Nell’antologia della comicità cinematografica continua a occupare un posto di assoluto rilievo: è stato lui, del resto, a traghettare la commedia classica hollywoodiana, con i ritmi, gli stilemi e l’ironia irriverente che la contraddistinguono, verso nuove generazioni di spettatori, dimostrando pertanto la sua inossidabile modernità. Perché se per certi aspetti il cinema di Blake Edwards può ricordare quello di Ernst Lubitsch e Billy Wilder, ma pure la comicità slapstick di Charlie Chaplin e dei fratelli Marx, dall’altro lato i suoi film sono riusciti a farsi conoscere e amare da un pubblico che, fra gli anni Sessanta e Settanta, aveva iniziato a rigettare i modelli del passato. Ciò nonostante, gran parte della filmografia di Edwards sembra davvero senza tempo: per questo, probabilmente, a distanza di decenni è ancora in grado di affascinare e divertire con straordinaria efficacia, ma anche di farci riflettere sulla natura umana e le sue contraddizioni.
Nato a Tulsa, in Oklahoma, il 22 luglio 1922, ma cresciuto a Los Angeles dall’età di tre anni, William Blake Crump prenderà in prestito il cognome del patrigno, il produttore cinematografico Jack McEdward, per creare lo pseudonimo con cui diventerà famoso: Blake Edwards. Dai primi ingaggi come comparsa al lavoro in qualità di scrittore e regista, prima per la televisione e subito dopo per il cinema (la sua opera d’esordio, Quando una ragazza è bella, esce nel 1955), Edwards arriverà sulla cresta dell’onda grazie a titoli quali Operazione sottoveste (1959) e soprattutto La Pantera Rosa (1963), capostipite della popolare saga con Peter Sellers nei panni del goffo ispettore Jacques Clouseau. E all’interno di una produzione vastissima, celebrata nel 2004 con l’attribuzione del premio Oscar alla carriera, abbiamo selezionato in ordine cronologico alcuni tra i migliori film di Blake Edwards: cinque pellicole in grado di offrire un significativo saggio del suo strabordante talento.
1. Colazione da Tiffany
Paradossalmente, il titolo più noto di Blake Edwards è, tutto sommato, uno di quelli meno ‘personali’ del regista: nel 1961, infatti, Edwards viene chiamato dalla Paramount per dirigere un copione di George Axelrod adattato molto liberamente all’omonimo romanzo di Truman Capote. In Colazione da Tiffany, il pungente ritratto disegnato da Capote cede il posto a una commedia romantica nella più tipica tradizione hollywoodiana, costruita attorno alla figura leggiadra della Holly Golightly di un’irresistibile Audrey Hepburn, escort d’alto bordo che conquisterà il cuore del suo nuovo vicino di casa, Paul Varjak (George Peppard). Ricordato sia per le musiche di Henry Mancini (inclusa la dolcissima Moon River), sia per la definitiva consacrazione della Hepburn a suprema icona di eleganza, Colazione da Tiffany occupa un posto di primo piano nell’immaginario culturale del secolo scorso.
2. I giorni del vino e delle rose
Un’altra anomalia: uno dei migliori film di un regista considerato un alfiere della commedia brillante, I giorni del vino e delle rose, è al contrario uno dei drammi più crudi e impietosi della sua epoca. Realizzato nel 1962 sulla base di un copione televisivo di JP Miller, I giorni del vino e delle rose racconta la discesa nel baratro dell’alcolismo della coppia formata da Joe Clay (Jack Lemmon), addetto alle pubbliche relazioni, e da sua moglie, la giovane segretaria Kirsten Arnesen (Lee Remick). Contrassegnata da un approccio realistico che non lesina momenti di profonda durezza, l’opera mette in rilievo le eccellenti interpretazioni di Jack Lemmon, che tornerà più volte a collaborare con Edwards, e di Lee Remick, entrambi candidati all’Oscar.
3. Hollywood Party
Nel 1963, La Pantera Rosa sancisce l’inizio della “fase aurea” di Blake Edwards come maestro della comicità slapstick: una fase culminata nel 1968 con Hollywood Party (in originale semplicemente The Party), ideato, prodotto e diretto da Edwards e imperniato su un portentoso Peter Sellers. L’attore inglese è protagonista assoluto nel ruolo di un impacciato attore indiano, Hrundi V. Bakshi, finito per errore in una festa nella lussuosa cornice del jet set hollywoodiano, dove causerà suo malgrado un disastro dietro l’altro. Liberi dalla necessità di seguire una vera e propria trama, Edwards e Sellers si dedicano piuttosto a sviluppare un meccanismo di gag a ripetizione che rende omaggio al genere della farsa tout court e funziona con precisione geometrica, dando vita a numerose sequenze cult.
4. 10
In assoluto fra i più strepitosi successi commerciali nella carriera di Blake Edwards e fra i massimi campioni d’incassi del 1979 (trenta milioni di spettatori soltanto negli USA), 10 è anche una commedia che sintetizza in maniera esemplare le diverse ‘anime’ della poetica del regista: l’ironia beffarda sui vizi dell’essere umano, il gusto spregiudicato per la trasgressione e una sommessa, ineffabile malinconia. L’attore Dudley Moore presta il volto a George Webber, compositore ultraquarantenne che, stanco della routine con la sua fidanzata Samantha Taylor (Julie Andrews), si lascia ammaliare da una giovane neo-sposa, Jenny Hanley (Bo Derek), al punto da attribuirle il voto del titolo e di seguirla perfino in luna di miele. In 10, Edwards irride l’andropausa e le fantasie sessuali maschili e trova in Dudley Moore un interprete formidabile.
5. Victor/Victoria
Dopo il trionfo di 10 e l’ottima (e sottovalutata) satira su Hollywood di S.O.B. (1981), nel 1982 Blake Edwards segna la vetta della propria carriera con il suo capolavoro: Victor/Victoria, remake di un musical tedesco di Reinhold Schünzel del 1933, qui affidato al carisma, alla versatilità e alla magnifica voce di Julie Andrews, moglie di Edwards dal 1969 e spesso sua partner anche sul set. La storia è quella di Victoria Grant, cantante spiantata che, nella Parigi degli anni Trenta, si fa convincere a travestirsi da uomo – il Conte Victor Grazinski – per attrarre l’attenzione del pubblico dei cabaret, suscitando l’attrazione del gangster King Marchand (James Garner). Con un cast arricchito da grandiosi caratteristi quali Robert Preston e Lesley Ann Warren e dotato di una colonna sonora da Oscar di Henry Mancini e Leslie Bricusse, Victor/Victoria incasella un fuoco di fila di gag all’interno di una narrazione dal ritmo impeccabile, come capita solo con gli autentici classici.