Per uno strano caso del destino, siamo riusciti a vivere il Barbenheimer, il fenomeno virale che, sin dall’annuncio della stessa data di uscita dei due film, ha creato un vero e proprio evento dal basso legato a Barbie, il film di Greta Gerwig, e Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan. Evento, quello di poter vedere entrambi i film uno dopo l’altro, che in Italia ci è stato proibito, complice il cambio improvviso della data di uscita del film di Nolan al 23 agosto.
Ci è voluta una buona dose di casualità e astri allineati (chiamiamola pure fortuna sfacciata), ma una volta presentata l’occasione non ce la siamo fatta sfuggire. Il 20 luglio, infatti, si è tenuta a Milano l’anteprima stampa di Oppenheimer in Sala Energia nel cinema Arcadia di Melzo, poi aperto al pubblico la sera per ospitare, nella stessa sala, le prime proiezioni di Barbie.
Abbiamo comprato il biglietto del film di Greta Gerwig e ci siamo seduti in mezzo a un’entusiasta platea colorata di rosa, solo un paio d’ore dopo aver finito di assistere a una proiezione per “addetti ai lavori” di un film rigoroso e cupo come quello di Nolan.
Inutile dire che si è trattato di un’esperienza composta da elementi opposti, ma anche complementari, capace di farci riflettere sulla diversità di quello che il grande schermo può proporre e stimolare una conversazione di cui vogliamo farvi partecipi.
Perché, al di là di vivere il Barbenheimer, possiamo davvero cambiare davvero il nostro modo di approcciarci alla sala. E, forse, riscoprire il piacere di quanto il cinema può offrirci.
Chi se lo poteva aspettare?
Matteo Maino: Barbie e Oppenheimer, due dei film più attesi dell’anno, diventati in breve tempo protagonisti di qualcosa che non si vede spesso. Ovvero un fenomeno virale partito dal basso, attraverso tormentoni, fotomontaggi e meme, che sin dall’inizio ha giocato con la diversità di due film distribuiti… vorrei dire lo stesso giorno, ma visto che in Italia l’uscita del film di Christopher Nolan è slittata a fine agosto, diciamo pure nella stessa estate.
Giuseppe Grossi: Se anche solo due anni fa ci avessero detto di due film così diversi, così pop eppure autoriali sulla bocca di tutti, forse non ci avremmo creduto. Tra l’altro è raro che un meme duri così a lungo, visto che ormai l’isteria del web brucia anche loro molto in fretta. Abbiamo visto poster e video geniali. Grazie a Barbie e Oppenheimer internet ha dato il meglio di sé.
Matteo Maino: Noi siamo riusciti a vedere i due film uno dopo l’altro, nella stessa sala, l’Energia del cinema Arcadia di Melzo, considerata una delle migliori d’Europa con il suo schermo gigantesco di 30 metri e l’impianto audio in Dolby Atmos. Abbiamo visto Oppenheimer e Barbie quindi alle stesse condizioni, nonostante il formato diverso (il primo proiettato in pellicola 70mm, il secondo in proiezione laser digitale).
So che potrebbe sembrare qualcosa a cui siamo abituati, quella di vedere film diversi nella stessa giornata, ma questo è stato un caso davvero particolare, perché è stato come sperimentare lo Yin e lo Yang del cinema.
Giuseppe Grossi: Davvero. Sono due film così complementari che quasi si compensano a vicenda.
Matteo Maino: In maniera semiseria potrei dirti che il primo incredibile e insperato punto di contatto tra loro sia il bel cinema.
Un dialogo tra opposti
Giuseppe Grossi: Onestamente sono contento di aver visto prima Oppenheimer e poi Barbie. Il primo ti tira giù e il secondo ti risolleva (nonostante sia meno innocuo di quanto sembri dalla confezione). Vedere Oppenheimer è stata un’esperienza dolorosa e impegnativa. In un paio di scene ho sentito proprio premere forte sul petto tanto era ansiogeno. Nolan ha tirato fuori un film che quasi ti senti in colpa a definire bello e con qualche sequenza davvero meravigliosa. Barbie, due ore dopo, è stata pura decompressione, come riprendere ossigeno. Mi ha divertito molto.
Matteo Maino: Oppenheimer è cinema rigoroso, algido, formale. Che vuole darti uno sensazione di sporcizia addosso e lo fa attraverso le parole in maniera esplicita. Barbie, invece, quello sporco te lo racconta nascondendolo in una confezione patinata usando le immagini. Da questo punto di vista, per quanto il primo sia sicuramente più di nicchia e meno pop, il risultato è comunque quello di farti abbandonare la sala con molto a cui pensare.
Giuseppe Grossi: Sì, sono entrambi film che sopravvivono alla proiezione. Perché ti lasciano tanti spunti di riflessione. Nolan più antropologici. Gerwig più quotidiani, visto che parla delle relazioni umane, a prescindere dal presunto braccio di ferro “maschietti contro femminucce” da cui, per me, il film punta a un superamento.
Matteo Maino: Barbie è un film molto più equilibrato di quello che può sembrare, dove non si cerca di sostituire il patriarcato con un matriarcato per risolvere il problema, ma si vuole raggiungere una consapevolezza e un rispetto reciproci. A costo di essere maliziosi, più che definire una risposta corretta, propone la volontà di cambiare la realtà. Mette in discussione un punto di vista per mostrartene un altro. Non tanto per arrivare alla conclusione che uno sia meglio dell’altro, ma per ampliare la visione del mondo, abbracciare più realtà. E i diversi punti di vista ci sono anche in Oppenheimer, tra segmenti a colori e in bianco e nero. Anche qui lo spettatore si può costruire la propria risposta sulla vicenda. E, appunto, tra cinema d’autore e blockbuster da grande pubblico, è una strana coerenza che invece di scegliere tra uno dei due film si possano vedere entrambi e sperimentare diverse realtà di cinema. Diversi punti di vista su come raccontare una storia e che messaggio veicolare.
Chi vince il Barbenheimer?
Giuseppe Grossi: Sono due film che ci hanno ricordato che forse quel braccio di ferro tra popolare e autoriale è uno schema da cui si può sfuggire ogni tanto.
Matteo Maino: Diciamolo, a costo di sembrare provocatori: tre ore di Oppenheimer valgono tanto quanto due ore di Barbie. Al di là delle differenze di tono, di registro, di contenuto, anche di emozioni e sensazioni che ti rimangono addosso durante e dopo la visione. Credo che se c’è una cosa che questo tormentone del Barbenheimer ci può insegnare non è solo che il cinema può essere cupo e colorato, angosciante e divertente, autoriale o pop, ma che non dovrebbe essere vissuto come una gara tra due fazioni dove l’una deve essere per forza di cose superiore all’altra. Superiore in cosa? Sono pellicole diverse e la bellezza del cinema, e dell’arte in generale, sta proprio in questo.
Giuseppe Grossi: Nel duello tra i film a vincere è solo il cinema, al cinema. Adesso la palla sta a noi. Andiamo in sala e godiamoci la stessa esperienza che, in realtà, ne racchiude due completamente diverse.
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