C’è un regista greco a cui piace giocare molto. Con il pubblico, con le aspettative, con le apparenze. Per lui le povere creature sono ovunque. Sul palco e in platea, tutte invitate nel suo teatrino grottesco itinerante, dove va sempre in scena la miseria umana: la cattiveria, l’ambizione, l’inettitudine. Tutte cose che quel regista greco maneggia sempre volentieri. Succede anche questa volta con Bugonia, il nuovo film di Yorgos Lanthimos in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025. Un titolo che richiama una bella pianta (la begonia), se non fosse per quella “u” al posto della “e”.
Una parola che rievoca un vecchio mito. Perché, stando alle Georgiche di Virgilio, la bugonia sarebbe una specie di strano miracolo: la nascita di uno sciame di api dalla carcassa di un bue. La vita che nasce dalla morte. Un cortocircuito che ha sempre ispirato il cinema di Lanthimos, sempre così in bilico tra ambizioni e disgrazie. Succede ancora in questo strano thriller nichilista, remake del film sudcoreano Jigureul jikyeora!, dove si parte dalle api per finire dentro le viscere delle carcasse.
Povere bestie

Da qualche parte negli Stati Uniti. Due poveri apicoltori preparano il piano della vita: rapire una famosa manager a capo di una multinazionale, colpevole di distruggere il pianeta con il suo avido cinismo. Peccato che il più “intelligente” dei due disgraziati sia anche convinto che dietro la donna in questione si nasconda una pericolosa creatura aliena da eliminare a tutti i costi. Non serve aggiungere altro per raccontare questa grottesca parodia del complottismo. Un film che sarà anche ispirato a un film del 2003, ma è in tutto e per tutto figlio del mondo pandemico. Perché? Non solo perché è quasi tutti ambientato in casa. No, perché racconta il ricco contro il povero, il successo contro la disperazione, l’io contro l’altro. È un film che vive di scontri sociali violenti, dove Lanthimos conferma ancora una volta il suo sguardo impietoso verso i rapporti umani.
Relazioni in cui l’empatia è bandita. Dove o si manipola o si è manipolati. Dove tutti cercano di esercitare potere sugli altri in modo violento. E Bugonia è un film violento. Fisicamente e psicologicamente. Un film esplicito, sporco di sangue e viscere, nichilista, mitigato solo da un’ironia grottesca, che diventa quasi un involontario autosabotaggio. Perché, quando Bugonia tira fuori le unghie per farci male, il film funziona e crea una bella tensione. Poi, però, Lanthimos smette di fare sul serio e gigioneggia. Si mette a giocare (come fa sempre) con l’ironia, il grottesco e il paradosso. Un cambio di tono brusco che, questa volta, purtroppo non funziona.
Kind of disperazione

La sensazione che abbiamo avuto guardando Bugonia è stata questa: sembra quasi una storia avanzata da Kind of Kindness (presentato l’anno scorso a Cannes) che Lanthimos ha riproposto come film a sé stante. Sia perché la trama sembra quella di un mediometraggio abbastanza annacquato, sia perché i temi sono simili a quelli visti nella sua antologia dell’inettitudine. Anche qui ritornano personaggi estremi, piani strampalati, persone che desiderano qualcosa in modo goffo e scoordinato. Se il film riesce a catturare con la sua anima da thriller disperato, il merito è anche di Jesse Plemons ed Emma Stone – ancora una volta eccezionali e costretti a fare gli equilibristi con i cambi di registro di Lanthimos.
Plemons incarna tutta la disgrazia di un uomo solo, traviato e incattivito da una vita balorda, mentre Emma Stone non è mai stata così algida e difficile da decifrare nelle intenzioni. Difficile come questo film, che sembra l’ennesimo sfogo di un registra che dopo Povere Creature, senza dubbio tra i suoi film più mainstream e adatti a una vasta platea, sembra volersi di nuovo chiudere a riccio dentro un cinema più ostico e sfrontato. Che questa volta, però, non sa bene dove andare. E dove urlare il solito odio per un’umanità che fa sempre e comunque troppo schifo. Ma questo lo abbiamo capito, caro Yorgos. Ce lo hai fatto capire fin troppo bene.