Bones and All è il film più dolce di Luca Guadagnino. Sembra impossibile vista l’esistenza di Chiamami col tuo nome. Eppure prendendo dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis, adattato e rimodellato con la penna dello sceneggiatore David Kajganich, la pellicola si esprime con una tenerezza che fino a questo momento era stata estranea all’autore italiano, anche quando ha voluto trattare delle storie d’amore.
La sua trilogia del desiderio, in fondo, si basava su ben altri istinti, seppur poi declinati ognuno secondo una radice e una sensibilità differenti. E in fondo è stato il regista stesso ad ammettere che, forse, un vero e proprio trittico non c’è mai stato, ma era per cercare di mettere a bada critici e pubblico che aveva deciso di ideare quella tripletta in cui inseriva Io sono l’Amore (2009), A Bigger Splash (2015) e, per l’appunto, Chiamami col tuo nome (2017).
L’arrivo del primo amore
In quello che non è, quindi, un fuoriuscire dal suo filone tematico, anche se è impossibile ormai non ricollegare per sempre assieme quel trio di opere e considerarle come un unicum, Luca Guadagnino ha a ogni modo dimostrato di possedere un animo più gentile rispetto a ciò che aveva mostrato nei lavori precedenti. Un sentimentalismo che non deve essere necessariamente condito da un inasprimento spesso borghese e elitario, ma che è capace di saper smussare un cinismo che fa parte anche delle sue operazioni più carezzevoli, spogliandosene completamente con l’arrivo di Bones and All.
Certamente la giovinezza è un altro macro-argomento della cinematografia di Guadagnino, che permette ogni volta di riscontrare un affetto nei confronti di quei suoi personaggi così giovani e, a volte, indifesi, i quali devono cominciare a farsi strada all’interno del mondo. Per quanto però l’amore del loro regista si percepisca attraverso la macchina da presa, è comunque un determinato distacco molto lucido e forse anche leggermente sadico ad essere suggerito di nascosto. Una sorta di patto che permette ai protagonisti di essere adorati da colui che li muove, solo se accettano però di poter sottostare ai suoi capricci. Quelli del tutto estetici e artistici, che spesso si ritrovano nella filmografia splendidamente vanesia dell’autore.
Da soli (insieme) nel mondo
Stavolta con Bones and All il regista è portato invece a privarsi di quegli aghi con cui sembra sollecitare spesso i personaggi, che seppur aveva trovato una sorta di tregua nel rapporto tra Oliver e Elio, si abbandona totalmente di fronte al senso di bisogno e appartenenza di Maren e Lee. I cannibali del film, infatti, ricercano con una disperazione innata che qualcuno riesca a vederli, ad accoglierli, ad abbracciarli nonostante quel che sono, ben sapendo che nessuno, in verità, sarebbe in grado di farlo. A meno che non sia come loro. A meno che non abbia la necessità di nutrirsi di sangue.
È dalla tematica principale della pellicola che il regista ha tirato fuori questa estrema delicatezza, spolpando il racconto per arrivare all’osso della questione, ossia come ci si sente quando si è in due a ritrovarsi da soli sulla Terra. È proprio così che ci fa sentire l’amore: invincibili fin quando solo un attimo prima ci sentivamo persi. Accolti quando tutto attorno ci faceva sentire distanti.
La carezza dei paesaggi di Bones and All
Per far passare con tale armonia il concetto base di Bones and All, cioè che non è la storia legata al cannibalismo quella che traina la narrazione, bensì il cuore romantico che pulsa e fa avvicinare i protagonisti, Luca Guadagnino ha scelto di essere compassionevole non solo nei confronti dei suoi freaks, ma anche con un contorno che è l’America degli anni Ottanta.
Se il circondario sembra voler espellere i personaggi, i paesaggi dell’autore diventano presto abbacinanti. Le distese, che siano dei campi o delle strade, si aprono concedendo un respiro che è il medesimo che possono cominciare a inalare i ragazzi. Sono i parcheggi, le stazioni di benzina, i campi di grano che, seppur luoghi di scambi pericolosi e talvolta di omicidi, vengono ripresi come i posti più ospitali che esistano in ogni dove. E lì che si stagliano i bordi degli Usa nel pieno del regime di Ronald Reagan; è in quel seguire un viaggio on the road che Guadagnino scivola sulle vie laterali col pick-up di Lee, trasformandolo in nido di protezione della relazione tra i due personaggi.
Di baci, di sangue, d’amore
Tutto è dilatato, tutto è avvolgente per un film in cui la carnalità è tanto famelica, quanto sessuale, eppure è riportata con l’ingenuità e la felicità del primo amore. Di quello che non potrà mai essere come nessun altro, che ci sconvolge e ci stringe. È un calore che ci aggomitola e che sentiamo provenire in prima istanza proprio dal regista, che ha deciso che l’horror doveva essere messo da parte per lasciare spazio alla scoperta del corpo, dei baci, della pelle e degli organi dell’altro. Rimanendo anche in linea con la chiave teen del libro da cui Bones and All è tratto, di cui se stravolge alcuni fondamentali passaggi narrativi ne mantiene a ogni modo uno spirito di giovinezza febbricitante e pieno di speranza.
Se Elio doveva diventare grande imparando a dover lasciare andare Oliver e rimanendo con Chiamami col tuo nome in territori narrativi e autoritari più vicini a un aspetto raffinato del proprio cinema, Bones and All è voler amare fino all’osso e farlo densamente. È dare la vita facendosi alimento l’uno per l’altro, cercando di saziare una fame d’amore che Guadagnino soddisfa riempiendo l’anima e gli occhi.