Su Rotten Tomatoes, il noto aggregatore delle opinioni di critica e pubblico, Ant-Man and the Wasp: Quantumania ha ottenuto lo sciagurato simbolo del marcio. Si tratta del secondo capitolo nel corso del Marvel Cinematic Universe a ritrovarselo affibbiato, sorte toccata in precedenza a Eternals. Le ragioni delle tante cose che non vanno nel film le abbiamo raccolte nella nostra recensione: più perplessità che spensieratezza, più ansia di fare tutto in grande che ambizione per poterci effettivamente riuscire.
Qualcuno già batte un colpo sul tavolo e annuncia: siamo al giro di boa, la bolla Marvel sta per scoppiare. Non è così e sicuramente non lo sarà ancora per qualche tempo. Di certo è innegabile l’insinuarsi di un persistente malumore anche tra i più fedeli scudieri di un franchise che ha cambiato il modo di intendere la fruizione cinematografica. La corsa al cinema come evento, la fobia dello spoiler, poi Disney+.
Una serializzazione che ha spazzato via i concetti di prequel e sequel favorendo una grande rete di prodotto audiovisivo, nella sala, a casa, sullo smartphone. Supereroi sempre a portata, di biglietto o di click. E se questo è ciò per cui Kevin Feige e il suo Parlamento Marvel hanno lavorato nelle ricche e profonde stanze del potere, cos’è allora che oggi pare andare non male, ma di certo diversamente da prima?
Il patto tra film e spettatore
L’intera struttura di marketing del MCU si basa su un’unica cosa: “ok, e ora cosa arriva?”. La chiave del successo di questo universo supereroistico sta tutta nel desiderio di novità che in questi quindici anni (quindici anni!) è stato coltivato durante il processo di fidelizzazione dei fan. A partire dai trailer e arrivando alle scene post credit, il tutto è finalizzato a un gioco delle parti chiaro: i Marvel Studios calano informazioni e disseminano contenuti frammentati, celati, dispersi che i fan sono chiamati a raccogliere, ricostruire e diffondere in un’azione di impegno-ricompensa, parte di un patto che le opere audiovisive Marvel sono state sempre molto brave a rispettare.
Il terreno di incontro sono i film. Per un paio d’ore ci si accomoda in sala e la palla passa allo show. Alcuni nodi vengono al pettine, altri sono disattesi, altri iniziano a proporsi e piano piano il gioco ricomincia. C’è il grande film, ogni tanto, e c’è il film mediocre, il più delle volte. Il grande film arriva di solito in occasione dei rendez-vous (The Avengers, Avengers: Infinity War ed Avengers: Endgame, ad esempio), dove la posta in palio è altissima e si raccolgono assieme in un unico punto di convergenza le molte singole linee del racconto. I film mediocri rimbalzano via senza colpo ferire, raccontano la loro storia, plasmata ad altezza e sentimento di protagonista, si aprono, si chiudono e passano oltre.
Il picco narrativo ed emotivo di Avengers: Endgame pare però aver segnato un cambio di passo. La chiusura della Saga dell’Infinito, avvenuta ufficialmente con Spider-Man: Far From Home, ha messo di fronte all’esigenza di rapportarsi a due grandi smottamenti come la necessità del ricambio generazionale e l’introduzione degli show televisivi, conducendo a ripensare i tempi e i modi dei rapporti interni al MCU.
I tre piani di lettura dei film Marvel
La Fase 4 si è posta come un campo di ricostruzione. Due pilastri come Tony Stark e Steve Rogers, protagonisti tra i protagonisti del primo corso del MCU, hanno detto addio e la sensazione generale è che la Marvel abbia utilizzato questa fase come un cuscinetto sopra il quale allestire il commiato per molti degli Avengers che furono. Niente di nuovo, lo sappiamo. Molti volti hanno fatto la loro comparsa (Ms. Marvel, Shang-Chi, Occhio di Falco II, gli Eterni) di fianco a coloro della vecchia guardia che saranno chiamati a prendere il timone.
Questo segmento di intermezzo, fiorito con il chiaro intento di porsi come momento interlocutorio dopo il fiato cortissimo reduce dallo shock dell’avvento di Thanos, ha portato alla luce del sole un inedito senso della fretta. Tante cose da fare e da dire, a pubblici e generazioni differenti, compenetrazioni di senso e narrative hanno scombinato l’angolo di lettura di opere che fino a questo momento coesistevano su tre livelli differenti: l’opera di per sé, l’opera come filamento dell’arazzo, l’opera come cassa di risonanza del presente.
L’opera di per sé intende la capacità di pensare il film (o la serie TV) come nucleo fatto e finito. Insomma, il classico arco narrativo capace di raccontare una storia che parte da un punto A e finisce a un punto B. Esiste per conto suo, con un suo eroe, un suo percorso e una sua base interpretativa. Si tratta dell’oggetto di intrattenimento in quanto tale e per cui si paga il biglietto, del ludico cinematografico.
L’opera come filamento dell’arazzo è invece la linea trasversale che percorre il film in maniera più o meno manifesta e lo inserisce come elemento unico nel più grande quadro d’insieme – il fulcro della franchise age, tutto è connesso e vuoi saperne il più possibile. A guardare le prime pellicole Marvel si notano bene le distinzioni tra questi due campi, lo strato e il sostrato.
Infine l’opera come cassa di risonanza del presente, ovvero il macroragionamento sul percorso narrativo dell’universo di finzione. In quale maniera questi blockbuster assorbono dai temi e dalle questioni della contemporaneità per poi elaborare una formula discorsiva unica da proporre allo spettatore? Quali risposte ne emergono, soprattutto quali domande? Si tratta del ruolo conscio (sull’attrazione del pubblico e del ritorno economico) e inconscio (la tendenza socio-culturale che ne emerge) del cinema d’intrattenimento ad alto budget.
Cosa si sta inceppando?
A cosa è dovuta la diffidenza di cui Ant-Man and the Wasp: Quantumania è solo l’ultima avvisaglia? Cosa si sta inceppando? La sensazione è a che venire meno sia la coincidenza tra i vari piani e l’ordine in cui questi si offrono al pubblico. Se prima i film comunicavano offrendo in maniera adeguatamente amalgamata i tre gradi inetrpretativi (ludico, connettivo e riflessivo), adesso l’ansia da prestazione del posizionamento del singolo sulla rete cannibalizza l’indipendenza intrattenitiva delle opere.
Che intendiamo: l’opera cinematografica restituisce l’idea di dover assolvere ancora più di prima a opera per tutti. Se negli scorsi anni il compito di farsi grande e forte sul richiamo collettivo era appannaggio soprattutto dei crossover dedicati agli Avengers, adesso ogni film Marvel pare tendere allo sforzo dell’idea dell’evento irrinunciabile più per le conseguenze della storia che per il godimento della stessa.
Una causa è probabilmente da ricondurre all’ingresso in campo degli show televisivi. Per due ragioni: la prima è nella differenziazione di pubblico. La declinazione di genere è stata dispensata per lo più nelle serie TV; uno spettatore oramai avvezzo alla fruizione casalinga risponde meglio, e soprattutto in numero maggiore, alla variegata dieta digitale. Ha quindi senso, in ottica editoriale, offrire qui la spy story (The Falcon and the Winter Soldier), il teen drama (Ms. Marvel), il buddy (Hawkeye), la legal comedy (She-Hulk). Così ci ritroviamo con un Ant-Man che trasla dal gigionesco del primo capitolo con protagonista Paul Rudd all’ennesima sfida cosmica, sugli stilemi di un’avventura blanda, secondo pattern narrativi triti e ritriti e senza vera ispirazione nel worldbuilding. Il rischio della standardizzazione è un rischio concreto.
La seconda ragione è che i film devono porsi in parte come compensazione del passo parallelo delle serie. Queste saranno pure appannaggio di pubblici differenti, ma portano avanti una narrazione laterale che va riassunta, fatta rientrare e assorbita in questo corpo unico cinematografico che è sempre più universal-popolare. Le serie televisive non sono indispensabili solo a parole: la loro fruizione effettiva magari no, ma ciò che introducono va ricontestualizzato alla prima occasione utile.
Verso un nuovo corso?
Vien da sé che in questo panorama sono schiacciati indietro anche i grandi ragionamenti sulla contemporaneità. In questa frenesia dell’arrabattarsi nelle divergenze di un uni(multi)verso narrativo ampio e teso verso poli talvolta opposti, qualcosa inizia però a spuntare fuori nelle nuove figure generazionali proposte (l’operazione di semina più sagace di questo nuovo corso, a partire da casting come quello di Harry Styles).
Le questioni di identità di genere, famiglia acquisita e allargata, l’ecologismo, i fermenti geopolitici, sono temi che hanno iniziato a fare capolino e si collocano perfettamente in linea con le riflessioni del presente e del prossimo futuro, considerando anche che la linea temporale del MCU ci ha sorpassato di qualche anno. Questioni che rimangono però in parte soffocate dalla tensione al raccordo ad ogni costo, tese nel mezzo di una fretta di guardare a quello che verrà, di lanciare il nuovo corso e di staccare la corda al passato con l’accortezza di non scontentare nessuno.
Anche per questo ora si scalfisce poco e ci si posiziona con grande difficoltà nel vivo del discorso (prima c’erano il trauma dell’11 settembre, il militarismo, la riflessione sul vigilantismo). Ecco, la bolla Marvel probabilmente non è sul punto di scoppiare, ma ora che le spalle dei giganti non sostengono più come una volta e il suo pubblico sta mutando, per questioni anche solamente anagrafiche, la vera sfida è aperta. Saprà il MCU saldare di nuovo la propria identità o è destinato a obliterare se stesso in preda alla ripetizione?