C’è ancora domani per il grande cinema popolare italiano: parola del successo strepitoso del primo film dietro la macchina da presa di Paola Cortellesi che, giunto alla sua quinta settimana di sfruttamento distributivo, non accenna a fermare la sua corsa impazzita verso nuovi record. Nel momento in cui vi stiamo scrivendo, C’è ancora domani ha raggiunto quota 23,908,728 milioni di euro, ad un passo dai 24 milioni e pericolosamente vicino a fare cifra tonda con i fatidici 25 nei prossimi due o tre giorni infrasettimanali. Un vagone dell’entusiasmo nato e sospinto da un impetuoso passaparola come non se ne vedeva da anni nel cinema italiano.
Ma quali sono le ragioni intrinseche di un successo così inaspettato e che mira a raggiungere (chissà se li supererà!) quota 30 milioni di incasso al botteghino nostrano? Perché per ogni storia di successo che si rispetti, non c’è passaparola che tenga senza solide fondamenta artistiche, senza la capacità dell’autore dell’opera di saper intercettare un “qui ed ora” iper-condiviso da un bacino di spettatori in fermentosa rivoluzione culturale. Capiamo meglio insieme cosa sta succedendo al film di Paola Cortellesi e al suo pubblico in vertiginosa crescita, tra tradizione tutta italiana ed innovazione socio-culturale.
Numeri da record
Partiamo dai numeri puri e duri: al momento, C’è ancora domani ha sfiorato i 24 milioni di euro, puntando dritto dritto a raggiungere con facilità i 25 milioni e poter estendere così la sua corsa nelle sale cinematografiche italiane fino alla fine del 2023, sfruttando possibilmente i giorni di festa a cavallo tra Natale e l’Epifania. Anche perché i dati giornalieri dei week-end del film di Paola Cortellesi (la media racimolata ad ogni sabato o domenica dalla sua uscita il 26 ottobre ad oggi è di poco più di 1 milione di euro) presagiscono una probabile lentissima frenata che potrebbe premiare l’attrice/regista/sceneggiatrice romana con un gruzzolo vicinissimo ai 30 milioni, e forse oltre. Numeri comparabili a lungometraggi nella classifica dei più alti risultati del box-office italiano quali blockbuster recenti come Joker (29,6 milioni), Bohemian Rhapsody (29) e il freschissimo Oppenheimer, fermo a 27,9 milioni di euro. Senza dimenticare la grande commedia italiana del passato recente, il genere che da sempre ha attratto frotte di spettatori registrando risultati numerici incredibili.
Di certo gli incassi da capogiro dei film di e con Checco Zalone ne sono l’assioma principale di questa tesi, anche se non possono essere messi da parte gli exploit delle pellicole con Aldo Giovanni e Giacomo (su tutti, Chiedimi se sono felice con i suoi impressionanti oltre 28 milioni di euro) e di Leonardo Pieraccioni (la triade Il ciclone, Fuochi d’artificio e Il paradiso all’improvviso docent). In questa consolidata tradizione di personaggi comici che dal teatro e la tv passano con clamore al grande schermo, dove si colloca C’è ancora domani? Come eredità tutta al femminile del trio comico di Tre uomini e una gamba? Nella tradizione della commedia toscana post-moderna di Pieraccioni? Oppure nella satira tutta italiana di Benvenuti al Sud e del suo sequel?
Paola Cortellesi come Roberto Benigni?
Perché il remake diretto da Luca Miniero del 2010 (messi da parte i numeri storici e senza precedenti di Quo Vado?, Sole a catinelle, Tolo Tolo e Che bella giornata con Zalone) si attesta ancora come la commedia italiana con il maggiore incasso nella storia della distribuzione cinematografica italiana, con 29,8 milioni di euro. Un traguardo possibile ed auspicabile per l’esordio in regia di Paola Cortellesi, che però a questo punto più che confermare la regola della commedia nostrana strappabiglietti, ne è paradossalmente l’eccezione. Perché l’artista romana sale in cabina di regia con la lucida consapevolezza di allestire uno spettacolo destinato al grande schermo che sappia educare il pubblico italiano senza dimenticare due assiomi infallibili, se gestiti con equilibrio e leggera sagacia: risate e riflessioni storico-sociali. Che furono la ricetta perfetta che nel corso del fruttuoso biennio 1997-1998 portò a gloria sempiterna e ad immaginario collettivo il pluripremiato La vita è bella di Roberto Benigni.
Pure il comico toscano (nel tempo divenuto furia implacabile dietro la macchina da presa con titoli come Johnny Stecchino e Il Mostro) veniva da una certa tv ed un certo teatro d’avanguardia, e nel 1997 seppe intercettare i favori di un pubblico vastissimo (mica solo italiano, i 3 Oscar ed il premio a Cannes parlano chiaro!) mescolando il dramma dell’Olocausto “made in Italy” assieme ad una verve artistica che non ne smorzava gli orrori con leggerezza, ma che invece con quest’ultima ne elevava i suoi valori intrinseci. Il film incassò oltre 31 milioni di euro in rapporto al cambio valuta con la lira, una traiettoria in numeri ed ambizioni che sembra accomunare da molto vicino C’è ancora domani.
Il film giusto al momento giusto
Perché, lungi dal tratteggiare una similitudine di toni e contenuti con il lungometraggio vincitore dell’Academy Award, C’è ancora domani ne sembra però riproporre una ricetta artistica non del tutto dissimile, in cui Paola Cortellesi infonde un ritratto leggero (ma mai superficiale!) della donna italiana degli anni ’40 all’indomani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e alla vigilia di un voto amministrativo storico. La sua Delia si fa carico dell’esperienza di un’intera generazione femminile (adesso, le nostre bisnonne alla vieppiù) schiacciata da un sistema famigliare arretrato, maschilista ed, in ultima analisi, patriarcale, tracciando al contempo una finestra invisibile tra il grande schermo della sala cinematografica e gli spettatori contemporanei ed invitando infine ad un dialogo frizzante e sensibilissimo sulla condizione femminile tanto di ieri quanto di oggi.
Un meccanismo positivamente coercitivo tra offerta e cliente che riesce a scavalcare un muro di insidiosi sedimenti socio-culturali per preparare il futuro della nuova generazione italiana ad un orizzonte migliore, dove la parità di sessi e diritti non sia solo impraticabile chimera mentale ed amministrativa. E di certo, se il potere del passaparola dovesse ulteriormente incoraggiare vecchie e nuove generazioni di spettatori di entrambi i sessi, C’è ancora domani potrebbe raggiungere quegli oltre 31 milioni di euro a cui si fermò il capolavoro di Benigni, confermandone il mélange vincente ed affermando al contempo la Cortellesi come autrice dietro la macchina da presa di cui il cinema italiano di oggi aveva bisogno da tanto, troppo tempo.
Sì, c’è ancora domani
Il successo inaspettato di C’è ancora domani sublima la fame di rivoluzione culturale di cui aveva da tempo bisogno il sistema produttivo dell’industria cinematografica nostrana, specchio riflettente di un’Italia che ancora deve fare i conti con la propria storia, le proprie tradizioni, i suoi usi e costumi, il suo sistema educativo. Alla ricerca di una trasmutazione che stavolta assume i connotati di un lungometraggio d’esordio essenziale ma intelligentissimo, che non rifugge certo dai suoi debiti artistici ma che ha il coraggio di affrontare a testa alta e “a bocca chiusa” la spinta verso un cambiamento paritario di grandissima urgenza.
Un po’ come avevamo raccontato nella nostra entusiastica recensione di C’è ancora domani, al suo esordio dietro la macchina da presa Paola Cortellesi supera ogni più rosea aspettativa e prende il sistema patriarcale per la gola, allestendo un leggerissimo ed ironico sogno neorealista in bianco e nero che funziona ancora meglio quando si nasconde (grazie ad una sceneggiatura a sei mani di finissima fattura) dietro ad una commedia di sanissimi principi, un commovente grido di liberazione sessuale per tutte quelle donne che, qualche tempo fa, hanno avuto il coraggio di cambiare per regalare un futuro migliore alle nuove generazioni. Affiché domani le donne di oggi non compiano mai più gli stessi errori.
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