha fatto e che ancora riesce a sussurrarci. Di colpo facciamo un salto indietro di vent’anni, che sembrano migliaia quando ripensiamo all’epico prologo che ci racconta la disfatta dell’Oscuro Signore dinanzi alla strenua alleanza tra umani e elfi.
Perché La Compagnia dell’Anello non è soltanto l’inizio di una splendida storia, ma ha le sembianze della Storia vera. Come se Aragorn fosse stato un personaggio da studiare sui libri e le miniere di Moria fossero materia da geografia. Questo perché esattamente 20 anni fa Peter Jackson ebbe la grande intuizione di prendere il fantasy e renderlo credibile agli occhi del mondo. Ci riuscì con un’impresa epocale. Pari a quella di Sam che prende in spalla Frodo per portarlo verso il suo destino. Ecco cosa è rimasto di quell’incredibile viaggio verso la meraviglia che facemmo (e facciamo ogni volta) assieme a La Compagnia dell’Anello.
Nel fantasy incatenarci
Dicembre 2001. Mentre Harry Potter e la pietra filosofale apre le porte verso un mondo incastrato tra babbani e magia pura, Peter Jackson decide che la Terra di Mezzo non può ammettere compromessi. Tutto deve sembrare credibile, verosimile, realmente accaduto nel passato. Un passato remoto da rendere indimenticabile. Ogni cosa deve essere permeata da un senso di storicità capace di rendere Tolkien uno storiografo, mica uno scrittore innamorato del fantastico. Jackson accoglie la sfida di una mitica trilogia letteraria considerata “infilmabile” da chiunque, e soprattutto affronta lo spauracchio di un genere che non era mai diventato davvero credibile agli occhi del pubblico. Confinato nella sua nicchia favolistica piena di cult puerili (La storia infinita, Labyrinth sono lì a dimostrarlo), il fantasy non era certo materia per grande cinema autoriale.
Immaginate Gimli che ascolta questa frase invecchiata malissimo. Riderebbe sguaiatamente. Come fanno i nani più orgogliosi, testardi e fieri. Un po’ nano, un po’ hobbit, Jackson forgia la sua creatura con tenacia e occhi stracolmi di meraviglia. Non è un caso che La Compagnia dell’Anello inizi con sussurro nell’oscurità che dice: “Il mondo è cambiato“.
Il cinema da quel preciso istante lo farà assieme a lui. Perché di colpo il fantasy acquista credibilità e onore. Come Boromir con le frecce nel petto. Solo che questa volta a fare breccia nel cuore delle persone è un film meraviglioso. Un’avventura trascinante che ti conquista a suon di miniere profanate, seconde colazioni lungo la via e l’eterna lotta tra l’oscurità del mondo e la luce che brilla dentro ognuno di noi.
La Compagnia dell’Anello inizia ed è folgorazione immediata. Il senso di meraviglia tocca nuovi apici. L’immaginazione stuzzicata dalla lettura viene travolta da un immaginario che assomiglia davvero a qualcosa di realmente accaduto. Perché Jackson dà un vissuto a ogni singolo popolo, regala una storia a ogni architettura, ogni arma, ogni costume. Scolpisce mito e forgia leggende in ogni singolo elemento mostrato sullo schermo. Così viene a galla la piacevole sensazione di essere trascinati dentro una grande avventura in cui il pubblico si sente davvero parte di una compagnia. Nella storia e in platea, al fianco di altre persone ghermite dall’Anello.
Perché La Compagnia dell’Anello ha forgiato generazioni di spettatori unite dalla passione per la Terra di Mezzo. Gente che si capisce al volo citando battute entrate nei vocabolario di tutti giorni. Fan che si sono scolpiti addosso certi personaggi sono diventati maestri di vita (qualcuno ha detto Gandalf e le sue perle di saggezza?),
Un film per capire che senza il cinema sei come Frodo senza Sam. Fu tutta colpa dello sguardo maestoso di Peter Jackson, dell’eroismo mai vanitoso di Aragorn, dell’orgoglio di Gimli, della commovente redenzione di Boromir, della bellezza candida di Arwen, del sapore del pan di via, delle carezze di Howard Shore, dell’odio di Gandalf per le definizioni affrettate. Grazie a tutto questo il fantasy da quel giorno è diventato un genere prezioso. Perché custodisce il nostro immaginario come pochi altri sanno fare.
“Non sei invecchiato di un giorno”
Il Signore degli Anelli al cinema dopo 20 anni fa lo stesso effetto di Bilbo su Gandalf. Lo guardi bene ed è tutto intatto, senza rughe o graffi: i paesaggi maestosi, gli effetti visivi straordinari, gli effetti speciali ancora eccezionali, la cura scenografica maniacale, i personaggi tridimensionali, la colonna sonora evocativa in ogni singola nota, un doppiaggio fuori scala e la sensazione di essere davanti a un film-diga. Perché c’è un prima e un dopo La Compagnia dell’Anello. Maestoso spartiacque che si erge nella storia del cinema.
La Compagnia dell’Anello è intatto, ma diverso da come viene spesso ricordato. Negli anni lo abbiamo adottato come un “classico”, ma questo film è tutto tranne che “classico”. Peter Jackson ha lasciato la sua impronta anarchica ovunque. Nel montaggio brusco, negli zoom violenti, nello stile sgraziato di alcune inquadrature, nell’amore onnipresente per il grottesco e l’horror. Ed è grazie a quelle libertà che La Compagnia dell’Anello è il capolavoro che è. Perché non segue alcun canone e ne impone uno impossibile da replicare.
Tornare in sala a rigustarne ogni scorcio e ogni nota, ci ha ricordato che questo capolavoro è davvero come Bilbo. Non perde un briciolo di smalto. Anche perché al cinema abbiamo ritrovato una marea di Gandalf invecchiati con questa saga. Tutti a ridere per le scene diventate meme. Tutti a ripetere in coro le frasi cult. Tutti commossi per un hobbit che non è mai così lontano da casa sua. Perché sì. Jackson si è ricordato la cosa più importante di tutte.
Sin dall’inizio del viaggio. Anche le grandi storie devono avere cura delle cose minuscole. Piccoli dettagli che trovano l’umanità anche dentro piccole creature dai piedi pelosi e antichi stregoni millenari. Quello che resta dopo vent’anni è soprattutto un grazie che ognuno di noi sussurra sottovoce ogni volta che riapre quel vecchio film che si sfoglia come un libro. Ovviamente con occhi immacolati degni di un hobbit della Contea.
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