Il 9 giugno 1993 viene presentato in anteprima mondiale al National Building Museum della città statunitense di Washington un film che cambierà per sempre le regole del fare cinema d’intrattenimento da lì in poi. Ispirato al romanzo omonimo di Michael Crichton del 1990 e diretto da Steven Spielberg, Jurassic Park, a partire dall’11 giugno di quell’anno (data di debutto ufficiale nelle sale Usa, in Italia arriverà dal 17 settembre), detronizzerà uno dopo l’altro i precedenti titoli che detenevano il record di più alto incasso di tutti i tempi e riporterà prepotentemente in auge la mania per i dinosauri.
In occasione dei trent’anni esatti dall’uscita nelle sale statunitensi, ci vogliamo soffermare ancora una volta sulla straordinaria eredità di uno dei film d’intrattenimento più influenti di sempre, mirabolante commistione tra prodigio visivo senza pari e costruzione della tensione cinematografica da manuale. Nello stesso anno di uscita del suo capolavoro più acclamato, Schindler’s List, con Jurassic Park Steven Spielberg stava al contempo firmando il lato B definitivo della sua summa artistica.
Dal romanzo al grande schermo
Non ha bisogno di presentazioni, eppure vale la pena rinfrescarci la memoria: di cosa parla il Jurassic Park di Steven Spielberg? Il lungometraggio tratto dal romanzo di Crichton muove i suoi primi passi narrativi grazie a John Hammond (Richard Attenborough), un multimiliardario che si appresta a inaugurare il più eccitante zoo del mondo: all’interno di questo parco situato in un’isola al largo del Costa Rica ha ricreato per clonazione i dinosauri. Un’impresa impossibile, ma che verrà verificata in prima persona dal paleontologo Alan Grant (Sam Neill), dalla paleobotanica e collega Ellie Sattler (Laura Dern) e dall’eccentrico matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum). Ovviamente, la visita al parco delle meraviglie diventerà presto teatro per una carneficina senza precedenti, tra lucertoloni che prendono improvvisamente il sopravvento sull’isola e gli addetti ai lavori che tenteranno disperatamente di riprendere in mano la situazione, salvare quante più vite possibili e fuggire dall’isola senza venire mangiati dai dinosauri del Jurassic Park. Il resto, come è noto, è storia del cinema.
Spielberg aveva opzionato i diritti di sfruttamento del romanzo di Michael Crichton ben prima che l’opera letteraria di fantascienza arrivasse sugli scaffali delle librerie di tutto il mondo nel corso del 1990; un atto di fiducia assoluto che si sposava alla perfezione con l’immaginifico corollario che il regista americano aveva portato sui grandi schermi di tutto il mondo, riuscendo a coniugare incassi da capogiro e rinnovato interesse nelle major nell’allestire lungometraggi di genere squisitamente pop (fantasy, avventura, fantascienza). In un certo senso, e forse anche senza saperlo, Spielberg stava firmando quell’anno un vero e proprio punto di non ritorno nella sua carriera dietro la macchina da presa, summa ideale di molteplici suggestioni ed ossessioni artistiche che lo avevano accompagnato (con successo di pubblico senza precedenti) in opere plasmatorie di un’intera generazione, come Indiana Jones, Incontri ravvicinati del terzo tipo e E.T. L’extraterrestre.
Da qui non si torna più indietro
E proprio dalla fantascienza più mirabolante, quella che lui stesso aveva contribuito a ravvivare al botteghino internazionale con i titoli sopracitati, il regista statunitense riparte per compire un miracolo cinematografico di ambizioni semplicemente colossali: mettere in campo le ultime tecnologie disponibili negli effetti visivi per trasporre sul grande schermo le pagine del romanzo capolavoro di Michael Crichton. Spielberg lo sapeva benissimo che salire a bordo di un progetto produttivo di tale portata (avallato da Universal Pictures, che tre anni prima dell’uscita nelle sale si era accaparrata i diritti di sfruttamento dell’opera letteraria) avrebbe comportato un azzardo senza precedenti nella sua pur virtuosistica carriera dietro la macchina da presa.
Realizzato qualche mese dopo la conclusione delle riprese dell’impegnatissimo Schindler’s List, Jurassic Park ha segnato una cesura importante nella carriera di Steven Spielberg: nel 1993, anno in cui il cineasta americano era nelle sale di tutto il mondo contemporaneamente con il dramma in bianco e nero sull’Olocausto e con il mirabolante parco dei dinosauri di Crichton, il film ha segnato il più alto incasso mai registrato nella storia del cinema in termini assoluti (quattro anni dopo, sarebbe arrivato il ciclone Titanic a scalzarlo definitivamente) e l’ammontare più remunerativo nella carriera del regista premio Oscar. Dopo Jurassic Park, Steven Spielberg non avrebbe mai registrato incassi personali così alti ed un engagement multimediale di portata così collettiva.
I dinosauri camminano sulla Terra!
Merito anche e soprattutto del team creativo che si è occupato dell’aspetto più sfacciatamente rivoluzionario del film del 1993; quella formata da Phil Tippett, Stan Winston, Dennis Muren e Michael Lantieri è stata la squadra che ha riportato in vita i lucertoloni dell’era giurassica grazie all’implementazione dell’animazione a passo uno, un abbondante uso degli animatronic per muovere i dinosauri e la grafica computerizzata per la post-produzione ed il prodotto finito. La confezione finale è un’efficacia fotorealistica che risponde ad un’ideale esortazione che da sempre aveva contraddistinto il cinema più “leggero” di Spielberg: credere nella magia del cinema.
A pensarci bene difatti, non poteva che essere l’autore dietro la macchina da presa che ci aveva fatto credere nella bontà degli alieni, nel potere immenso dell’Arca dell’Alleanza e nell’Isola che non c’è a dirigere il progetto ideato dalla mente letteraria di Crichton. Sfruttando al massimo le tecnologie più innovative di sempre nel campo dei VFX, Steven Spielberg firma il blockbuster definitivo della sua carriera, canto del cigno di uno slogan tutto personale costruito nei decenni precedenti sulla sospensione dell’incredulità, sulla richiesta al suo vasto pubblico cinematografico di compiere costantemente un atto di fede e di provare a volare assieme a lui sulle ali della più fervida fantasia. Soltanto così i dinosauri sarebbero tornati a dominare la Terra, e sui grandi schermi di tutto il mondo!
Cosa rimane del Jurassic Park?
A trent’anni esatti dall’uscita nelle sale cinematografiche americane, qual è l’eredità di Jurassic Park? Quella sicuramente di essere riuscita nell’impossibile, ovvero di riportare in vita le creature che millenni fa camminavano sulla Terra dominatrici indiscusse con effetti di realismo tutt’oggi ancora insuperati nonostante gli avanzamenti della tecnologia degli effetti speciali. Una sfida rischiosissima e mai tentata nella storia della settima arte, quella di Spielberg, che ha spinto l’asticella dell’eccellenza tecnica vertiginosamente in alto; e quando si guarda il mondo da quella altezza, non si può fare altro che godersi il panorama.
La saga ebbe poi un sequel di ottimo successo ma meno fortunato con la critica, Il mondo perduto – Jurassic Park (1997), a cui sono seguiti un terzo capitolo (diretto da Joe Johnston) e la trilogia sequel Jurassic World, mentre Steven Spielberg ottenne negli anni successivi un terzo Oscar per Salvate il Soldato Ryan ma mai più un caso mediatico così imponente come lo era stato per il suo Jurassic Park; del resto, quando si raggiunge la cima di una montagna, non si può non iniziare ad affrontare la discesa. E questo Spielberg lo aveva già preventivato quando nel 1993 stava regalando al pubblico di tutto il mondo il suo anno cinematografico più maturo e compiuto con Schindler’s List e il capolavoro di fantascienza tratto dal romanzo di Crichton, un blockbuster semplicemente perfetto.
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