Se dovessimo contare gli istanti che hanno segnato l’evoluzione del cinema contemporaneo, basterebbero le dita di una sola mano: l’aspetto narrativo ha potuto contare sulla nuova struttura delle writing room, l’aspetto tecnico sull’evoluzione digitale, ma le nuove prospettive della recitazione devono tutto (o quasi) a un attore britannico. Un interprete di cui si sente parlare spesso troppo poco, senza considerare che si tratta probabilmente del miglior performer della sua generazione. Parlare di attori nel mondo digitale sembra curioso, per alcuni è persino blasfemo. Eppure le sue interpretazioni hanno segnato il cinema, cambiando per sempre il modo di approcciarsi alla resa dei personaggi. Andy Serkis è da quasi 30 anni l’emblema di un progresso enorme dal punto di vista tecnico, che però nasce da un ritorno alle origini della recitazione fino alle sue radici più profonde.
Una carriera nell’ombra, più con la verve del filmmaker che dell’attore da copertina, ma costellata di successi indelebili e sorprese sperimentali. Un talento straordinario, perfezionato negli anni fino a divenire arte stessa: Serkis ha spianato la strada per una nuova generazione di interpreti, capaci di superare lo sguardo e penetrare la mente senza dover prestare il proprio volto alla macchina da presa.
L’attore britannico, 60 candeline per lui, ha dedicato la sua intera vita a trascendere le forme d’arte convenzionali sin dai suoi inizi nel teatro, dove il trasformismo dei caratteristi diventava pura vocazione. Se chiedeste a lui, direbbe che si sarebbe aspettato una carriera di ben altro tipo, ma evidentemente Peter Jackson la pensava diversamente. Per un artista che ama la recitazione, raggiungere il successo grazie ai “mostri” del cinema deve sembrare assurdo. Non per Andy Serkis, che grazie ai suoi “mostri” ha creato immense possibilità dove prima c’erano soltanto limiti – tecnici e diegetici.
Alle radici di un’arte “rinnovata”
Proprio dalla voglia di superare i limiti della tecnologia è nata la performance capture, l’arte che ha consacrato Andy Serkis agli occhi del grande pubblico – o che, almeno, ha consacrato i suoi personaggi. Jackson prima, Spielberg e Reeves poi, hanno scommesso senza alcun timore su una tecnica in costante sviluppo solamente perché sapevano di avere il talento e la maestria di un attore fuori scala alle spalle. Per capacità e dedizione, Serkis non è secondo a nessuno: per questo i grandi registi gli hanno sempre affidato dei ruoli cruciali nelle rispettive produzioni – basti pensare a Gollum, King Kong o la scimmia Cesare.
Ma il trucco che ha permesso a Serkis di brillare sta proprio nell’idea di considerare la “capture” come interpretazione purissima, a tutto tondo: avvolto da elettrodi, sensori e tutine, qualsiasi attore può “diventare” il proprio personaggio. Ancor meglio, può sfruttare la tecnologia per immergersi completamente in un ruolo. Nella storia del cinema c’è un prima e un dopo Andy Serkis: l’uomo capace di trovare il punto d’incontro tra Shakespeare e la facial recognition, l’attore che ha avviato una piccola, grande rivoluzione. Una battaglia che è continuata per anni, volta a onorare anche quella di chi, immerso in chili di trucchi prostetici, bucava lo schermo soltanto per con il proprio talento – non a caso, il “mostruoso” John Hurt di Elephant Man è un costante riferimento per Serkis. Per chi ama quest’arte, il senso della propria esistenza sta tutto lì, dove il personaggio brilla e l’attore scompare.
Eredità oltre il buio
Se oggi si alternano derive in cui persino il classico può essere rivisto o ricreato attraverso la tecnologia, non si deve dimenticare che le fondamenta del progresso non possano prescindere da chi l’arte la crea. Andy Serkis, lontano da qualsiasi estremismo, serve a ricordarci che il futuro dello storytelling è già qui: tra migliaia di camere e personaggi cristallizzati nell’etere, tra movimenti, espressioni e voci che spaccano il cielo senza “rivelare” l’uomo. La duplice natura della performance capture, capace di mescolare potenza e mistero, crea un fascino unico nella sua finzione sospesa di cui Andy Serkis è stato precursore e profeta.
Senza particolari clamori, combattendo spesso l’ostracismo della vecchia guardia, l’attore ha continuato a lasciare il proprio segno nella cultura pop, consacrandosi definitivamente come maestro nell’ombra di un’arte sottovalutata. La speranza è che un simile contributo non venga dimenticato, lasciato nel buio da cui lentamente sta provando a emergere. Un riconoscimento degno di questo nome sarebbe d’obbligo, ma resta il fatto che Andy Serkis sia riuscito in qualcosa di straordinario: entrare nella storia del cinema dalla porta sul retro, accovacciato su se stesso e pronto a sconvolgere milioni di spettatori.
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