To play: se recitare e giocare, in lingua inglese, sono azioni sovrapponibili, cosa succede quando un’attrice è chiamata interpretare una bambola? E non una bambola qualunque, ma la bambola per antonomasia: come ha fatto, in Barbie, Margot Robbie a mettersi nei panni della protagonista?
In una breve intervista video per Teen Vogue, l’attrice australiana – che del film è anche produttrice – individua tre punti principali, tutti in vario modo legati a un’idea di rigidità: la postura, le azioni e l’estetica.
Ballare sui tacchi: la postura di Barbie
I piedi della bambola Barbie sono modellati per infilarsi esclusivamente nelle tipiche scarpine col tacco, non conoscono posizione di riposo. Coerentemente, per i ruoli di contorno nella Barbie Land, la regista Greta Gerwig ha voluto solo ballerini professionisti: perché il corpo di un ballerino, anche se apparentemente in stato di quiete, sembra sempre pronto all’azione. Una qualità che nel corpo di plastica delle Barbie e dei Ken si esaspera: nel gioco possiamo mettere le bambole a dormire, ma anche in posizione sdraiata gambe e braccia manterranno le articolazioni della veglia.
Dire e fare: le azioni di Barbie
Nel mondo di Barbie, tutte le azioni vengono enunciate con entusiasmo ed eseguite con altrettanto entusiasmo: non c’è spazio per dubbi o esitazioni (la bambola del resto è predisposta solo per movimenti limitati, a scatti), e soprattutto non può esserci scollamento col pensiero. La recitazione vocale dell’attrice deve così sempre suonare trasparente e intenzionale: Barbie dice, Barbie fa, ma Barbie non pensa. E se lo fa, se addirittura pensa alla morte, è allora che cominciano i guai.
I capelli, il trucco e i vestiti: l’estetica di Barbie
La Barbie di Margot Robbie è la Stereotypical Barbie, la Barbie Stereotipo: capelli biondi, occhi chiari, lineamenti armonici, sorriso tirato, corpo magro, e tanto, tanto, tanto rosa. A quest’estetica stucchevole, Greta Gerwig applica un approccio simile a quello che riservava al lieto fine di Piccole donne: la riconosciamo – lei come autrice e noi come spettatori – per ciò che è, ne facciamo oggetto di ironia, ma non ci neghiamo il piacere di metterla in scena e di goderne. Perché sì, guardare Margot/Barbie in azione è puro, fastidioso godimento. Le parrucche voluminose, la luminosità dell’incarnato, gli accessori grandi e sproporzionati (che nel gioco agevolano la manipolazione) e i vestiti plasticosi (viene voglia di toccarli per saggiarne la consistenza) generano in chi guarda, o gioca, attrazione e repulsione.
Giocare con le bambole, lo sappiamo, è sempre ambivalente: c’è il gioco di cura, creativo e generativo, e c’è il gioco sadico e distruttivo (ed ecco che nasce Barbie Stramba!). Pensiamo al ruolo delle bambole in un’altra grande narrazione popolare dei nostri anni, quella dell’Amica geniale di Elena Ferrante: la bambola è legame, è scambio, è comunicazione, ma è anche esercizio di potere, violenza, punizione. To play, che verbo meraviglioso e terribile.