Finalmente il solito finale della favola è cambiato. Per una volta vissero felini e contenti. Battutacce a parte, Flow che vince l’Oscar come Miglior Film animato ha fatto la storia del cinema. Un piccolo film lettone indipendente che batte le grandi major è un’impresa da ricordare. Perché? Perché da quando esiste l’Oscar al Miglior Film Animato, il premio è sempre stato vinto da grandi studi: Disney, Pixar, Dreamworks, Sony e Ghibli. Mai da una produzione così piccola, gestita soltanto da 45 persone.
Solo 20 animatori e 3 milioni e mezzo di budget per una piccola perla animata, capace di battere colossi da 300 milioni come Inside out 2 o da 87 come Il robot selvaggio. Il bello di Flow, però, non è solo nella sua straordinaria resa artistica, capace di farci ritrovare una merce sempre più rara nel caos del nostro mondo, ovvero la meraviglia. No, il fascino del film creato con amore e dedizione da Gints Zilbalodis è anche nella sua incredibile storia produttiva. Ed è quella che vi racconteremo oggi, in occasione del suo ritorno in sala con ben 150 copie sparse in tutta Italia. E allora, ecco a voi come hanno fatto Flow e come Davide è riuscito a battere Golia.
Disegnare con la regia

Appena ha vinto l’Oscar, Zilbalodis ha ringraziato i suoi genitori, i suoi cani, i suoi gatti e poi Blender, ovvero un software gratuito open-source per la modellazione 3D e il rendering. Un programma molto versatile con cui Flow è stato completamente realizzato. Zilbalodis ha iniziato a smanettarci in totale solitudine diversi anni fa, iniziando a immaginare un mondo sommerso in cui ambientare una storia. Ed è stata proprio la sua abitudine a fare tutto da solo a fargli pensare subito a un gatto come protagonista.
Il regista ha detto: “I gatti sono indipendenti, vogliono fare le cose a modo loro. Mi ci sono rivisto molto. Inoltre sono molto espressivi e sono talmente teneri che gli si perdona tutto, anche un po’ di cattiveria. La realtà vista attraverso gli occhi del gatto sia più emozionante: è tutto più grande, più spettacolare, più drammatico”. Dopo la scelta del gatto (l’unico personaggio nato da studi con dei bozzetti), arriva l’altra decisione fondamentale: girare un film senza parole. Un’opera animata che faccia immergere lo spettatore dentro un flusso avventuroso solo attraverso il potere delle immagini.

Una scelta drastica che ha reso necessario lavorare in modo maniacale sy due elementi: il design dei personaggi e i loro movimenti. Le emozioni del film erano affidate soprattutto a loro. Per il primo Zilbalodis ha scelto un design stilizzato, non troppo carico e realistico. Perfetto per mantenere un giusto mix tra verosimiglianza e astrazione cartoonesca. Il tutto senza mai dare un nome ai personaggi, che anche sul copione erano solo associati ai loro animali. Una scelta che ha reso Flow un racconto universale, come una specie di Arca di Noè 2.0. Il secondo bisogno, quello relativo alle movenze dei personaggi, ha imposto una particolare scelta di regia. Sì, perché di solito molti film (animati e non) vengono preceduti dalla realizzazione degli storyboard, ovvero bozze di disegni utili a studiare le inquadrature e i movimenti dei personaggi.
Per Flow, invece, Zilbalodis ha deciso di pre-visualizzare tutto all’interno di Blender, partendo dai movimenti di macchina. Una macchina da presa virtuale che lui ha mosso a suo piacimento (quasi disegnando in 3d), cercando di prevedere la scene d’azione, le riprese sul paesaggio e l’interazione dei personaggi. Insomma, un approccio molto simile a un film live action (vicino a quello svolto da James Cameron con Avatar). Una volta scelto il flusso delle inquadrature ottimale, è arrivato tutto il resto: quindi l’animazione vera e propria dei protagonisti, l’illuminazione e il lavoro sui fondali. Su questa scelta molto particolare il regista ha aggiunto: “Ho usato perciò le inquadrature e la macchina da presa come strumento narrativo, anche perché non c’è dialogo. Non volevo pormi a distanza come narratore né che il pubblico si sentisse un semplice osservatore, ma che fosse lì e seguisse la storia da dentro”.
Il verso giusto

Flow è un film senza dialoghi, ma non è un film muto. Questo perché il team ha lavorato in modo molto maniacale su tutti suoni ambientali presenti in quel mondo inondato. Suoni (come il vento, il fruscio delle foglie, il movimento dell’acqua) che dovevano sembrare verosimili e realistici. La vera magia, però, è quella dei versi dei personaggi, che di fatto rappresentano le loro voci (visto che non ci sono dialoghi). Ecco, i versi non sono stati scelti a caso, ma cercando di trovare tonalità in linea con il carattere dei vari animali presenti nel film. Per farvi un esempio: . Per ottenere il suono del capibara, il tecnico del suono è andato in uno zoo per catturare il vero verso dell’animale. Un verso che però non corrispondeva alla personalità che il personaggio del capibara avrebbe avuto, così si è preferito quello di un cucciolo di cammello.
Senza dimenticare il grande lavoro svolto sulla colonna sonora, composta dallo stesso Zilbalodis mentre stava scrivendo la sceneggiatura, quindi con parole e musiche che procedevano mano nella mano. Insomma, sbirciando dietro le quinte di Flow vengono a galla i meriti di un film libero, creativo, ispirato dal bisogno di far tornare il cinema alla sua essenza. Quella di raccontare solo con le immagini, come faceva il cinema muto agli albori della settima arte. Un film che non ha bisogno di spiegare, non ha bisogno della trama e si affida solo alle emozioni di quello che vediamo muoversi sullo schermo. Ecco perché, oltre a questo storico Oscar, Flow è diventato il film lettone con più incassi di sempre con 20 milioni di dollari.
Non deve sorprendere che la statua del gatto di Flow se ne stia ora sia appollaiata sulla scritta della città di Riga proprio davanti al Monumento alla Libertà. L’orgoglio, a volte, è un istinto naturale.