«Preferisco essere odiato per ciò che sono, piuttosto che essere amato per ciò che non sono»
No, non è il verso di una canzone e nemmeno la citazione di un film. È “solo” una delle frasi più emblematiche e famose di Kurt Cobain. Prendiamo in prestito le parole del dio del grunge per ammettere che la musica, a volte, sembra davvero fatta per il cinema. Con le note che sembrano lanciare assist perfetti per il grande schermo.
Cantanti con personalità complesse, intriganti e ricche di sfumature che sembrano nate per diventare protagonisti di storie che vadano oltre palchi, dischi e interviste rilasciate in radio o in tv. Vale per Kurt Cobain, per Freddie Mercury, per Bob Dylan e per tanti altri come loro. Artisti dal fascino misterioso, che sopravvivono ai loro indimenticabili ritornelli. Calamite per un pubblico affamato delle loro vite, dei loro segreti, dei loro tormenti.
Ecco perché, dopo il clamoroso successo di Bohemian Rhapsody nel 2018, il biopic musicale è diventata una vera e propria moda. Un nuovo tormentone che ha ingolosito Hollywood invadendoci di film dedicati alle grandi popstar del Novecento. Fateci caso: siamo solo a fine gennaio e ne sono già usciti tre: il raffinato Maria di Pablo Larrain, lo sfortunato e coraggioso Better Man su Robbie Williams e in sala è appena arrivato il bellissimo A Complete Unknokwn, scrupoloso ritratto di un artista sfuggente e raro come Bob Dylan. Ma come mai questo genere è diventato così popolare? Proviamo a capirlo insieme.
Storie pronte, storie comode

Mettiamo da parte la poesia, e guardiamo al fenomeno con un po’ di cinico pragmatismo. Diciamo la verità: Il biopic musicale, almeno sulla carta, è un genere comodo. E a Hollywood amano la comodità del potenziale vincere facile. Perché? Perché Il lavoro per portare la gente al cinema lo hanno già fatto i cantanti e la loro musica. I film hanno già la strada spianata. Siamo davanti a personaggi così popolari da avere un bacino di potenziale pubblico decisamente enorme. Tutti noi siamo fan di qualcosa e di qualcuno, per cui conosciamo bene cosa ci interessa davvero davanti a prodotti del genere: sapere cose che non sappiamo. Sì, davanti a questi biopic non c’è solo la voglia di vedere un gran bel film, ma anche solo la speranza un po’ voyeuristica di spiare nelle vite dei nostri idoli.
Vogliamo immergerci nelle ombre dietro le luci della ribalta, conoscere i retroscena sentimentali e sapere come e perché sia nata quella canzone. Canzoni sulle quali piove sul bagnato, perché si tratta di brani amatissimi che portano il film a far riemergere emozioni facili, immediate, che spesso prescindono dai meriti del film stesso. Insomma, il biopic musicale fa gola perché fa leva su personaggi e sentimenti che esistono già fuori dallo schermo. Certo, non sempre fa rima son successo, perché i flop non mancano (qualcuno ha detto Better Man?), ma il potenziale commerciale è innegabile.
Dare forma alla musica

Le parole, se usate bene, danno vita alle immagini senza bisogno delle immagini. Un esempio? Bussiamo alla porta di Bob Dylan che una volta disse: “Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro“. Quindi, ora facciamo il percorso opposto a quello di prima e buttiamola sul campo puramente artistico. Perché il fascino dei biopic musicali è anche nella possibilità di dare forma a qualcosa di invisibile come la musica. E questa volta no, non parliamo solo del gossip che si nasconde dietro i testi di una canzone, ma proprio nel fascino di vedere una canzone prendere vita sul grande schermo. Facciamo qualche esempio. Il bellissimo e sottovalutato Rocketman (per noi nettamente superiore al sopravvalutato Bohemian Rhapsody) è l’emblema di come cinema e musica possano camminare alla perfezione mano nella mano.
In quel film le canzoni di Elton John diventano quasi tangibili esplodendo sullo schermo in modo creativo, con movimenti di macchina, luci e costumi che arricchiscono brani meravigliosi con nuove suggestioni. Lo stesso vale per lo sciagurato Better Man, forse uno dei biopic più folli e coraggiosi mai visti. Rivelatosi un flop anche per la scelta anarchica di far interpretare Robbie Williams da una scimmia (scelta tra l’altro con un senso narrativo potentissimo e bellissimo). Ecco: Better Man rende manifeste le emozioni nascoste dietro ogni singola canzone dell’ex Take That. Quindi, al di là dei produttori con la bava alla bocca che puntano solo al botteghino, va detto che a livello artistico il matrimonio musica-cinema ha sempre il suo perché. Almeno sulla carta.
Diversità di approcci

Ultimo elemento importante. “Biopic musicale” è un’etichetta che utilizziamo ma per comodità, ma guardando meglio le cose ci accorgiamo che è un genere che ne contiene molti altri. Sì, il biopic musicale è un contenitore che permette al cinema di esprimersi in modi molto diversi. Prendiamo soltanto i film usciti negli ultimi anni. Bohemian Rhapsody è un biopic classico che racconta l’escalation dei Queen in maniera didascalica, come se fossimo dentro un documentario. E non a caso finisce con una ricostruzione fedelissima di uno dei concerti più celebri guidati da Freddie Mercury. Rocketman è un jukebox emotivo che gioca molto col trasformismo di Elton John, Elvis di Baz Luhrmann ci ha raccontato Presley quasi con una origin story supereroistica, Better Man ha di fatto costruito un musical sperimentale e matto su Robbie Williams, mentre A Complete Unknown è uno scrupoloso coming of age che racconta gli esordi di uno degli antidivi più schivi e talentuosi del Novecento.
Il regista è quel James Mangold che già con lo splendido Walk the Line aveva esplorato il mito di Johnny Cash, per cui siamo davanti a un cinema d’autore che vuole esplorare le radici delle icone americane. Cinema d’autore per niente pop proprio come quello di Pablo Larraìn, che con Maria chiude la sua personale trilogia dedicata alle donne soffocate dalla loro stessa immagine pubblica. Dopo Jackie Kennedy e Diana Spencer, Maria Callas è un ritratto doloroso ed empatico di un’altra donna che voleva solo trovare se stessa. E allora sì, il biopic musicale trova più di sette note sul suo spartito, dando vita a un cinema vario, dinamico, imprevedibile, ma che in qualche modo ci tocca tutti. Proprio come fanno le grandi canzoni.
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