Nel 2023 cinematografico regna un solo colore: il rosa shocking. Barbie quest’estate ha sbancato i botteghini di tutto il mondo, confermando di essere il marchio femminile numero uno da più di 50 anni. Mattel riferisce che oltre il 90% delle bambine ancora oggi possiede una Barbie. Molte ragazze giocano ogni giorno con le proprie Barbie, inventando storie e immaginandosi possibilità infinite. Pochi altri marchi si avvicinano a questa portata e a una tale profondità di coinvolgimento. Non stupisce quindi che il pubblico principale di Barbie sia composto dalle donne millennial che sono cresciute con la bambola più iconica del pianeta. Greta Gerwig (regista e co-sceneggiatrice del film insieme a Noah Baumbach) ha dato vita “dal vero” a tutto questo – perché di film di animazione di Barbie ne avevamo già a decine – e, scegliendo Barbie stereotipo come protagonista, ha esplorato insieme a lei le vicende di un gruppo di donne che lotta in una società ancora lontana dalla parità dei diritti.
Il 26 ottobre è uscito C’è ancora domani di Paola Cortellesi che, a oggi, è il film più visto in Italia dall’inizio della pandemia, avendo incassato circa 19 milioni di euro al box office (secondo gli ultimi dati di Cinetel). L’esordio di Paola Cortellesi con una storia di violenza di genere è chiaramente lontano (per ora) dai 30 milioni di Barbie. È forse segno dello spirito dei tempi che nel paese in cui i femminicidi sono in aumento (106 dall’inizio dell’anno), il film italiano che ottiene il successo più grande parli di proprio di violenza di genere?
Imperfezione come peccato capitale
A Barbieland tutti i sogni di bambina trovano spazio all’interno di una società dove la sorellanza regna sovrana. Ogni aspetto in Barbieland è perfetto, rendendo l’imperfezione stessa il vero peccato capitale. Ma l’autentico lampo di genio di Gerwig è stato quello di puntare sui sentimenti contrastanti che nel corso del tempo Barbie ha mutuato nelle persone che l’hanno sì amata e idolatrata, ma anche odiata per tutta una serie di stereotipi di genere che, al di là di tutto, la bambola ha sempre incarnato. Anche all’interno del film, la Barbie che viene subito in mente quando si parla di questa bambola è proprio Barbie stereotipo: quindi, una bambina può essere chiunque, è vero, ma a patto che sia perfetta. L’incidente scatenante del film, non a caso, concerne cellulite, piedi piatti e pensieri di morte. Aberrazioni che portano Barbie stereotipo, attraverso una forte crisi identitaria, a ritrovare se stessa. D’altronde il trailer promette: “Se ami Barbie, questo film è per te. Se odi Barbie, questo film è per te”.
Quando il bianco e nero diventa femminista
All’inizio degli anni Cinquanta, il neorealismo rosa diventa il genere di maggior successo in Italia fino alla fine del decennio. Come suggerisce il nome, esso presenta ritratti neorealisti della miseria del dopoguerra, ma epurati dalla tragedia e stemperati nella commedia. In C’è ancora domani, che si ispira proprio a questo genere, la possibilità di cambiamento nell’Italia del dopoguerra è trasmessa attraverso le lotte domestiche di una casalinga romana. Delia (interpretata dalla stessa Cortellesi) si sveglia ogni mattina con lo schiaffo di suo marito. Si alza, prepara la colazione, svuota l’urinale del suocero e poi esce di casa per affrontare la routine quotidiana, piena di lavori sottopagati. Per tutto il giorno Delia continua a ricevere schiaffi, da tutte le parti, perché non è solo povera, ma anche donna. Presto però le arriva una lettera misteriosa, che forse le cambierà la vita.
Nostalgia dei veri e dei falsi ricordi
Greta Gerwig e Paola Cortellesi, con tutti i distinguo del caso, hanno realizzato due film per il grande pubblico, tant’è che entrambe, in modo diverso, utilizzano la commedia (in modo pop e urlato la prima e con toni più agrodolci, da neorealismo rosa, la seconda). Entrambe raccontano una storia originale infarcita però di una profonda nostalgia per il proprio passato e per le storie che si amano guardare, leggere e ascoltare durante l’infanzia. Nel prologo di Barbie assistiamo a delle bambine silenziose che giocano con delle bambole. Barbie entra in scena come una creatura aliena, come uno scorcio di modernità in un mondo preistorico, introducendo l’idea di una bambola che possa essere il simulacro di una donna e non più di neonati bisognosi delle cure di una madre.
Le bambine iniziano una nuova fase evolutiva e ciò viene mostrato omaggiando una delle sequenze più significative di uno dei più importanti film di fantascienza della storia del cinema, 2001: Odissea nello spazio. In C’è ancora domani si assiste alle vicende di una donna cresciuta con bambolotti e non con Barbie, una donna che sente di essere intrappolata e di non avere scampo fino a che non arriva anche il suo monolito sotto forma di lettera. In Barbie la nostalgia è legata ai ricordi dei giochi nelle camerette, in C’è ancora domani ai racconti che erano soliti fare le mamme e soprattutto le nonne e le zie di un’epoca che il target di riferimento non ha mai vissuto, ma della quale ha fatto esperienza proprio attraverso questi racconti orali di parenti e amiche e attraverso il cinema. In Delia questo stesso pubblico ha rivisto un membro della propria famiglia, e questo ha portato a un riconoscimento e quindi a una commozione ancora maggiore.
Female Gaze
In Barbieland vige il female gaze, uno sguardo mai erotizzato, mentre le prime inquadrature all’interno del Real World di Barbie assumono uno sguardo predatorio. Proprio nella prima scena di quest’ultimo contesto vediamo, in dettaglio, il sedere oggettificato di Barbie. Il percorso di Ken sarà diverso e il film tratta molto bene anche il suo viaggio verso l’autodeterminazione e la liberazione della propria identità. In Barbieland, Ken esiste solamente in funzione di Barbie e la qualità della sua giornata è misurata proprio dal numero di sguardi che riceve dall’amata.
In C’è ancora domani, il female gaze regna sovrano: per tutto il film noi condividiamo il punto di vista di Delia. Non c’è mai oggettificazione, romanticizzazione della violenza o pornografia del dolore, e proprio in questo discorso si inserisce una delle scene del film che ha fatto più discutere: la violenza del marito di Delia rappresentata come un passo a due di danza. La scelta non è stata fatta per sminuire l’atrocità del gesto, ma per evitare che lo sguardo della macchina da presa e successivamente del pubblico andasse a infierire su dettagli per nulla necessari per veicolare quel concetto.
Madri e figlie
Dovrebbe risultare ormai chiaro che entrambi i film parlano di identità e di sotto-rappresentazione femminile, ma c’è un altro cuore che batte in entrambi: quello del rapporto madre-figlia. Barbie implica che da bambina si pensi che i limiti non esistono, o che siano facili da valicare, e che le possibilità siano infinite. Ben presto, però, quegli stessi limiti diventano visibili e ci si rende conto che sono dei vincoli imposti da una società machista che non rappresenta più della metà della popolazione mondiale e che Barbara, non più Barbie, vuole contrastare in prima persona confrontandosi con la sua creatrice (sua madre) e chiedendole la vita, che rappresenta una possibilità d’azione concreta.
La prima esperienza di questo doloroso processo innescato da una società patriarcale la si vive attraverso l’osservazione della propria madre, la quale diventa il biasimo per eccellenza della società e di tutte le figlie. Le giovani donne, e non solo nella storia dei femminismi, vivono spesso con rabbia il rapporto con le loro madri, che “accettano” delle vite che le figlie ritengono inaccettabili. Marcella si sente umiliata e mutilata perché osserva sua madre alla ricerca di una guida e trova invece in lei tutto ciò che non vorrebbe diventare. Spesso si crea un’opposizione tra la madre infelice, intrappolata e non realizzata e la figlia moderna che la disprezza, anelando a una rottura della propria genealogia. Per Marcella superare sua madre diventa una necessità talmente forte da impedirle di vedere che sta andando incontro esattamente al suo stesso destino.
Conclusioni
È sempre stata opinione comune che i film che parlassero apertamente alle donne, soprattutto se con dietro un messaggio femminista, non fossero destinati al successo. E se Barbie – il primo grande blockbuster femminista della storia del cinema – non bastasse a smentire le malelingue, ecco arrivare il fenomeno nostrano a farlo (e anche qui troviamo del rosa, anche se solo nella locandina). Il trionfo di C’è ancora domani è un miracolo per il cinema italiano, anche perché dietro la macchina da presa abbiamo una donna.
In Italia le registe sono molto poche, ma qualcosa sta cambiando. Solo quest’anno hanno esordito alla regia Paola Cortellesi, Kasia Smutniak, Margherita Buy e Micaela Ramazzotti. Il fatto che a distanza molto ravvicinata ci siano due film di così grande successo, apertamente femministi e diretti da due registe donne, ci fa pensare che qualcosa stia effettivamente cambiando, non solo dal punto di vista produttivo, ma nello sguardo delle persone che vanno in sala, con un occhio rivolto alla nostalgia del passato e un altro ai sogni d’equità del futuro.
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